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internazionale al veleno
- Subject: internazionale al veleno
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 19 Feb 2002 07:37:24 +0100
dal manifesto 15 Febbraio 2002 Internazionale al veleno Cloruro di vinile L'industria americana ed europea conosceva la pericolosità del Pvc fin dagli anni `50. La occultò e continuò a produrre senza preoccuparsene GIANNI MORIANI "A metà degli anni `60, l'industria chimica internazionale fece una scoperta inquietante: esisteva un collegamento tra il CVM (cloruro di vinile monomero, elemento base nella produzione del PVC), e l'acroosteolisi, una patologia degenerativa delle ossa che si era manifestata nei lavoratori di un certo numero di impianti. All'inizio degli anni `70 la Manufacturing Chemists Association (MCA), associazione imprenditoriale americana che riuniva circa 200 imprese del settore, ricevette notizie anche più inquietanti: studi sugli animali, eseguiti per conto degli imprenditori chimici europei e mantenuti segreti, mostravano che livelli di esposizione al cloruro di vinile veramente bassi potevano provocare anche tumori. Per evitare la divulgazione delle ricerche - sponsorizzate dall'industria - che rivelavano l'esistenza di tumori provocati dal cloruro di vinile, le industrie chimiche progettarono e misero in atto un piano complesso finalizzato a ingannare il governo americano e mettere fuori strada i lavoratori e l'opinione pubblica. L'MCA serrò i ranghi per tutelare l'immagine positiva del proprio prodotto e nascondere le informazioni sui rischi che esso poteva rappresentare per la salute". Così inizia l'importantissima ricerca storica, su impiego industriale e danni alla salute del cloruro di vinile, condotta da Gerald Markowitz docente di storia al John Jay College of Criminal Justice e David Rosner docente di storia e scienze mediche e sociali alla Columbia University. Un estratto in lingua italiana è consultabile nell'ultimo numero della rivista fondata da Giulio A. Maccacaro, Epidemiologia e Prevenzione. Ne riportiamo qui una sintesi perché le inoppugnabili informazioni raccolte dai due ricercatori americani impongono un totale ribaltamento della sentenza con la quale il Tribunale di Venezia ha assolto tutti gli imputati per i morti da CVM del Petrolchimico di Marghera. Occultamento volontario Quando, a metà degli anni `60, l'industria venne a sapere che dei lavoratori esposti a cloruro di vinile manifestavano acroosteolisi, una malattia strana e mai identificata in precedenza, stabilì una strategia di azione sui problemi sanitari che avrebbe adottato per tutto il decennio successivo: lavorare al proprio interno per cercare di capire l'origine del problema, finanziando ricerche che avrebbero fornito loro le informazioni necessarie per intervenire e divulgare solo informazioni adeguate a rassicurare l'opinione pubblica circa l'innocuità dei prodotti finiti, mentre ci si adoperava per evitare qualunque progetto di regolamentazione. L'industria venne a conoscenza del fatto che negli impianti della B. F. Goodrich di Louisville, nel Kentucky, alcuni dei lavoratori che entravano nei reattori di polimerizzazione (dove il PVC viene sintetizzato dal monomero di cloruro di vinile) stavano sviluppando disturbi alle mani e altre patologie sistemiche. Il problema venne scoperto nel 1964 da John Creech, un medico che aveva effettuato dei controlli sanitari sui dipendenti dell'azienda. Un giorno, uno degli operai si recò in infermeria da Creech, "lamentando debolezza alle dita delle mani, e chiedendomi cosa gli stesse succedendo". Nel giro di sei settimane il dottor Creech raccolse altri casi, e trasmise le proprie osservazioni ai responsabili dello stabilimento.Nel gennaio del 1966 Harry Warner, vice presidente della B. F. Goodrich, venne a sapere che un medico che lavorava alle aziende chimiche Solvay di Bruxelles aveva comunicato di avere visitato almeno due lavoratori che mostravano gli stessi sintomi e le alterazioni ossee che erano stati riscontrati alla Goodrich, e aveva in programma di pubblicare una relazione in materia. "La Goodrich considerò tanto preoccupanti le possibili reazioni alla pubblicazione di un simile articolo, che Warner cercò di dirottare su Bruxelles uno dei rappresentanti dell'azienda che si trovava in Europa perché cercasse di scoraggiare la stesura di un simile articolo, o di influenzarne il contenuto per far sì che non contenesse una assoluta condanna nei confronti