il fantasma della lotta di classe



dal manifesto

     
    
 
    
 

17 Marzo 2002 
  
 
   
Il fantasma della lotta di classe
Libertà intellettuale, diritti dei lavoratori. Tutti i perché di
un'alleanza necessaria. Intervista a Alberto Asor Rosa IDA DOMINIJANNI 




L'idea, dice Alberto Asor Rosa, gli è venuta all'incontro del 22 febbraio
allo Stenditoio, dove Fassino aveva chiamato a raccolta gli intellettuali
"disorganici" dopo lo strillo di Moretti, e dove "era lampante e clamoroso
che nessuno pensasse di collegare quel movimento di critica al
centrosinistra con un fatto incomparabilmente più strategico come la
proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil". Tanto lampante
e clamorosa era la dimenticanza che Asor Rosa fece lì, dal palco dello
Stenditoio, la sua provocazione, rivolgendo a Fassino un'impertinente
domanda - "e se una volta riparlassimo, caro Piero, di lotta di classe"? -
che piombò sulla sala con la pesantezza di un fantasma rimosso. "In fondo,
era solo una citazione letteraria", sorride adesso Asor Rosa: dal Brecht
che al congresso degli scrittori antifascisti del 1936 a Parigi invitava
appunto a parlare di lotta di classe, oltre che di antifascismo ("discorso
ripubblicato negli anni Sessanta sui Quaderni Rossi", aggiunge il
professore tanto per tenere presenti le genealogie giuste). Con gli anni
Trenta sempre davanti a noi, ci risiamo: non di sola questione democratica
contro il rischio del regime è fatta l'opposizione a Berlusconi; c'è la
lotta di classe appunto, ovvero il conflitto capitale-lavoro, che è quello
decisivo anche per la questione democratica. Così, da "un impulso insieme
sentimentale e razionale, di quelli che dovremmo provare e ascoltare più
spesso", Asor Rosa ha maturato l'idea di organizzare per domani pomeriggio
a Roma, Residence di Ripetta, un altro incontro di intellettuali, ma questa
volta con Sergio Cofferati, per discutere il perché e il per come di un
legame necessario fra l'universo loro e quello del movimento sindacale. La
convocazione è affidata a un testo, pubblicato su vari quotidiani, che
denuncia il tentativo berlusconiano "di plasmare il lavoro e la società
sulla base del comando padronale, ben rappresentato dal Grande
Imprenditore-Padrone dell'Informazione-Capo assoluto del Governo" e
conclude: "Le intellettuali e gli intellettuali che firmano questo appello
sono persuasi che esista una piena coerenza fra i movimenti delle settimane
passate e la scelta da compiere nella battaglia che si è aperta sui diritti
dei lavoratori in fabbrica, sulla scuola, la parità, l'occupazione, la
contrattazione sindacale". L'invito è a partecipare alla manifestazione del
23 e allo sciopero generale. Le firme, fra le altre, sono di Paul Ginzborg,
Umberto Eco, Mario Tronti, Remo Bodei, Rossana Rossanda, Maria Luisa
Boccia, Antonio Tabucchi, Gabriella Bonacchi, Tullio De Mauro, Giacomo
Marramao, Daniele Del Giudice, Rita Di Leo, Inge e Carlo Feltrinelli, Luigi
Ferrajoli, Luciano Gallino, Gianni Vattimo, Tamar Pitch, Lea Melandri,
Marina Zancan.


Lo sciopero generale è un appuntamente incomparabilmente più strategico,
dici, dei movimenti che abbiamo visto nelle ultime settimane. Eppure c'è un
senso comune, anche a sinistra, che lo vede come incomparabilmente più
settorialee difensivo: in fondo, nell'articolo 18 ne va dell'interesse di
una piccola parte di lavoratori...

Se sull'articolo 18 il governo Berlusconi e la Confindustria non passano,
la prospettiva storica cambia. Se passano, cambia nel senso contrario.
Dunque, si tratta di un conflitto decisivo. Quanto al suo carattere
difensivo, si tratta solo di intendersi: quando si è aggrediti
violentemente, ci si difende. E se la difesa va a buon fine, si può
cominciare a contrattaccare.

Il testo di convocazione dell'incontro di domani recita fra l'altro: "Il
conflitto tocca ormai le questioni fondamentali della libertà intellettuale
e della ricerca, si trasforma in una scelta di civiltà, alla quale nessuno
può sottrarsi". Come dire: non c'è solo da offrire solidarietà alla Cgil,
la posta in gioco tocca direttamente la stessa condizione degli intellettuali.

