non solo pane l'e-worker chiede dignita'



dal manifesto

     
    
 
    
 

17 Marzo 2002 
  
 
  
Non solo pane. L'e-worker chiede dignità
Dai call center ai siti web, i "nuovi operai" non lottano più solo per la
retribuzione, ma per essere valorizzati 
FRANCO CARLINI 




Visita in un grande gruppo industriale - il nome non importa - a guida
illuminata, e dotato di un marchio noto in tutto il mondo. Qui scopri che
il cartellino segnatempo - di quelli elettronici che vanno strisciati nella
apposita fessura - è ovviamente in grado di memorizzare al secondo gli
istanti di ingresso e di uscita dei dipendenti, ma che l'ufficio personale
lo fa scattare solo ogni 15 minuti. Perciò chi entri alle 9.03 risulterà
transitato alle 9.15, con un "furto" di 12 minuti. Viceversa i minuti di
lavoro erogati in più non vengono conteggiati a recupero. Nello stesso
grande gruppo l'accesso a Internet può essere ottenuto solo facendo
speciale domanda e spiegando perché se ne ha bisogno.
Sono due piccoli esempi di una flessibilità nelle prestazioni di lavoro
dipendente che dovrebbero essere ovvie e normali; oltre a tutto sono
possibili, a costo zero, grazie alle tecnologie elettroniche, ma non
vengono concesse. Non fanno parte delle politiche aziendali e nemmeno sono
state richieste in alcuna vertenza sindacale. Perché il gruppo in
questione, qui usato solo come esempio, non dimostra quella apertura
mentale che potrebbe accrescere la qualità della vita di lavoro?
Probabilmente c'è una quota di miopia, ma anche la "necessità" di ribadire
chi comanda: i piccoli soprusi padronali non sono tanto utili in sé, quanto
nel rafforzare la catena di comando, nella convinzione che i dipendenti
abbiano sempre da essere tenuti alla frusta, sennò se ne approfittano.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con le teorie sulla valorizzazione delle
persone (modernamente chiamate "risorse umane") che si leggono nei saggi di
management, che si insegnano nei master universitari e che dipingono un
mondo in cui il sapere e l'entusiasmo dei dipendenti è il principale
patrimonio delle aziende. In altre parole: c'è un vero bisogno di
flessibilità nel lavoro, per rendere le aziende più produttive, ma questo
non ha nulla a che fare con l'articolo 18, né con i licenziamenti (sempre
possibili, come la cronaca quotidiana dimostra ogni giorno). E' una
flessibilità che fa bene al lavoro e al lavoratore, se è capace di non
gravarlo di fatiche e obblighi inutili e afflittivi, e gli permette di
lavorare con interesse, dando il meglio di sé. E' quella flessibilità di
cui ha goduto per molto tempo il gruppo Virgilio-Matrix, dove 300 persone
tutte giovani ci davano dentro con entusiasmo, al di là degli orari e della
contrattualistica. L'irruzione dei nuovi manager, con la pretesa di
licenziare di colpo più di cento persone avrà comunque come effetto di
distruggere per sempre quel clima e quell'entusiasmo: la flessibilità che
veniva erogata volentieri dai giovani dipendenti verrà ritirata e
trasformata in rigida e inflessibile tutela della contrattualistica più
stretta. Quella società non sarà più la stessa, perderà le persone più
valide e per risparmiare 5-10 miliardi all'anno si sarà inflitta un danno
ben maggiore.
Il piccolo esempio serve per entrare nel merito sulla questione calda del
momento, guardandola dal punto di vista delle nuove tecnologie, nella nuova
economia e dei nuovi mestieri e saperi. L'abuso dell'aggettivo nuovo è
ovviamente voluto, per segnalare che sovente si tratta di un simulacro, di
un panno sventolato da un ventilatore artificiale, senza alcun vento di
vera innovazione.
Ma prima un passo indietro. "La testa sotto la sabbia", disse il capo della
Confindustria D'Amato, riferendosi alle posizioni della Cgil. Di rincalzo
il ministro Tremonti ha scomodato i luddisti inglesi che rompevano le
macchine per classificare le posizioni del sindacato come "fuori della
storia". E se fosse vero esattamente il contrario?Al di là del sovrappiù