del PVC". Il tentativo fallì ma la Goodrich, con l'aiuto della Monsanto che aveva proprio a Bruxelles il suo quartiere generale europeo, ipotizzò di fare un altro tentativo per "scoraggiare la pubblicazione dell'articolo o modificarne i toni" inviando nella capitale belga un'intera squadra di persone. I produttori di PVC erano preoccupati perché l'esposizione al cloruro di vinile rappresentava un pericolo per le maestranze, ma la cosa che li ossessionava di più era la pubblicità negativa. Nel memorandum preparato da Robert Wheeler (della Union Carbide) dopo un incontro dell'Occupational Health Committee dell'MCA, si legge che "è assolutamente necessario circoscrivere il problema. La diffusione di informazioni allarmanti riguardo all'esposizione dell'organismo umano ai prodotti finiti potrebbe essere molto dannosa per l'industria". Se venissero messi in discussione i prodotti in materie plastiche, in particolare quelli che servono a confezionare gli alimenti, o comunque entrano in contatto con questi, l'industria verrebbe messa in stato di assedio non solo dai lavoratori e dai sindacati che li rappresentano, ma anche dal grande pubblico e dalle autorità federali". L'MCA accettò anche di finanziare uno studio epidemiologico sui lavoratori che utilizzavano il PVC, che sarebbe stato realizzato dagli epidemiologi dell'Institute for Industrial Health dell'Università del Michigan. Nel frattempo, verso la fine dell'estate 1967 - quasi tre anni dopo le prime notizie relative a patologie collegate al cloruro di vinile tra i lavoratori della Goodrich - i ricercatori che lavoravano per l'azienda pubblicarono sul Journal of the American Medical Association una relazione su 31 casi di acroosteolisi verificatisi tra i dipendenti esposti al cloruro di vinile. Nel febbraio del 1969, un anno e mezzo più tardi, i risultati dello studio realizzato dall'Università del Michigan vennero presentati, in via riservata, al Medical Advisory Committee dell'MCA. Rapporto segreto Il rapporto evidenziava il fatto che l'acroosteolisi non colpiva solo le strutture ossee, ma anche il tessuto connettivo. Inoltre, fino a quel momento si era pensato che il rischio di eccessiva esposizione al cloruro di vinile si presentasse solo quando i lavoratori riuscivano a percepirne l'odore. Ma il rapporto indicava che la "soglia olfattiva" della sostanza non era, come si era pensato fino ad allora, di 400 ppm, ma di circa 4000 ppm, e quindi enormemente superiore al valore limite allora stabilito in 500 ppm. Cosa ancor più importante, il documento spiegava chiaramente come neanche i lavoratori esposti a 500 ppm di cloruro di vinile potessero essere considerati completamente protetti, e suggeriva che "fosse garantita una ventilazione sufficiente ad abbassare la concentrazione di cloruro di vinile a meno di 50 ppm": una concentrazione ben 10 volte inferiore a quella che veniva adottata nei luoghi di lavoro. Le reazioni dell'industria all'associazione tra cloruro di vinile e acroosteolisi furono solo un'anticipazione della reazione che avrebbe avuto di fronte a un problema ben più grave e incontrollabile: la relazione tra il cloruro di vinile e il cancro. Quando il cancro diventò un problema di attualità, le imprese assunsero iniziative molto più radicali per occultare il pericolo: se prima si erano limitate a negare o a confondere le idee degli interlocutori, ora erano arrivate a mettere in atto veri e propri diabolici raggiri. Nel 1970, le industrie americane vennero a sapere che un ricercatore italiano, Pierluigi Viola della Solvay di Rosignano aveva presentato alla Conferenza internazionale sul cancro di Houston una relazione sugli effetti cancerogeni dell'esposizione al cloruro di vinile negli animali. Viola informò i congressisti che i ratti esposti a 30.000 ppm di gas di cloruro di vinile monomero sviluppavano tumori della pelle, dei polmoni e delle ossa, e che avrebbe presto pubblicato le sue ricerche. Nel maggio del 1971, nello stesso mese in cui pubblicava il proprio articolo su Cancer Research, Viola fu invitato a presentare i risultati del proprio lavoro a Washington dall'Occupational Health Committee dell'MCA. I rappresentanti delle imprese erano allarmati dai dati raccolti dal medico italiano, ciononostante essi decisero di non modificare in alcun modo la scheda di sicurezza, il documento utilizzato dai loro associati per definire le procedure di sicurezza da adottare nelle aziende. Ma la vera catastrofe fu generata dai risultati della