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il fantasma della lotta di classe
- Subject: il fantasma della lotta di classe
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 22 Mar 2002 18:30:46 +0100
dal manifesto 17 Marzo 2002 Il fantasma della lotta di classe Libertà intellettuale, diritti dei lavoratori. Tutti i perché di un'alleanza necessaria. Intervista a Alberto Asor Rosa IDA DOMINIJANNI L'idea, dice Alberto Asor Rosa, gli è venuta all'incontro del 22 febbraio allo Stenditoio, dove Fassino aveva chiamato a raccolta gli intellettuali "disorganici" dopo lo strillo di Moretti, e dove "era lampante e clamoroso che nessuno pensasse di collegare quel movimento di critica al centrosinistra con un fatto incomparabilmente più strategico come la proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil". Tanto lampante e clamorosa era la dimenticanza che Asor Rosa fece lì, dal palco dello Stenditoio, la sua provocazione, rivolgendo a Fassino un'impertinente domanda - "e se una volta riparlassimo, caro Piero, di lotta di classe"? - che piombò sulla sala con la pesantezza di un fantasma rimosso. "In fondo, era solo una citazione letteraria", sorride adesso Asor Rosa: dal Brecht che al congresso degli scrittori antifascisti del 1936 a Parigi invitava appunto a parlare di lotta di classe, oltre che di antifascismo ("discorso ripubblicato negli anni Sessanta sui Quaderni Rossi", aggiunge il professore tanto per tenere presenti le genealogie giuste). Con gli anni Trenta sempre davanti a noi, ci risiamo: non di sola questione democratica contro il rischio del regime è fatta l'opposizione a Berlusconi; c'è la lotta di classe appunto, ovvero il conflitto capitale-lavoro, che è quello decisivo anche per la questione democratica. Così, da "un impulso insieme sentimentale e razionale, di quelli che dovremmo provare e ascoltare più spesso", Asor Rosa ha maturato l'idea di organizzare per domani pomeriggio a Roma, Residence di Ripetta, un altro incontro di intellettuali, ma questa volta con Sergio Cofferati, per discutere il perché e il per come di un legame necessario fra l'universo loro e quello del movimento sindacale. La convocazione è affidata a un testo, pubblicato su vari quotidiani, che denuncia il tentativo berlusconiano "di plasmare il lavoro e la società sulla base del comando padronale, ben rappresentato dal Grande Imprenditore-Padrone dell'Informazione-Capo assoluto del Governo" e conclude: "Le intellettuali e gli intellettuali che firmano questo appello sono persuasi che esista una piena coerenza fra i movimenti delle settimane passate e la scelta da compiere nella battaglia che si è aperta sui diritti dei lavoratori in fabbrica, sulla scuola, la parità, l'occupazione, la contrattazione sindacale". L'invito è a partecipare alla manifestazione del 23 e allo sciopero generale. Le firme, fra le altre, sono di Paul Ginzborg, Umberto Eco, Mario Tronti, Remo Bodei, Rossana Rossanda, Maria Luisa Boccia, Antonio Tabucchi, Gabriella Bonacchi, Tullio De Mauro, Giacomo Marramao, Daniele Del Giudice, Rita Di Leo, Inge e Carlo Feltrinelli, Luigi Ferrajoli, Luciano Gallino, Gianni Vattimo, Tamar Pitch, Lea Melandri, Marina Zancan. Lo sciopero generale è un appuntamente incomparabilmente più strategico, dici, dei movimenti che abbiamo visto nelle ultime settimane. Eppure c'è un senso comune, anche a sinistra, che lo vede come incomparabilmente più settorialee difensivo: in fondo, nell'articolo 18 ne va dell'interesse di una piccola parte di lavoratori... Se sull'articolo 18 il governo Berlusconi e la Confindustria non passano, la prospettiva storica cambia. Se passano, cambia nel senso contrario. Dunque, si tratta di un conflitto decisivo. Quanto al suo carattere difensivo, si tratta solo di intendersi: quando si è aggrediti violentemente, ci si difende. E se la difesa va a buon fine, si può cominciare a contrattaccare. Il testo di convocazione dell'incontro di domani recita fra l'altro: "Il conflitto tocca ormai le questioni fondamentali della libertà intellettuale e della ricerca, si trasforma in una scelta di civiltà, alla quale nessuno può sottrarsi". Come dire: non c'è solo da offrire solidarietà alla Cgil, la posta in gioco tocca direttamente la stessa condizione degli intellettuali. Sì, ho voluto almeno segnalare questo punto, pur senza poterlo approfondire. In prima istanza, adesso bisogna far crescere