welfare il futuro e' nell'assistenza



dal sole24ore
 Sabato 16 Febbraio 2002  ore 19:49  
 
 
Welfare, il futuro è nell'assistenza 
di Elsa Fornero Anche nelle età anziane, le famiglie italiane continuano a
risparmiare, smentendo le teorie economiche secondo le quali dovrebbero
invece decumulare ricchezza. La ragione principale di tale comportamento
sembra essere il risparmio precauzionale, ovvero il risparmio che si
accumula in vista di futuri e imprevedibili eventi negativi. In effetti,
l'incertezza è tanta, anche nella fase "inattiva" della vita. Non si tratta
più, però, dell'incertezza sul "capitale umano", ossia sulla sicurezza del
posto di lavoro e del reddito che ne deriva, bensì dell'incertezza sulla
durata della vita, sulle condizioni di salute e, in particolare, sulle
condizioni di autosufficienza. Mentre le pensioni - oggi soprattutto
pubbliche, ma in futuro anche private - forniscono una risposta al primo
tipo di rischio (assicurando un flusso di risorse che sarà pagato sino a
che il pensionato sarà in vita, con estensione anche ai superstiti); mentre
la sanità pubblica si occupa, bene o male, del secondo, il terzo rimane
ancora largamente inevaso. Con la conseguenza che esso è direttamente
assorbito dalla famiglia o, quando subentrino condizioni di bisogno, dalla
collettività, e quindi dai bilanci pubblici, in particolare degli enti
locali. L'assistenza agli anziani. Una delle conseguenze - forse meno
discussa, ma certamente importante - dell'invecchiamento demografico è
infatti rappresentata dall'incremento della frazione di popolazione anziana
bisognosa di assistenza perché inabilitata, a diversi livelli di gravità, a
svolgere le normali funzioni della vita quotidiana. Nella sua dimensione
sociale, il problema è aggravato dal vuoto di assistenza lasciato dalla
tendenziale scomparsa della tradizionale "famiglia allargata", all'interno
della quale si provvedeva un tempo a questi compiti. Così com'è oggi
configurato, il problema non lascia molto spazio alla ricerca di soluzioni,
nel senso che agli anziani non autosufficienti occorre provvedere in una
logica di solidarietà, trasferendo loro risorse, non soltanto monetarie.
Secondo dati dell'Istat, gli anziani con problemi di autosufficienza sono
all'incirca 2 milioni, con un'incidenza che è del 10% per la popolazione
nella classe di età 65-74; del 20% nella classe 75-79 e di circa il 50%
nella popolazione sopra gli 80 anni. Per il futuro, le proiezioni
demografiche non sembrano indicare un peggioramento di tali percentuali e
anzi, grazie ai progressi della medicina e delle tecnologie di assistenza,
gli scenari più realistici ipotizzano una stabilizzazione, e non un
aumento, dei tassi di non autosufficienza. Tuttavia, l'aumento della
popolazione anziana farà pur sempre aumentare sensibilmente il numero dei
non autosufficienti, se non la loro frazione. Il caso della Germania. Al di
là della solidarietà che deve valere nel presente, le statistiche e
l'esperienza di altri Paesi suggeriscono che il rischio di non
autosufficienza è assicurabile. Con riguardo al futuro, pertanto, anche
allo scopo di alleggerire i bilanci pubblici, il problema della migliore
configurazione per tale assicurazione non soltanto si pone, ma in altri
Paesi è già stato risolto. È il caso, ad esempio, della Germania, che nel
1994 ha introdotto un'assicurazione obbligatoria per l'assistenza di lungo
periodo, o come si dice in gergo assicurativo, per la Long Term Care (Ltc).
Gli interrogativi che si aprono sono molto simili a quelli che riguardano
il sistema previdenziale in senso stretto, del quale si può ritenere che
l'assicurazione contro il rischio di non autosufficienza nell'età anziana
faccia parte. Meglio l'assicurazione pubblica o l'assicurazione privata? E,
nel caso della prima, meglio il finanziamento con imposte o con contributi?
Meglio la ripartizione (con le generazioni giovani che finanziano i
trasferimenti a favore di quelle anziane) o la capitalizzazione (i giovani
versano contributi che, capitalizzati ai rendimenti di mercato, saranno
tradotti in prestazioni al momento in cui insorga la condizione di non
autosufficienza)? Meglio una prestazione in forma monetaria o l'assistenza
diretta? E, nel primo caso, con quale scansione e durata temporale? Nel
secondo, meglio l'assistenza domiciliare o quella residenziale? Quale
sistema scegliere. L'analisi di questi problemi è soltanto all'inizio, ma -
come ha recentemente ricordato l'Isvap in un suo studio contenente anche
proposte - ha già fornito risposte persuasive in termini di superiorità del
sistema misto pubblico/privato (per la consueta ragione che i difetti delle
due componenti dovrebbero compensarsi); e di combinazione
ripartizione/capitalizzazione, per la difficoltà del sistema privato ad
assicurare il rischio di variazione dei prezzi relativi, cioè a coprire
l'aumento nei costi dell'assistenza relativamente ai salari, e la
conseguente necessità che vi sia una partecipazione delle generazioni
attive alla copertura dei costi. Proprio perché si tratta di un problema
serio non ancora "drammatizzato" sarebbe opportuno impostare una politica
più attiva che faccia da raccordo tra l'intervento assistenziale pubblico e
l'offerta di nuovi prodotti assicurativi da parte del mercato. In questa
situazione è lievemente paradossale che la tanto discussa delega in materia
previdenziale, che pure abbraccia una pluralità di obiettivi, non ne faccia
cenno alcuno. Forse, anziché lasciare "impantanare" il dibattito e il
confronto nelle sabbie mobili della decontribuzione a parità di pensione,
si potrebbe cercare di fare comprendere ai giovani di oggi che la "nuova
previdenza" dovrà anche prevedere uno spazio per l'assicurazione del
rischio di non autosufficienza nell'età anziana. E dato che il livello
della contribuzione obbligatoria al sistema pubblico è già particolarmente
elevato, esplorare la strada dei fondi pensioni anche per la copertura di
questo rischio, accanto a quello di longevità - come suggerito nello studio
dell'Isvap - appare del tutto appropriato. L'inserimento, sia pure
graduale, di questa nuova assicurazione nel sistema previdenziale potrebbe
ridurre le resistenze al dirottamento del Tfr e forse anche l'ostilità a
una diminuzione della pensioni pubbliche. Lo scambio tra un po' meno
pensione e un po' di assistenza in caso di bisogno potrebbe apparire
conveniente e determinare un passo avanti nella delicata questione della
riforma previdenziale.