Sì, ho voluto almeno segnalare questo punto, pur senza poterlo
approfondire. In prima istanza, adesso bisogna far crescere un legame di
solidarietà degli intellettuali con i lavoratori e con la Cgil in
particolare. Ma subito dopo viene il problema di come le stesse figure
intellettuali sono investite dal conflitto con il governo: e non solo le
nuove figure intellettuali cui tanto spesso si allude, ma anche le vecchie.
Scuola, università, forme della ricerca sono tutte sotto mira. Il conflitto
sociale che si è aperto parla dunque anche a noi e di noi intellettuali.
Soprattutto di quelli ancora privi di un profilo consolidato, che si
trovano in quella lunga fase di formazione che va ormai dalla scuola ai 40
anni: fasce generazionali che hanno perduto ogni riferimento politico.

E sulle quali l'analisi politica della sinistra di governo va molto per le
spicce: le partite iva innovatrici ma di destra di qua, il lavoro
dipendente di sinistra ma conservatore di là...

Ho cercato nei materiali della Cgil qualche spunto di analisi della
condizione intellettuale, non c'è molto ma c'è comunque di più che
nell'analisi politica corrente. Scontiamo anche questo oggi: fino a una
decina d'anni fa la vicenda politica è stata accompagnata da uno sforzo di
ricerca e di innovazione analitica, da un certo punto in poi, a sinistra,
abbiamo cominciato a navigare a vista. Sul lavoro intellettuale non abbiamo
che qualche spezzone d'analisi, ma senza quell'ipotesi strategica che
sarebbe necessaria per raccordare figure tanto diverse e tanto disperse. La
Cgil almeno evidenzia che c'è un problema cruciale nel rapporto fra mondo
del lavoro e mondo della scuola e della formazione: se partissimo da qui?

Torniamo all'articolo 18. Come ti spieghi l'irrigidimento del governo?
Invece dello scontro frontale, Berlusconi avrebbe potuto scegliere di fare
quel piccolo passo indietro che gli consentiva di dividere i sindacati. Dal
suo punto di vista, poteva essere una strategia più lungimirante....

Fausto Bertinotti, nella sua intervista sull'Unità di sabato, sostiene che
la rigidità di Berlusconi non indica tanto la sua obbedienza alla
Confindustria quanto la sua intenzione di imporre all'Italia una cura
thatcheriana. In prospettiva forse ha ragione, ma nell'immediato io ritengo
che l'urgenza di pagare le cambiali alla Confindustria sia stata
determinante, salvo aprire nel blocco sociale e politico che ha vinto le
elezioni un'incrinatura che per adesso Berlusconi non può permettersi.

Questo vuol dire che il governo Berlusconi non ha alcuna autonomia
politica? Che la politica e l'economia sono diventate la stessa cosa nella
stessa persona del politico-imprenditore?

Significa che per il momento Berlusconi guida un blocco fatto di tanti
pezzi, a nessuno dei quali può rinunciare. Può anche darsi che fra un anno
il quadro cambi, consentendogli magari di sostituire quella sua personale
creatura che è il presidente della Confindustria.

Hai letto il controappello di intellettuali filogovernativi sull'articolo
18? Promette "lavoro più europeo, più occupati regolari, ammortizzatori
sociali universali, libertà di lavorare e cambiare lavoro" e altri
consimili paradisi.

Parlano gli ideologi dello sfondamento capitalistico, e come sempre si
camuffano da agnelli.

Prima accennavi all'intervista di Bertinotti a Sansonetti. Che pensi della
sua apertura all'Ulivo?

E' un passo avanti molto importante. Va bene, se qualcuno la prende sul
serio e se Bertinotti la porta avanti sul serio.

Molte cose sono in movimento, la leadership dell'Ulivo, per ora, è ferma.
Fino a quando?

Non vorrei confondere il problema della leadership con tutto quello che
bolle in pentola. Ora come ora, bisogna lavorare per la buona riuscita
della manifestazione del 23 e per la proclamazione unitaria dello sciopero
generale. Il resto viene dopo, e comunque ci pensiamo dopo.

La piega degli eventi dipende anche dal contesto internazionale. A
Barcellona la linea Blair-Berlusconi non è passata, ma da Barcellona
Berlusconi lancia le sue minacce alla "piazza".

Anche il contesto europeo si trova in un passaggio delicato. Intanto però
registro con soddisfazione che John Monks, il leader delle Trade Unions
inglesi, ha definito "bloody stupid", dannatamente stupido, l'asse
Blair-Berlusconi sulla flessibilità, e ha detto che Blair sembra più di
destra dei governi di centrodestra, una bella mazzata sulla testa.
Evidentemente l'impenetrabile Albione comincia a rivelarsi.