ricerca realizzata da un altro italiano, nel periodo in cui il PVC giocava un ruolo essenziale per la autosufficienza economica di svariate industrie chimiche americane di fondamentale importanza. Infatti, tra il 1966 e il 1971 la produzione negli Stati Uniti era passata da 600.000 tonnellate circa a 1.200.000 tonnellate; nel caso della B. F. Goodrich, per esempio, il loro reparto chimico stava affermandosi come il settore più redditizio dell'azienda e il PVC rappresentava da solo metà degli introiti dell'azienda. Ebbene, proprio nel 1970 la Montedison affidò al professor Maltoni, Direttore dell'Istituto di Oncologia "F. Addari" di Bologna, il compito di verificare i dati di Viola e di completare le conoscenze circa la cancerogenicità del CVM e la sua attività. Gli imprenditori europei cominciarono quasi subito a fare pressione sulla loro controparte americana perché entrasse a far parte di un accordo segreto per evitare che queste ricerche fossero rese pubbliche. Secondo gli americani, le industrie europee avevano insistito soprattutto sulla necessità della segretezza: l'accordo prevedeva che "i membri del nostro gruppo di lavoro, elencati nell'allegato, fossero gli unici autorizzati a ricevere informazioni sul progetto europeo. A loro volta, essi sono moralmente obbligati a mantenere tali informazioni all'interno delle loro aziende". I risultati delle ricerche di Maltoni furono comunicati ai produttori americani di PVC e cloruro di vinile in un incontro riservato che si svolse il 14 novembre `72. Quanti parteciparono alla riunione furono invitati a non prendere appunti; in effetti il rappresentante europeo, D. M. Elliott dell'ICI, un'azienda inglese produttrice di CVM "chiese con insistenza che tutta la carta da appunti fosse tolta dai tavoli prima del suo intervento sul lavoro realizzato dagli europei. E così fu fatto...". Il dato più inquietante riferito da Duffield era che Maltoni aveva scoperto "la comparsa di tumori primitivi sia nel fegato che nei reni, anche a 250 ppm", ossia la metà del valore limite che avrebbe dovuto proteggere i lavoratori dagli effetti tossici del cloruro di vinile. Cloruro di vinile ovunque In seguito alle scoperte di Maltoni le industrie dovevano fare qualcosa per proteggersi dalle potenziali responsabilità legali nel caso in cui i loro prodotti fossero risultati pericolosi E' interessante a questo proposito notare le decisioni che vennero prese nel caso dei propellenti per aerosol. Il monomero di cloruro di vinile non veniva usato solo per realizzare plastiche di PVC, ma anche come propellente per vari prodotti di largo consumo. Il cloruro di vinile fu utilizzato per la prima volta a questo scopo in Giappone, nel 1958. Appena un anno dopo, la Dow Chemical stava valutando la possibilità di utilizzarlo come propellente in lacche per capelli, deodoranti ambientali e vernici a spruzzo. L'azienda prevedeva di venderne annualmente cinquemila tonnellate, e non pensava che il limite di esposizione, allora fissato a 500 ppm, avrebbe costituito un problema. Ma dieci anni più tardi non esistevano più molti dubbi che 500 ppm avrebbero potuto rappresentare un pericolo. La B. F. Goodrich, dopo l'esperienza dell'acroosteolisi, ammise in via riservata che "nel settore dei cosmetici c'erano preoccupazioni sulla possibile tossicità" dei propellenti a base di cloruro di vinile. Le rilevazioni effettuate presso i parrucchieri indicavano che "le concentrazioni medie di gas si aggiravano intorno ai 250 ppm". Il che era già abbastanza preoccupante, in base alle raccomandazioni della Dow che aveva invitato a ridurre il limite a 50 ppm; ma la Goodrich temeva anche che "in alcuni casi, quando lo spray veniva usato per lungo tempo (tre minuti) la concentrazione potesse arrivare perfino a 1400 ppm". Le implicazioni erano terrificanti. I lavoranti e i loro clienti venivano "esposti a concentrazioni di monomero di cloruro di vinile uguali, o superiori a quelle presenti nelle fabbriche". Nella primavera del 1973 l'MCA riuscì a trovare un accordo su una linea di azione che avrebbe consentito di rispettare l'accordo con gli europei dando allo stesso tempo l'impressione di aver risposto alla richiesta di informazioni pervenuta dal National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH). La decisione di mantenere il silenzio sulle ricerche di Maltoni influenzò sia gli interventi pubblici delle industrie del settore che le loro riunioni interne di preparazione all'incontro con il NIOSH. Durante