merci su ferrovia in cerca di progetto



dal sole24ore
 Martedì 26 Febbraio 2002  ore 19:04  
 
 
Merci su ferrovia in cerca di progetto 
di Andrea Boitani e Marco Ponti L'imminente riapertura del traforo stradale
del Monte Bianco richiede qualche riflessione generale sul tema del
trasporto merci, tenendo conto dei rischi per un ecosistema delicato qual è
la maggiore catena montuosa d'Europa con le sue valli; delle resistenze che
la prospettiva della riapertura ha generato da parte delle comunità locali;
nonché - su altro fronte - delle tensioni conseguenti all'obbligo imposto
dalla Commissione europea di restituire le agevolazioni indebite concesse
ai camionisti e infine delle polemiche sul recente "Libro Bianco" europeo
sui trasporti. È opportuno ricordare, innanzitutto, che il trasporto di
merci pesanti su lunghe distanze è uno dei pochi mercati in cui la modalità
ferroviaria, in un'economia moderna, ha tutte le caratteristiche per
prevalere, sia sotto i profili della funzionalità e dei costi privati che
dal punto di vista ambientale. E ciò è tanto più vero quando si tratta di
trasporto che valica le Alpi, perché in questo caso la risorsa ambientale
messa a rischio dal trasporto stradale è particolarmente pregiata. Il modo
ferroviario non prevale, nei fatti, a causa delle inefficienze accumulate
storicamente in un secolo di regime monopolistico e per l'orientamento
troppo favorevole alla strada delle politiche europee e, in particolare,
italiane. Si possono discutere le misure più efficaci e più efficienti per
promuovere uno spostamento dei traffici dalla strada alla ferrovia, ma
sembra difficile contestare l'assunto, anche per i vantaggi che ne
deriverebbero alle componenti del traffico stradale che è invece
irragionevole ridurre o disincentivare. Porre vincoli non è certo una
politica che brilli per efficienza economica, ma in alcuni casi - e
temporaneamente - può essere l'unica soluzione. I vincoli possono poi
essere resi "virtuosi" organizzandoli in modo selettivo. I danni ambientali
maggiori infatti sono generati da una quota relativamente ridotta dei mezzi
pesanti (soprattutto quelli più vecchi o con scarsa manutenzione). È allora
possibile concentrare i vincoli su questi mezzi impedendo, per esempio, ai
veicoli che non rispettino le norme "Euro 3" sulle emissioni, di percorrere
il traforo del Monte Bianco e gli altri valichi alpini. Un approccio del
tutto analogo può valere per temperare l'irrefrenabile istinto dei politici
a favorire interessi locali e concentrati, come quelli dei camionisti. E
come altro si può definire una politica pluriennale di agevolazioni che si
sapeva essere in contrasto frontale con le norme europee? Politica di
agevolazioni che, inoltre, appare grottesca anche a livello nazionale:
perché si sussidia per molti miliardi di euro il modo ferroviario se poi si
agevola conteporaneamente il modo concorrente? E quale mai può essere
l'obiettivo dei sussidi alla ferrovia, se non incrementarne l'uso per
motivi ambientali e di congestione stradale? E se proprio non se ne può
fare a meno, perché non orientare esplicitamente il supporto al trasporto
merci su strada all'obiettivo di ridurne l'impatto ambientale (rinnovo del
parco)? È forse utile ricordare che le emissioni nocive dei mezzi stradali
sono drasticamente diminuite, ma non è diminuito il CO2, principale
responsabile dell'effetto serra e che il traffico stradale continua ad
aumentare. E allora perché non favorire, con una politica di pedaggi, l'uso
di alternative modali (ferrovia, "autostrade del mare") o di orario
(notte), o di itinerario (le tratte autostradali meno congestionate), tali
da migliorare la mobilità complessiva del paese? È pur vero che il settore
stradale è fortemente tassato, mentre quello ferroviario è fortemente
sussidiato; ma tutte le ricerche europee ed italiane mostrano che il costo
sociale generato dal trasporto stradale non è interamente compensato dalla
tassazione e che esiste spazio per una politica dei pedaggi di efficienza.
Autotrasportatori e costruttori di camion non dovrebbero allarmarsi e
arroccarsi su posizioni logicamente fallaci. Va ricordato che una politica
di spostamento modale, anche "di successo", non solo intaccherebbe ben poco
il dominio del trasporto su gomma: come già detto, addirittura gli
gioverebbe e non poco. La congestione, in aree dense come quelle europee,
non è risolvibile - se non in misura modesta - con nuove strade. Un po' di
traffico in più sulle ferrovie (poco sul totale, anche qualora fosse molto
in relazione ai volumi attuali del sistema su ferro) consentirebbe una
circolazione meno congestionata. Il che, probabilmente, favorirebbe il
mercato di automobili di "gamma alta" per le quali elevati livelli di
comfort e di prestazioni sarebbero più appetibili (per viaggiare in coda va
bene un'utilitaria). La crescita del modo ferroviario, soprattutto per il
trasporto merci, dovrebbe essere promossa più che aumentando i sussidi,
accelerando l'apertura del settore alla concorrenza e addirittura
promuovendola e facendo rapidamente robusti investimenti concentrati sui
trafori ferroviari delle Alpi. Ma il Governo tace sulla liberalizzazione
ferroviaria e gli investimenti per questa modalità sono affogati in una
lista di "grandi opere" sempre più lunga e discutibile (per non parlare
della discutibile riesumazione dei vecchi e onerosi rapporti contrattuali
per l'Alta Velocità). Sarebbe opportuno destinare agli investimenti
ferroviari prioritari, per esempio, una quota delle entrate eccezionali
derivanti dalle misure che favoriscono il pentimento di chi in passato ha
esportato capitali illegalmente. Entrate che sembrano essere ingenti. È
purtroppo vero che l'accento sulla liberalizzazione dei mercati - e di
quello ferroviario in particolare - si è affievolito proprio laddove era
stato negli anni scorsi più vivace. Basta confrontare il nuovo Libro Bianco
con quello precedente. Ma qui occorre conoscere un po' di retroscena reali.
La Francia si è sempre opposta, e con successo, alla liberalizzazione
ferroviaria in tutti i suoi aspetti. L'attuale documento è il frutto di una
durissima trattativa, in cui i francesi accettano una reale
liberalizzazione del trasporto merci ferroviario, in cambio di una forma
meno liberistica del documento nel suo insieme. Ma il documento è anche
estremamente generico sugli aspetti ambientali: gli standard di Kyoto sono
al massimo un vago auspicio, non certo una minaccia di interventi radicali.
In fondo, la vaghezza è il vero elemento caratterizzante del documento, e
questo non favorisce una politica italiana ben indirizzata.