(Fwd) Nike condannata per le bugie al pubblico



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   (3 MAGGIO 2002, ORE 22:11)

  Nike condannata per le bugie al pubblico
  La Corte suprema della California: il colosso dell'abbigliamento
  sportivo non puo' mentire ai consumatori. All'indice i comunicati a
  difesa degli stabilimenti nel sudest asiatico.

  NEW YORK - Al pubblico e' vietato dire bugie. Lo ha stabilito la
  Corte suprema della California con una sentenza a carico della Nike,
  il colosso dell'abbigliamento sportivo, accusata di mentire per le
  campagne a difesa dell'azienda. Gli spot incrinati, precisano i
  giudici, sono quelli mirate a fornire un'immagine della societa'
  dopo le rivelazioni sulle condizioni di lavoro nei suoi stabilimenti
  del sudest asiatico.

  I giudici supremi si sono comunque spaccati sulla sentenza, ma la
  loro decisione viene ora considerata una svolta giuridica con
  possibili ripercussioni sulla comunicazione aziendale di molte
  grandi 'corporation' degli Usa e potenzialmente del resto del mondo.
  La Nike e' stata ritenuta 
non
  protetta dal Primo Emendamento alla Costituzione, che tutela la
  liberta' di espressione. Per le proprie dichiarazioni pubblicate in
  pagine a pagamento sui giornali o in comunicati stampa, secondo i
  giudici, devono valere regole simili a quelle legate ai dati di
  bilancio. La Corte ha sancito che la Nike puo' essere denunciata e
  portata in aula per le proprie affermazioni pubbliche, che possono
  rivelarsi una forma di 'pubblicita' ingannevole' e tramutarsi in
  risarcimenti di danni.

  Immediata la reazione della Nike, che ha preannunciato di voler
  portare il caso di fronte alla Corte suprema degli Stati Uniti.
  ''Questa decisione stabilisce un precedente pericoloso - afferma un
  comunicato della societa' - limitando la possibilita' per societa'
  come Nike di rilasciare dichiarazioni pubbliche riguardo alle
  proprie pratiche imprenditoriali quando viene sfidata in modo
  pubblico''.

  Il caso Nike era esploso nel 1996, quando un'inchiesta televisiva
  della Cbs aveva svelato le condizioni dei lavoratori negli
  stabilimenti in Vietnam e in altri paesi. I giornali americani
  avevano dato grande risonanza alla vicenda, pubblicando inchieste
  che accusavano la Nike di pagare salari da miseria e di chiedere
  orari di lavoro eccessivi, oltre ad alcune storie di abusi fisici e
  sessuali e di danni per la salute degli operai. La societa' aveva
  reagito con una vasta controffensiva di pubbliche relazioni,
  difendendo il proprio operato. Ma un attivista di San Francisco,
  Marc Kasky, l'aveva denunciata sostenendo che comunicati stampa e
  lettere inviate dalla Nike a giornali e ai vertici del mondo
  dell'atletica contenevano informazioni false.

  La societa' ha quindi sostenuto che le dichiarazioni pubbliche di
  un'azienda sono protette dal diritto costituzionale alla liberta' di
  espressione. Una tesi che ha retto nei primi gradi di giudizio, ma
  che ora e' stata smontata dalla Corte suprema della California,
  aprendo la strada a Kasky per chiedere danni per milioni di dollari
  alla Nike, da destinare in beneficienza o a 'rimborsi' per i
  clienti. Quando una societa' diffonde ''rappresentazioni fatturali
  riguardo ai propri prodotti o alle proprie attivita' - ha scritto
  nella relazione di maggioranza il giudice Joyce Kennard - deve
  parlare in modo veritiero''. Altrimenti e' passibile di azioni
  legali e dei conseguenti risarcimenti.

  Tra i primi a muoversi in difesa della Nike e' stata la principale
  organizzazione sindacale del Vietnam (Vgcl), secondo la quale la
  societa' garantisce le giuste condizioni di lavoro. ''Gli standard a
  cui la Nike chiede ai propri partner in Vietnam di adeguarsi sono
  molto buoni, se comparati con quelli di altri luoghi di lavoro'', ha
  detto Vuong Van Viet, vicedirettore della Vgcl. ''I salari, i
  benefici sociali, le ore di lavoro, tutto e' molto buono'', ha detto
  Viet.

  (3 MAGGIO 2002, ORE 22:11)



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