polemico legato allo scontro politico, i critici della Cgil esprimono un
senso comune che in realtà anche nel centro sinistra molti condividono e
che recita così: confinato alla rappresentanza degli occupati di oggi (e
dei pensionati) il sindacato è oggettivamente conservatore, nel senso che
protegge ciò che esiste invece di darsi da fare per il futuro possibile. Lo
slogan pubblicitario di Silvio Berlusconi ("Chi sciopera lo fa contro i
suoi figli") consacra questa mistificazione.
Capita dunque che a sinistra (in parte della sinistra) l'appoggio alla Cgil
sia peloso e insincero: si apprezza la mobilitazione sociale e di piazza
perché fa gioco contro il governo, all'interno di una battaglia politico
generale più vasta, ma in fondo al cuore si pensa che sia davvero una
battaglia conservatrice e poco lungimirante: utile oggi perché governa
Berlusconi, ma inutile e sbagliata se "governassimo noi". Si sostiene
Cofferati, ma si pensa che tutto sommato abbia ragione Tremonti. E' un
errore vistoso e non solo per motivi tattici (perché indebolisce una
battaglia importante), ma anche strategici. L'enfasi che la Cgil pone sui
diritti è in verità quanto di più moderno e avanzato sta emergendo sul
terreno del lavoro. Come Stefano Rodotà non si stanca di ripetere, non solo
i livelli di civiltà di un paese, ma anche quelli di efficienza e di
ricchezza, dipendono ormai fortemente dalla qualità dei diritti che ai
cittadini, ai consumatori, ai clienti e ovviamente ai lavoratori vengono
riconosciuti. Non solo i diritti più classici, ma anche quelli avanzati.
Detta in termini più espliciti: se fino ad ora il rapporto di lavoro (come
per esempio codificato nei contratti) è stato costituito da alcune voci
tipiche come retribuzione, orario, organizzazione del lavoro, possibilità
di carriera, oggi ad esso si aggiunge (e sempre di più i lavoratori
chiedono), riconoscimento "morale", valorizzazione delle persone, in una
parola "dignità".
Nei primi scioperi fatti dalla sola Fiom contro un contratto di lavoro che
era stato firmato dagli altri sindacati in evidente violazione della
piattaforma concordata con i lavoratori, molti si stupirono nel vedere in
strada, tra i più colorati e rumorosi, i giovani dei Call center Omnitel
(per una eredità storica sono inquadrati come metalmeccanici, essendo
Omnitel figlia di Olivetti, che una volta faceva macchine da scrivere -
metalliche appunto). Ma non molti notarono che la rabbia e il motivo per
cui erano in corteo non erano le poche migliaia di lire di differenza tra
la piattaforma e l'accordo, ma la violazione di una democrazia che un
giovane d'oggi considera essenziale e non opzionale. Una questione di
diritti e dignità dunque, ovvero di valori prima che di interessi. Questo
ovviamente è tipico di una società ricca: quando le condizioni di vita sono
basse, prevarranno gli interessi materiali, e in nome di questi si
ingoieranno anche pesanti limitazioni della libertà. In certi paesi del
mondo il lavoro nelle fabbriche dello sfruttamento appare come una
conquista rispetto allo stomaco sempre vuoto. Nei paesi dove invece il
tetto e il pasto sono comunque garantiti, le persone invece non si
accontentano più e vogliono diritti. Modernità appunto.
E' lo stesso percorso che anche le aziende seguono passando dalla
produzioni industriali di massa ai servizi e poi da questi all'aggiunta di
valore alle merci arricchendole di "esperienza". Si chiama XP l'ultimo
sistema operativo di Microsoft, per segnalare che non si tratta appunto
solo di un prodotto, ma di una "eXPerience" ricca dal punto di vista
sensoriale. E gli scaffali delle biblioteche si arricchiscono ormai giorno
dopo giorno di saggi dedicati alla "Experience Economy". Ma la produzione
di esperienze ricche da vendere al consumatore può avvenire solo in un
ambiente di fabbricazione altrettanto ricco e aperto. Non c'è corso di
addestramento né caporeparto di ferro che possa ottenere vera gentilezza e
calore umano dagli operatori dei Call center se non gli si riconosce
contemporanemante dignità di persona e diritti.