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non solo pane l'e-worker chiede dignita'
- Subject: non solo pane l'e-worker chiede dignita'
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 25 Mar 2002 17:44:58 +0100
dal manifesto 17 Marzo 2002 Non solo pane. L'e-worker chiede dignità Dai call center ai siti web, i "nuovi operai" non lottano più solo per la retribuzione, ma per essere valorizzati FRANCO CARLINI Visita in un grande gruppo industriale - il nome non importa - a guida illuminata, e dotato di un marchio noto in tutto il mondo. Qui scopri che il cartellino segnatempo - di quelli elettronici che vanno strisciati nella apposita fessura - è ovviamente in grado di memorizzare al secondo gli istanti di ingresso e di uscita dei dipendenti, ma che l'ufficio personale lo fa scattare solo ogni 15 minuti. Perciò chi entri alle 9.03 risulterà transitato alle 9.15, con un "furto" di 12 minuti. Viceversa i minuti di lavoro erogati in più non vengono conteggiati a recupero. Nello stesso grande gruppo l'accesso a Internet può essere ottenuto solo facendo speciale domanda e spiegando perché se ne ha bisogno. Sono due piccoli esempi di una flessibilità nelle prestazioni di lavoro dipendente che dovrebbero essere ovvie e normali; oltre a tutto sono possibili, a costo zero, grazie alle tecnologie elettroniche, ma non vengono concesse. Non fanno parte delle politiche aziendali e nemmeno sono state richieste in alcuna vertenza sindacale. Perché il gruppo in questione, qui usato solo come esempio, non dimostra quella apertura mentale che potrebbe accrescere la qualità della vita di lavoro? Probabilmente c'è una quota di miopia, ma anche la "necessità" di ribadire chi comanda: i piccoli soprusi padronali non sono tanto utili in sé, quanto nel rafforzare la catena di comando, nella convinzione che i dipendenti abbiano sempre da essere tenuti alla frusta, sennò se ne approfittano. Tutto ciò non ha nulla a che fare con le teorie sulla valorizzazione delle persone (modernamente chiamate "risorse umane") che si leggono nei saggi di management, che si insegnano nei master universitari e che dipingono un mondo in cui il sapere e l'entusiasmo dei dipendenti è il principale patrimonio delle aziende. In altre parole: c'è un vero bisogno di flessibilità nel lavoro, per rendere le aziende più produttive, ma questo non ha nulla a che fare con l'articolo 18, né con i licenziamenti (sempre possibili, come la cronaca quotidiana dimostra ogni giorno). E' una flessibilità che fa bene al lavoro e al lavoratore, se è capace di non gravarlo di fatiche e obblighi inutili e afflittivi, e gli permette di lavorare con interesse, dando il meglio di sé. E' quella flessibilità di cui ha goduto per molto tempo il gruppo Virgilio-Matrix, dove 300 persone tutte giovani ci davano dentro con entusiasmo, al di là degli orari e della contrattualistica. L'irruzione dei nuovi manager, con la pretesa di licenziare di colpo più di cento persone avrà comunque come effetto di distruggere per sempre quel clima e quell'entusiasmo: la flessibilità che veniva erogata volentieri dai giovani dipendenti verrà ritirata e trasformata in rigida e inflessibile tutela della contrattualistica più stretta. Quella società non sarà più la stessa, perderà le persone più valide e per risparmiare 5-10 miliardi all'anno si sarà inflitta un danno ben maggiore. Il piccolo esempio serve per entrare nel merito sulla questione calda del momento, guardandola dal punto di vista delle nuove tecnologie, nella nuova economia e dei nuovi mestieri e saperi. L'abuso dell'aggettivo nuovo è ovviamente voluto, per segnalare che sovente si tratta di un simulacro, di un panno sventolato da un ventilatore artificiale, senza alcun vento di vera innovazione. Ma prima un passo indietro. "La testa sotto la sabbia", disse il capo della Confindustria D'Amato, riferendosi alle posizioni della Cgil. Di rincalzo il ministro Tremonti ha scomodato i luddisti inglesi che rompevano le macchine per classificare le posizioni del sindacato come "fuori della storia". E se fosse vero esattamente il contrario?Al di là del sovrappiù