[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
il burro italiano scadente
- Subject: il burro italiano scadente
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 12 Feb 2002 18:15:43 +0100
dal salvagente Il burro italiano non regge il confronto con gli stranieri Solo il Granarolo appena al di sopra della sufficienza, buio per tutti gli altri. Lo dice un'analisi accurata su 15 marche.Il burro italiano? Scadente, ottenuto grazie a metodi di preparazione poco adatti a realizzare un alimento con buone caratteristiche organolettiche. In pratica, l'anello finale della catena produttiva latte-formaggio, quello a cui viene dedicata meno cura. Per di più, condizionato da una legislazione antiquata e care nte, che permette alle industrie di non dare praticamente nessuna informazione in etichetta, rendendo impossibile per il consumatore riconoscere a prima vista il metodo utilizzato per arrivare al panetto finale. Una bocciatura generalizzata e con pochissime eccezioni, che emerge chiaramente dal lungo lavoro che Il Salvagente ha affidato all'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, protagonista di un test di degustazione di ben 15 marche di burro, di gran lunga le più vendute nel nostro Paese. Per realizzare la fotografia del nostro mercato, abbiamo deciso di utilizzare il metodo di valutazione previsto dall'Unione europea nel Regolamento 2771 del 1999. Per regolare gli interventi sul mercato del burro e della crema di latte e per stabilire l'accettazione allo stoccaggio di questi alimenti, la Comunità europea ha adottato una procedura di verifica della qualità del burro applicabile in tutti gli Stati membri. Stabilendo, così come è oramai accettato nella valutazione dell'olio extravergine d'oliva, che anche il burro debba essere valutato con una prova sensoriale, e non solo con le consuete analisi chimiche. È questo il parametro che abbiamo preso in considerazione per il nostro test, sottoponendo i panetti, sia italiani che stranieri, a un severo giudizio che ha tenuto conto delle caratteristiche visive, di quelle gustative e di criteri considerati fondamentali dagli esperti, come la facilità del taglio e della spalmabilità. Il verdetto finale, come anticipato, è assai deludente per quasi tutte le marche italiane. Su dieci confezioni provenienti dal nostro Paese, infatti, una sola (quella del Granarolo) ha conquistato un giudizio sopra la sufficienza, anche se decisamente lontano dai marchi stranieri che hanno conquistato il favore incondizionato degli assaggiatori dell'Istituto della nutrizione. Molti di più, invece, i panetti di burro italiano che hanno mostrato difetti tali da non reggere il confronto con i concorrenti nordeuropei. Tanto da essere bocciati dalla apposita commissione di degustazione. Da che cosa dipende la differenza Come si fa il burro? Le tecniche di produzione di questo alimento non sono molto diverse anche se i risultati, in termini di qualità, sono spesso molto differenti. Per capire come sia possibile questa differenziazione occorre considerare che a influenzare il prodotto finale gioca un ruolo fondamentale soprattutto la qualità della materia prima di partenza: la crema di latte. Una volta ottenuto questo grasso, infatti, la tecnica per arrivare al burro è praticamente la stessa da sempre. In speciali recipienti, la crema viene sbattuta a basse temperature per separare il liquido dalla parte solida. Proprio quest'ultima impastata ed emulsionata finisce, confezionata, nei panetti che siamo abituati a trovare sugli scaffali. Vediamo, dunque, quali sono le tipologie di burro proprio in relazione alla crema utilizzata. DI CENTRIFUGA. Si parte dal latte fresco intero e lo si sottopone alla centrifugazione, ossia a una rotazione veloce in speciali macchinari. Grazie a questo trattamento si separa la frazione più leggera (la crema) per sottoporla al trattamento di burrificazione. L'altra parte del latte, a questo punto scremata, può essere venduta per il consumo umano o essere destinata all'alimentazione animale. Questa procedura, la più adatta a realizzare il burro di qualità, è quella comunemente utilizzata nei Paesi del Nord Europa. DI AFFIORAMENTO. È il metodo "all'italiana", nel senso che è quello normalmente utilizzato da noi. Il latte di partenza, in questo caso, riposa in grandi vasche fino a che la crema va in sospensione, affiora in superficie e può essere raccolta. A questo punto viene trasformata in burro. Perché nel nostro Paese si utilizza questo metodo? Per il semplice fatto che si tratta del metodo che permette, con la frazione di latte