le prime settimane dell'estate del 1973, gli imprenditori americani continuarono a incontrarsi tra di loro e con gli europei per preparare la presentazione al NIOSH. Il 15 giugno gli europei si incontrarono e "decisero di autorizzare l'MCA a fornire al NIOSH i dati emersi dalle ricerche di Bologna". Ma tre settimane più tardi la Montedison, l'azienda italiana che produceva cloruro di vinile, informò le altre aziende europee che questa era una decisione inaccettabile. David P. Duffield, dell'ICI, si recò negli Usa per informare gli imprenditori che gli europei avevano deciso di mantenere il segreto sulle informazioni. Verità scomoda L'incontro del 17 luglio si tenne negli uffici del NIOSH di Rockville, nel Maryland. Da una parte del tavolo sedevano cinque rappresentanti delle imprese, dall'altra cinque ricercatori in rappresentanza del governo. Alla fine della giornata i rappresentanti dell'MCA e delle aziende che ne facevano parte si dissero pienamente soddisfatti della riunione, e comunicarono che "le possibilità che il NIOSH mettesse in atto iniziative avventate sul cloruro di vinile erano sostanzialmente diminuite". Il messaggio trasmesso alle aziende i cui rappresentanti non avevano partecipato all'incontro fu che "non c'erano stati problemi" e che "la presentazione era stava accolta e giudicata favorevolmente": in sintesi, le industrie erano riuscite a nascondere completamente al NIOSH i pericoli che il cloruro di vinile rappresentava sia per i lavoratori che per i consumatori. Poco dopo questo incontro, tuttavia, le certezze delle industrie sulla sicurezza del cloruro di vinile cominciarono a venire meno. In Europa, e successivamente negli Stati Uniti, i giornali parlavano di una realtà completamente diversa. Un articolo pubblicato su un giornale italiano citava un ricercatore, Caputo, il quale aveva collaborato con Viola nei primi studi sul cancro e affermava che il cloruro di vinile era il responsabile delle preoccupazioni che affliggevano all'incirca 40.00 lavoratori, negli stabilimenti europei che lavoravano questo composto. Caputo affermò che dozzine di lavoratori erano già morti in seguito all'esposizione al gas, e che si aveva a che fare con un potenziale gravissimo rischio, sia per l'ambiente che per la salute dei lavoratori. L'MCA fece tradurre l'articolo e lo trasmise alla Task Force sul cloruro di vinile, perché le industrie fossero consapevoli del fatto che le informazioni sui rischi rappresentati da questo composto si stavano diffondendo. Infatti, nel gennaio del 1974, l'America venne a sapere che il monomero di cloruro di vinile, che serviva a produrre il PVC, aveva causato la morte di quattro operai dello stabilimento della B. F. Goodrich di Louisville, nel Kentucky, che erano stati colpiti da angiosarcoma al fegato, una rara forma tumorale. I giornali scrissero che il PVC, che fino ad allora milioni di americani avevano considerato un economico e innocuo sostituto per legno, metallo e carta paraffinata poteva rappresentare una minaccia mortale. Questa ricostruzione storica dell'assassinio collettivo consumato negli impianti di CVM e PVC di USA ed Europa da numerose società chimiche con tutta la loro dirigenza di più alto rango, mostra l'indefessa volontà dei produttori di nascondere, occultare, segretare le preoccupanti conoscenze di cui erano in possesso (almeno fin dal 1964) sui rischi connessi all'esposizione degli addetti alla lavorazione del cloruro di vinile. La corte del Tribunale di Venezia ha assolto tutti gli imputati con la giustificazione che essi misero in atto tutte le misure di prevenzione non appena ebbero conoscenza (nel 1973) della pericolosità del CVM. Markowitz e Rosner hanno dimostrato che l'industria chimica americana ed europea mise in atto una cospirazione per poter continuare a produrre, sapendo che le condizioni di lavoro esponevano gli operai a gravi rischi per la loro salute. Dopo aver letto la sentenza di assoluzione, il giudice Nelson Salvarani disse: "L'opinione pubblica ha il diritto di esprimere critiche, perplessità, osservazioni su una sentenza che ha affrontato un caso giudiziario difficile e importante". Di fronte ai dati sopra riportati, mogli rimaste vedove, figli rimasti orfani e tutti i cittadini che credono in uno stato di diritto hanno ancora più ragione di sentirsi oltraggiati da una sentenza considerata iniqua e invocare a gran voce sul processo CVM una giustizia giusta.
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