un legame di solidarietà degli intellettuali con i lavoratori e con la Cgil in particolare. Ma subito dopo viene il problema di come le stesse figure intellettuali sono investite dal conflitto con il governo: e non solo le nuove figure intellettuali cui tanto spesso si allude, ma anche le vecchie. Scuola, università, forme della ricerca sono tutte sotto mira. Il conflitto sociale che si è aperto parla dunque anche a noi e di noi intellettuali. Soprattutto di quelli ancora privi di un profilo consolidato, che si trovano in quella lunga fase di formazione che va ormai dalla scuola ai 40 anni: fasce generazionali che hanno perduto ogni riferimento politico. E sulle quali l'analisi politica della sinistra di governo va molto per le spicce: le partite iva innovatrici ma di destra di qua, il lavoro dipendente di sinistra ma conservatore di là... Ho cercato nei materiali della Cgil qualche spunto di analisi della condizione intellettuale, non c'è molto ma c'è comunque di più che nell'analisi politica corrente. Scontiamo anche questo oggi: fino a una decina d'anni fa la vicenda politica è stata accompagnata da uno sforzo di ricerca e di innovazione analitica, da un certo punto in poi, a sinistra, abbiamo cominciato a navigare a vista. Sul lavoro intellettuale non abbiamo che qualche spezzone d'analisi, ma senza quell'ipotesi strategica che sarebbe necessaria per raccordare figure tanto diverse e tanto disperse. La Cgil almeno evidenzia che c'è un problema cruciale nel rapporto fra mondo del lavoro e mondo della scuola e della formazione: se partissimo da qui? Torniamo all'articolo 18. Come ti spieghi l'irrigidimento del governo? Invece dello scontro frontale, Berlusconi avrebbe potuto scegliere di fare quel piccolo passo indietro che gli consentiva di dividere i sindacati. Dal suo punto di vista, poteva essere una strategia più lungimirante.... Fausto Bertinotti, nella sua intervista sull'Unità di sabato, sostiene che la rigidità di Berlusconi non indica tanto la sua obbedienza alla Confindustria quanto la sua intenzione di imporre all'Italia una cura thatcheriana. In prospettiva forse ha ragione, ma nell'immediato io ritengo che l'urgenza di pagare le cambiali alla Confindustria sia stata determinante, salvo aprire nel blocco sociale e politico che ha vinto le elezioni un'incrinatura che per adesso Berlusconi non può permettersi. Questo vuol dire che il governo Berlusconi non ha alcuna autonomia politica? Che la politica e l'economia sono diventate la stessa cosa nella stessa persona del politico-imprenditore? Significa che per il momento Berlusconi guida un blocco fatto di tanti pezzi, a nessuno dei quali può rinunciare. Può anche darsi che fra un anno il quadro cambi, consentendogli magari di sostituire quella sua personale creatura che è il presidente della Confindustria. Hai letto il controappello di intellettuali filogovernativi sull'articolo 18? Promette "lavoro più europeo, più occupati regolari, ammortizzatori sociali universali, libertà di lavorare e cambiare lavoro" e altri consimili paradisi. Parlano gli ideologi dello sfondamento capitalistico, e come sempre si camuffano da agnelli. Prima accennavi all'intervista di Bertinotti a Sansonetti. Che pensi della sua apertura all'Ulivo? E' un passo avanti molto importante. Va bene, se qualcuno la prende sul serio e se Bertinotti la porta avanti sul serio. Molte cose sono in movimento, la leadership dell'Ulivo, per ora, è ferma. Fino a quando? Non vorrei confondere il problema della leadership con tutto quello che bolle in pentola. Ora come ora, bisogna lavorare per la buona riuscita della manifestazione del 23 e per la proclamazione unitaria dello sciopero generale. Il resto viene dopo, e comunque ci pensiamo dopo. La piega degli eventi dipende anche dal contesto internazionale. A Barcellona la linea Blair-Berlusconi non è passata, ma da Barcellona Berlusconi lancia le sue minacce alla "piazza". Anche il contesto europeo si trova in un passaggio delicato. Intanto però registro con soddisfazione che John Monks, il leader delle Trade Unions inglesi, ha definito "bloody stupid", dannatamente stupido, l'asse Blair-Berlusconi sulla flessibilità, e ha detto che Blair sembra più di destra dei governi di centrodestra, una bella mazzata sulla testa. Evidentemente l'impenetrabile Albione comincia a rivelarsi.
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