non burrificata, di ottenere il formaggio (soprattutto parmigiano e del grana) e quindi risulta conveniente alle industrie che lavorano nel settore. Per il consumatore, però, questo procedimento non è altrettanto vantaggioso, dato che dà luogo a un alimento con frequenti difetti organolettici. Durante tutta la sosta subita dal latte, infatti, aumenta l'acidità e questo rende spesso necessari trattamenti con composti basici che però influiscono negativamente sul sapore. DAL SIERO. Si tratta della tecnica peggiore, dal punto di vista qualitativo. In questo caso, dopo aver sottoposto il latte alla coagulazione per ricavare il formaggio, si sfrutta il liquido che rimane, che ha ancora una percentuale di grasso (anch'esso inacidito). Da questo si ottiene il burro, magari aggiungendo la crema di latte fresca per migliorare quello che, altrimenti, sarebbe un prodotto immangiabile. Anche in questo caso, però, ne uscirà un alimento con troppi difetti e una marcata acidità. I criteri seguiti dai giudici per assegnare la palma Una scheda di valutazione organolettica con punteggi di qualità come guida di base all'esame di campioni anonimi. E le differenze sono presto emerse. Una domanda: perchè le nostre industrie danno così poche informazioni?Poche, troppo poche le informazioni sui panetti di burro venduti nel nostro Paese. Le carenze della nostra legislazione, che non prevede l'obbligo di indicare il metodo di produzione di questo derivato del latte, sembrano decisamente gradite alle industrie del settore che si attengono rigidamente alle norme, senza dichiarare nulla più del necessario. Eppure il burro che troviamo sugli scaffali non è davvero tutto uguale. Per comprendere quali possono essere le differenze, e quanto sia importante per il consumatore avere indicazioni utili per valutarle, basta fare un parallelo con un alimento che conosciamo bene: l'olio extravergine. In questo caso, infatti, i produttori non si limitano a dichiarare la presenza delle olive, ma spesso si dilungano a specificare l'acidità, il metodo di produzione, la sua provenienza geografica. Anche nel caso del burro, se solo le industrie lo volessero, un'etichetta completa potrebbe facilitare la vita dell'acquirente. Invece di frasi vuote e senza grande senso come "ottenuto da creme selezionate" o "da pascoli di montagna", per esempio, sarebbe molto più utile specificare se si tratta di un prodotto ottenuto dal siero o tramite centrifugazione o ancora di affioramento. E, magari, indicare anche caratteristiche chimiche importanti per riconoscere la bontà del prodotto, come acidità e perossidi. Un miraggio? Per l'Italia sì, per i Paesi dove il burro si fa sul serio no, visto che in questi casi gli acquirenti trovano in etichetta anche la distinzione di qualità tra prodotto "normale" e "superiore". Da noi, invece, nei casi migliori si trova in etichetta solo la tabella nutrizionale e magari un dosatore prestampato sulla confezione che consente, al momento del taglio, di conoscere la quantità di burro che stiamo utilizzando. Davvero poco. Il test Come accennato, il metodo utilizzato per le nostre prove è stato quello descritto nell'allegato III del Regolamento comunitario 2771/99, basato sullo standard sviluppato dall'International dairy federation (la Federazione internazionale che raggruppa i produttori di latte e derivati). In pratica, agli assaggiatori addestrati dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione sono stati serviti i campioni di burro resi anonimi con una scheda di valutazione organolettica che prevedeva l'assegnazione di punteggi di qualità su: aspetto, consistenza e flavour (odore e sapore). I giudici hanno valutato i campioni eseguendo due prove diverse e alla fine è stata calcolata la media di tutti i risultati ottenuti. L'aspetto Gli assaggiatori, a turno, hanno tagliato una frazione di burro utilizzando una spatola. Sulla superficie del taglio è stata esaminata l'eventuale presenza di difetti, cercando anche ogni traccia di umidità libera proveniente dall'interno del panetto. In questa prova il giudizio migliore è stato assegnato al Lurpak, con il massimo dei voti (5 punti). Accettabili sono stato considerati, invece, l'Optimus (penalizzato da un colore non uniforme) e il Biraghi (striature, porosità e acqua hanno condizionato il voto). La consistenza Questa prova è stata realizzata applicando una leggera pressione sulla superficie appena tagliata e trascinando la lama del coltello in modo da spalmare il burro e valutarne il "corpo", ossia la resistenza alla pressione. Quindi, per un ulteriore esame