polemico legato allo scontro politico, i critici della Cgil esprimono un senso comune che in realtà anche nel centro sinistra molti condividono e che recita così: confinato alla rappresentanza degli occupati di oggi (e dei pensionati) il sindacato è oggettivamente conservatore, nel senso che protegge ciò che esiste invece di darsi da fare per il futuro possibile. Lo slogan pubblicitario di Silvio Berlusconi ("Chi sciopera lo fa contro i suoi figli") consacra questa mistificazione. Capita dunque che a sinistra (in parte della sinistra) l'appoggio alla Cgil sia peloso e insincero: si apprezza la mobilitazione sociale e di piazza perché fa gioco contro il governo, all'interno di una battaglia politico generale più vasta, ma in fondo al cuore si pensa che sia davvero una battaglia conservatrice e poco lungimirante: utile oggi perché governa Berlusconi, ma inutile e sbagliata se "governassimo noi". Si sostiene Cofferati, ma si pensa che tutto sommato abbia ragione Tremonti. E' un errore vistoso e non solo per motivi tattici (perché indebolisce una battaglia importante), ma anche strategici. L'enfasi che la Cgil pone sui diritti è in verità quanto di più moderno e avanzato sta emergendo sul terreno del lavoro. Come Stefano Rodotà non si stanca di ripetere, non solo i livelli di civiltà di un paese, ma anche quelli di efficienza e di ricchezza, dipendono ormai fortemente dalla qualità dei diritti che ai cittadini, ai consumatori, ai clienti e ovviamente ai lavoratori vengono riconosciuti. Non solo i diritti più classici, ma anche quelli avanzati. Detta in termini più espliciti: se fino ad ora il rapporto di lavoro (come per esempio codificato nei contratti) è stato costituito da alcune voci tipiche come retribuzione, orario, organizzazione del lavoro, possibilità di carriera, oggi ad esso si aggiunge (e sempre di più i lavoratori chiedono), riconoscimento "morale", valorizzazione delle persone, in una parola "dignità". Nei primi scioperi fatti dalla sola Fiom contro un contratto di lavoro che era stato firmato dagli altri sindacati in evidente violazione della piattaforma concordata con i lavoratori, molti si stupirono nel vedere in strada, tra i più colorati e rumorosi, i giovani dei Call center Omnitel (per una eredità storica sono inquadrati come metalmeccanici, essendo Omnitel figlia di Olivetti, che una volta faceva macchine da scrivere - metalliche appunto). Ma non molti notarono che la rabbia e il motivo per cui erano in corteo non erano le poche migliaia di lire di differenza tra la piattaforma e l'accordo, ma la violazione di una democrazia che un giovane d'oggi considera essenziale e non opzionale. Una questione di diritti e dignità dunque, ovvero di valori prima che di interessi. Questo ovviamente è tipico di una società ricca: quando le condizioni di vita sono basse, prevarranno gli interessi materiali, e in nome di questi si ingoieranno anche pesanti limitazioni della libertà. In certi paesi del mondo il lavoro nelle fabbriche dello sfruttamento appare come una conquista rispetto allo stomaco sempre vuoto. Nei paesi dove invece il tetto e il pasto sono comunque garantiti, le persone invece non si accontentano più e vogliono diritti. Modernità appunto. E' lo stesso percorso che anche le aziende seguono passando dalla produzioni industriali di massa ai servizi e poi da questi all'aggiunta di valore alle merci arricchendole di "esperienza". Si chiama XP l'ultimo sistema operativo di Microsoft, per segnalare che non si tratta appunto solo di un prodotto, ma di una "eXPerience" ricca dal punto di vista sensoriale. E gli scaffali delle biblioteche si arricchiscono ormai giorno dopo giorno di saggi dedicati alla "Experience Economy". Ma la produzione di esperienze ricche da vendere al consumatore può avvenire solo in un ambiente di fabbricazione altrettanto ricco e aperto. Non c'è corso di addestramento né caporeparto di ferro che possa ottenere vera gentilezza e calore umano dagli operatori dei Call center se non gli si riconosce contemporanemante dignità di persona e diritti.
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