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protezionismo nell'era globale
- Subject: protezionismo nell'era globale
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 07 May 2002 18:12:31 +0200
dal manifesto il manifesto - 04 Maggio 2002 Protezionismo nell'era globale L'economia mondiale rallenta, le barriere doganali si alzano. Epicentro gli Stati uniti, con onde d'urto forti in Europa. Guerra dell'acciaio, del legname, dei sussidi agli agricoltori, dietro il paravento dell'Omc. E il Sud del mondo subisce ancora una volta ANGELA PASCUCCI Un dialogo fra sordi ben riuscito, l'ultimo vertice tra Stati uniti e Unione europea che ha visto il Medioriente mescolarsi all'acciaio e ai sussidi agricoli, in un pesante groviglio di dissensi, davanti ai quali solo l'understatement era possibile, a meno di andare a uno scontro irreversibile. Un incontro inutile, stante che ormai il fatto compiuto prevale sulla diplomazia. A dimostrarlo sono le guerre in corso, tutte. Perché quelle che si combattono sulla canna del fucile accompagnano quelle condotte colpendo gli interessi economici. E così, mentre l'economia mondiale rallenta, torna alla grande il protezionismo più scoperto. Che la febbre stia crescendo lo ha rilevato il «Rapporto» di una autorevole società legale internazionale che prende a misura del livello di protezionismo il numero delle nuove investigazioni sulle misure anti dumping. Chi le applica afferma di volersi difendere, chi le critica afferma di essere danneggiato e chiede le indagini. Risultato: nel 2001, le investigazioni sono state 348, contro le 251 del 2000 e una media di 232 negli anni `90. Chi ha usato di più le misure anti-dumping, di salvaguardia e i sussidi sono stati gli Usa e l'India, seguiti a ruota dall'Ue. L'immagine data dalle cifre legali trova perfetto riscontro in una realtà assai meno rarefatta e più recente. E' vero infatti che gli Stati uniti hanno deciso di condurre la danza, ancora una volta, ma la musica che suonano è ben conosciuta dall'Ue, che si è messa subito a ballare. Ma due giganti che vorticano rischiano di calpestare tutti gli altri, in modo ancor più brutale di quando fanno la grazia di preavvertire dove poggeranno i loro devastanti piedi, come avviene durante i vertici dell'Organizzazione mondiale del Commercio (Omc), il cui ruolo in questa fase è davvero rivelatorio degli interessi che difende . E' infatti proprio impugnando le «regole» dell'Omc che gli Usa hanno deciso di imporre, a partire dal 5 marzo, dazi di «salvaguardia» fino al 30% sull'import di acciaio. Le importazioni erano cresciute troppo, dice Washington, per i prezzi troppo bassi dei concorrenti, e avevamo il diritto di difendere le nostre industrie (molte delle quali già da tempo in bancarotta). Infuriati i grandi produttori mondiali: Russia, Giappone, Brasile, Ue. Ma solo la Commissione europea passa all'attacco: un astuto piano di risposta che prevede tariffe punitive fino al 100% su alcuni prodotti mirati: quelli provenienti dagli States che elettoralmente stanno più a cuore a George Bush. Gli Usa hanno tempo fino a giugno per pensarci. Sempre a termine di Omc, infatti, potrebbero evitare il peggio se, per controbilanciare i danni ai produttori di acciaio europei, decidessero di «favorire» altri prodotti made in Europe. Washington risponde picche. Ma intanto Bruxelles ha già innalzato un muro tariffario contro le produzioni siderurgiche di altri paesi che, respinte dallo sbarramento americano, volessero «invadere» i mercati europei. Giovedì, Romano Prodi, uscito da quattro ore di colloqui con Bush, ha dichiarato che l'Europa risolverà il contenzioso attraverso l'Omc. Ma, visto l'uso fatto finora dell'Organizzazione, tirata in ballo per dire tutto e il suo contrario, non è chiaro cosa il commissario europeo intenda dire. Tanto più che, proprio nello stesso momento in cui lui e il premier spagnolo Aznar erano intrattenuti alla Casa bianca, la Camera dei Rappresentanti Usa regalava agli agricoltori americani quasi cinque miliardi di dollari l'anno per i prossimi sei anni. Tra siderurgici e coltivatori di cotone e cereali americani, un pensiero affettuoso è andato anche all'industria del legname, protetta contro la concorrenza del legname canadese da recentissime tariffe del 29%. Un rush protezionistico a tutto campo che contingentemente si giustifica con la scadenza delle elezioni a medio termine di novembre, assai importanti per il consolidamento dell'amministrazione Bush. Ma che nel lungo periodo proietta uno scenario inquietante, dove una politica estera interventista all'estremo si congiunge a una concezione dell'interesse nazionale degna del più chiuso isolazionismo. Un cocktail micidiale da imperialismo predatorio che precipita, oscurandoli, su un tempo travagliato e un orizzonte di sviluppo incerto dove tutte le potenze economiche sembrano incapaci di uscire dal mercantilismo più cieco. Persino l'ultimo Rapporto dell'Unctad (la Conferenza delle Nazioni unite sullo sviluppo e il commercio) si accorge del fossato «tra la retorica e la realtà dell' ordine economico internazionale liberista. Questo scarto è del tutto evidente nel sistema commerciale internazionale. Nello stesso momento in cui i governi esaltano le virtù del libero scambio, sono sempre più inclini a intervenire per proteggere le loro clientele locali che si sentono minacciate dai venti freddi della concorrenza». E il capo del Fmi, Horst Koehler, è dovuto andare in Burkina Faso, il miglior produttore di cotone mondiale, per capire che le politiche commerciali di Usa e Ue sono «perverse», visto che i sussidi concessi ai coltivatori di cotone americani superano il valore dell'intera produzione dell'Africa sub sahariana. Idem dicasi per i sussidi europei ai produttori di zucchero. Ma quella del libero scambio è sempre stata una virtù molto offesa, che solo pochi ingenui si sentirebbero di difendere. Come ben sa anche l'America latina, cortile di casa degli Usa. E' dal 1987 che l'export brasiliano di succo d'arancia concentrato e surgelato è colpito dagli States con misure protezionistiche anti dumping del 16%. Il Cile, da parte sua, subisce dal 1998 sanzioni commerciali contro l'export di salmone fresco e funghi secchi. L'Argentina, il paese che «non riesce a esportare niente perché non è competitivo», l'anno scorso è stata colpita con misure anti dumping fino al 66% sul suo export di miele, un settore che fino al novembre scorso faceva affluire oltre 86 milioni di dollari e dava da vivere a migliaia di contadini. E' chiara la speranza di Washington che, quando il continente sudamericano sarà stremato, troverà finalmente attraente persino l'Alca, l'area di libero scambio dal Canada alla Terra del fuoco.
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