della consistenza, è stato eseguito un secondo taglio, interrotto a circa metà del panetto per capire il tipo di struttura del campione. Una superficie frastagliata o irregolare è stata considerata indice di consistenza scadente e quindi di scarsa qualità. Il saggio ha messo a dura prova molti concorrenti, giudicati troppo fragili, eccessivamente duri o appiccicosi. Unici a uscirne bene sono stati Granarolo e Müller (che hanno meritato 4,8 punti sui 5 disponibili) oltre a Lurpak e President con il punteggio massimo. Sapore e odore Per il cuore del test, quello che prende in considerazione il "flavour", ossia sapore e odore del burro, gli assaggiatori hanno da prima dato un voto al profumo dei panetti, per poi assaggiarne una porzione di circa 5 grammi, lasciando sciogliere l'alimento in bocca. Anche in questo caso, come nella prova della consistenza, molti dei concorrenti esaminati hanno ottenuto risultati deludenti. I più scadenti, nell'esame del panel, sono stati Biraghi e Milbona (con note che ricordavano troppo il formaggio). Unici a uscire senza alcun difetto evidente, invece, sono stati Granarolo, President e, con un punteggio d'eccellenza, Müller. Giudizio Come era logico, dopo questa lunga tornata di prove, nel tirare le somme del test sono emerse le differenze di qualità tra un gruppo di ottimi prodotti stranieri (Lurpak in testa e poi President, Müller) e il resto del gruppo, mediamente deludente. Uniche eccezioni a questa regola il burro prodotto da Granarolo che si è avvicinato alla fascia d'eccellenza e il Milbona dell'hard discount Lidl, che, pur essendo tedesco, ha mostrato caratteristiche da… burro italiano. La strana assenza sul mercato delle Centrali del latte Marchi industriali italiani, produttori stranieri che conquistano quote sempre crescenti del nostro mercato, hard discount che si affidano ad aziende all'interno e all'esterno dei confini nazionali. A guardare tra gli scaffali dei supermercati si trovano molti marchi a contendersi questo settore. Difficilmente, però, si possono leggere, sulle confezioni dei panetti in vendita i nomi di chi il burro potrebbe farlo in abbondanza e avrebbe i mezzi per realizzarlo con una qualità decisamente soddisfacente: le centrali del latte. Come mai? L'osservazione sembrerebbe assurda, visto che proprio queste aziende producono il latte fresco, spesso scremandolo con le centrifughe, e quindi avrebbero la materia prima per realizzare il burro di migliore qualità. E difatti assurda lo è, dal momento che le centrali del latte il burro lo fanno, eccome, solo che spesso non lo vendono ma lo congelano e lo destinano all'ammasso comunitario, un modo più conveniente per realizzare profitti, dato che non comporta costi di commercializzazione e trasporto, né rischi di sorta. Così si ottengono senza grandi rischi, infatti, le provvidenze che la Ue destina alle eccedenze per impedire che la sovrabbondanza di prodotto turbi gli equilibri economici di mercato. La stessa Comunità, poi, rivende a basso prezzo il burro ai Paesi in via di sviluppo o all'industria dolciaria che lo utilizza per le sue preparazioni. Una stranezza che diventa addirittura paradosso, se solo si considera che i limiti rigidi imposti al burro destinato all'ammasso non esistono nella nostra legislazione. E così, mentre finisce come eccedenza, spesso, la migliore produzione italiana, al consumo va un alimento con caratteristiche organolettiche lasciate alla buona volontà delle aziende. La classifica dei panetti esaminati MARCA ETICHETTA NAZIONE ASPETTO CONSISTENZA SAPORE PREZZO LURPARK Medio Danimarca Ottimo Ottimo Ottimo 7,21 MüLLER Medio Germania Buono/ottimo Buono/ottimo Ottimo 8,24 PRESIDENT Medio/buono Francia Buono/ottimo Ottimo Buono/ottimo 9,07 GRANAROLO Medio Italia Buono/ottimo Buono/ottimo Buono 9,31 GALBANI Medio Italia Buono Buono Medio 6,57 STANDA Buono Italia Buono Medio/buono Medio 5,97 COOP Buono Italia Buono Medio Medio 5,81 MILBONA (Lidl) Mediocre Germania Buono/ottimo medio/buono Mediocre/medio 4,94 SMA-AUCHAN Buono Italia Buono Medio/buono Medio 5,91 GS Buono Italia Buono Medio Medio 5,76 PREALPI Medio/buono Italia Buono Medio Medio 7,81 GIGLIO Medio/buono Italia Buono Medio Medio 6,92 CUOMO Medio Italia Buono Buono Scarso 5,45 OPTIMUS Medio Italia Medio medio/buono Mediocre/medio 7,48 BIRAGHI Scelta oro Medio/buono Italia Medio Mediocre Scarso 7,21
- Prev by Date: brevetti in tribunale
- Next by Date: da porto alegre le idee forti del movimento
- Previous by thread: brevetti in tribunale
- Next by thread: da porto alegre le idee forti del movimento
- Indice: