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merci su ferrovia in cerca di progetto
- Subject: merci su ferrovia in cerca di progetto
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 02 Mar 2002 06:44:10 +0100
dal sole24ore Martedì 26 Febbraio 2002 ore 19:04 Merci su ferrovia in cerca di progetto di Andrea Boitani e Marco Ponti L'imminente riapertura del traforo stradale del Monte Bianco richiede qualche riflessione generale sul tema del trasporto merci, tenendo conto dei rischi per un ecosistema delicato qual è la maggiore catena montuosa d'Europa con le sue valli; delle resistenze che la prospettiva della riapertura ha generato da parte delle comunità locali; nonché - su altro fronte - delle tensioni conseguenti all'obbligo imposto dalla Commissione europea di restituire le agevolazioni indebite concesse ai camionisti e infine delle polemiche sul recente "Libro Bianco" europeo sui trasporti. È opportuno ricordare, innanzitutto, che il trasporto di merci pesanti su lunghe distanze è uno dei pochi mercati in cui la modalità ferroviaria, in un'economia moderna, ha tutte le caratteristiche per prevalere, sia sotto i profili della funzionalità e dei costi privati che dal punto di vista ambientale. E ciò è tanto più vero quando si tratta di trasporto che valica le Alpi, perché in questo caso la risorsa ambientale messa a rischio dal trasporto stradale è particolarmente pregiata. Il modo ferroviario non prevale, nei fatti, a causa delle inefficienze accumulate storicamente in un secolo di regime monopolistico e per l'orientamento troppo favorevole alla strada delle politiche europee e, in particolare, italiane. Si possono discutere le misure più efficaci e più efficienti per promuovere uno spostamento dei traffici dalla strada alla ferrovia, ma sembra difficile contestare l'assunto, anche per i vantaggi che ne deriverebbero alle componenti del traffico stradale che è invece irragionevole ridurre o disincentivare. Porre vincoli non è certo una politica che brilli per efficienza economica, ma in alcuni casi - e temporaneamente - può essere l'unica soluzione. I vincoli possono poi essere resi "virtuosi" organizzandoli in modo selettivo. I danni ambientali maggiori infatti sono generati da una quota relativamente ridotta dei mezzi pesanti (soprattutto quelli più vecchi o con scarsa manutenzione). È allora possibile concentrare i vincoli su questi mezzi impedendo, per esempio, ai veicoli che non rispettino le norme "Euro 3" sulle emissioni, di percorrere il traforo del Monte Bianco e gli altri valichi alpini. Un approccio del tutto analogo può valere per temperare l'irrefrenabile istinto dei politici a favorire interessi locali e concentrati, come quelli dei camionisti. E come altro si può definire una politica pluriennale di agevolazioni che si sapeva essere in contrasto frontale con le norme europee? Politica di agevolazioni che, inoltre, appare grottesca anche a livello nazionale: perché si sussidia per molti miliardi di euro il modo ferroviario se poi si agevola conteporaneamente il modo concorrente? E quale mai può essere l'obiettivo dei sussidi alla ferrovia, se non incrementarne l'uso per motivi ambientali e di congestione stradale? E se proprio non se ne può fare a meno, perché non orientare esplicitamente il supporto al trasporto merci su strada all'obiettivo di ridurne l'impatto ambientale (rinnovo del parco)? È forse utile ricordare che le emissioni nocive dei mezzi stradali sono drasticamente diminuite, ma non è diminuito il CO2, principale responsabile dell'effetto serra e che il traffico stradale continua ad aumentare. E allora perché non favorire, con una politica di pedaggi, l'uso di alternative modali (ferrovia, "autostrade del mare") o di orario (notte), o di itinerario (le tratte autostradali meno congestionate), tali da migliorare la mobilità complessiva del paese? È pur vero che il settore stradale è fortemente tassato, mentre quello ferroviario è fortemente sussidiato; ma tutte le ricerche europee ed italiane mostrano che il costo sociale generato dal trasporto stradale non è interamente compensato dalla tassazione e che esiste spazio per una politica dei pedaggi di efficienza. Autotrasportatori e costruttori di camion non dovrebbero allarmarsi e arroccarsi su posizioni logicamente fallaci. Va ricordato che una politica di spostamento modale, anche "di successo", non solo intaccherebbe ben poco il dominio del trasporto su gomma: come già detto, addirittura gli gioverebbe e non poco. La congestione, in aree dense come quelle europee, non è risolvibile - se non in misura modesta - con nuove strade. Un po' di traffico in più sulle ferrovie (poco sul totale, anche qualora fosse molto in relazione ai volumi attuali del sistema su ferro) consentirebbe una circolazione meno congestionata. Il che, probabilmente, favorirebbe il mercato di automobili di "gamma alta" per le quali elevati livelli di comfort e di prestazioni sarebbero più appetibili (per viaggiare in coda va bene un'utilitaria). La crescita del modo ferroviario, soprattutto per il trasporto merci, dovrebbe essere promossa più che aumentando i sussidi, accelerando l'apertura del settore alla concorrenza e addirittura promuovendola e facendo rapidamente robusti investimenti concentrati sui trafori ferroviari delle Alpi. Ma il Governo tace sulla liberalizzazione ferroviaria e gli investimenti per questa modalità sono affogati in una lista di "grandi opere" sempre più lunga e discutibile (per non parlare della discutibile riesumazione dei vecchi e onerosi rapporti contrattuali per l'Alta Velocità). Sarebbe opportuno destinare agli investimenti ferroviari prioritari, per esempio, una quota delle entrate eccezionali derivanti dalle misure che favoriscono il pentimento di chi in passato ha esportato capitali illegalmente. Entrate che sembrano essere ingenti. È purtroppo vero che l'accento sulla liberalizzazione dei mercati - e di quello ferroviario in particolare - si è affievolito proprio laddove era stato negli anni scorsi più vivace. Basta confrontare il nuovo Libro Bianco con quello precedente. Ma qui occorre conoscere un po' di retroscena reali. La Francia si è sempre opposta, e con successo, alla liberalizzazione ferroviaria in tutti i suoi aspetti. L'attuale documento è il frutto di una durissima trattativa, in cui i francesi accettano una reale liberalizzazione del trasporto merci ferroviario, in cambio di una forma meno liberistica del documento nel suo insieme. Ma il documento è anche estremamente generico sugli aspetti ambientali: gli standard di Kyoto sono al massimo un vago auspicio, non certo una minaccia di interventi radicali. In fondo, la vaghezza è il vero elemento caratterizzante del documento, e questo non favorisce una politica italiana ben indirizzata.
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