il burro italiano scadente



dal salvagente

    
     
  


Il burro italiano non regge il confronto con gli stranieri

 Solo il Granarolo appena al di sopra della sufficienza, buio per tutti gli
altri. Lo dice un'analisi accurata su 15 marche.Il burro italiano?
Scadente, ottenuto grazie a metodi di preparazione poco adatti a realizzare
un alimento con buone caratteristiche organolettiche.  

 

In pratica, l'anello finale della catena produttiva latte-formaggio, quello
a cui viene dedicata meno cura. Per di più, condizionato da una
legislazione antiquata e care nte, che permette alle industrie di non dare
praticamente nessuna informazione in etichetta, rendendo impossibile per il
consumatore riconoscere a prima vista il metodo utilizzato per arrivare al
panetto finale.
Una bocciatura generalizzata e con pochissime eccezioni, che emerge
chiaramente dal lungo lavoro che Il Salvagente ha affidato all'Istituto
nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, protagonista di un
test di degustazione di ben 15 marche di burro, di gran lunga le più
vendute nel nostro Paese. 
Per realizzare la fotografia del nostro mercato, abbiamo deciso di
utilizzare il metodo di valutazione previsto dall'Unione europea nel
Regolamento 2771 del 1999. Per regolare gli interventi sul mercato del
burro e della crema di latte e per stabilire l'accettazione allo stoccaggio
di questi alimenti, la Comunità europea ha adottato una procedura di
verifica della qualità del burro applicabile in tutti gli Stati membri. 
Stabilendo, così come è oramai accettato nella valutazione dell'olio
extravergine d'oliva, che anche il burro debba essere valutato con una
prova sensoriale, e non solo con le consuete analisi chimiche.
È questo il parametro che abbiamo preso in considerazione per il nostro
test, sottoponendo i panetti, sia italiani che stranieri, a un severo
giudizio che ha tenuto conto delle caratteristiche visive, di quelle
gustative e di criteri considerati fondamentali dagli esperti, come la
facilità del taglio e della spalmabilità.
Il verdetto finale, come anticipato, è assai deludente per quasi tutte le
marche italiane. Su dieci confezioni provenienti dal nostro Paese, infatti,
una sola (quella del Granarolo) ha conquistato un giudizio sopra la
sufficienza, anche se decisamente lontano dai marchi stranieri che hanno
conquistato il favore incondizionato degli assaggiatori dell'Istituto della
nutrizione. 
Molti di più, invece, i panetti di burro italiano che hanno mostrato
difetti tali da non reggere il confronto con i concorrenti nordeuropei.
Tanto da essere bocciati dalla apposita commissione di degustazione.

Da che cosa dipende la differenza

Come si fa il burro? Le tecniche di produzione di questo alimento non sono
molto diverse anche se i risultati, in termini di qualità, sono spesso
molto differenti.
Per capire come sia possibile questa differenziazione occorre considerare
che a influenzare il prodotto finale gioca un ruolo fondamentale
soprattutto la qualità della materia prima di partenza: la crema di latte.
Una volta ottenuto questo grasso, infatti, la tecnica per arrivare al burro
è praticamente la stessa da sempre. In speciali recipienti, la crema viene
sbattuta a basse temperature per separare il liquido dalla parte solida.
Proprio quest'ultima impastata ed emulsionata finisce, confezionata, nei
panetti che siamo abituati a trovare sugli scaffali.
Vediamo, dunque, quali sono le tipologie di burro proprio in relazione alla
crema utilizzata.


DI CENTRIFUGA. Si parte dal latte fresco intero e lo si sottopone alla
centrifugazione, ossia a una rotazione veloce in speciali macchinari.
Grazie a questo trattamento si separa la frazione più leggera (la crema)
per sottoporla al trattamento di burrificazione. L'altra parte del latte, a
questo punto scremata, può essere venduta per il consumo umano o essere
destinata all'alimentazione animale. Questa procedura, la più adatta a
realizzare il burro di qualità, è quella comunemente utilizzata nei Paesi
del Nord Europa.


DI AFFIORAMENTO. È il metodo "all'italiana", nel senso che è quello
normalmente utilizzato da noi. Il latte di partenza, in questo caso, riposa
in grandi vasche fino a che la crema va in sospensione, affiora in
superficie e può essere raccolta. A questo punto viene trasformata in
burro. Perché nel nostro Paese si utilizza questo metodo? Per il semplice
fatto che si tratta del metodo che permette, con la frazione di latte non
burrificata, di ottenere il formaggio (soprattutto parmigiano e del grana)
e quindi risulta conveniente alle industrie che lavorano nel settore. Per
il consumatore, però, questo procedimento non è altrettanto vantaggioso,
dato che dà luogo a un alimento con frequenti difetti organolettici.
Durante tutta la sosta subita dal latte, infatti, aumenta l'acidità e
questo rende spesso necessari trattamenti con composti basici che però
influiscono negativamente sul sapore.


DAL SIERO. Si tratta della tecnica peggiore, dal punto di vista
qualitativo. In questo caso, dopo aver sottoposto il latte alla
coagulazione per ricavare il formaggio, si sfrutta il liquido che rimane,
che ha ancora una percentuale di grasso (anch'esso inacidito). Da questo si
ottiene il burro, magari aggiungendo la crema di latte fresca per
migliorare quello che, altrimenti, sarebbe un prodotto immangiabile. Anche
in questo caso, però, ne uscirà un alimento con troppi difetti e una
marcata acidità.


I criteri seguiti dai giudici per assegnare la palma 

Una scheda di valutazione organolettica con punteggi di qualità come guida
di base all'esame di campioni anonimi. E le differenze sono presto emerse.
Una domanda: perchè le nostre industrie danno così poche
informazioni?Poche, troppo poche le informazioni sui panetti di burro
venduti nel nostro Paese. Le carenze della nostra legislazione, che non
prevede l'obbligo di indicare il metodo di produzione di questo derivato
del latte, sembrano decisamente gradite alle industrie del settore che si
attengono rigidamente alle norme, senza dichiarare nulla più del necessario. 
Eppure il burro che troviamo sugli scaffali non è davvero tutto uguale. Per
comprendere quali possono essere le differenze, e quanto sia importante per
il consumatore avere indicazioni utili per valutarle, basta fare un
parallelo con un alimento che conosciamo bene: l'olio extravergine. In
questo caso, infatti, i produttori non si limitano a dichiarare la presenza
delle olive, ma spesso si dilungano a specificare l'acidità, il metodo di
produzione, la sua provenienza geografica. 
Anche nel caso del burro, se solo le industrie lo volessero, un'etichetta
completa potrebbe facilitare la vita dell'acquirente. Invece di frasi vuote
e senza grande senso come "ottenuto da creme selezionate" o "da pascoli di
montagna", per esempio, sarebbe molto più utile specificare se si tratta di
un prodotto ottenuto dal siero o tramite centrifugazione o ancora di
affioramento. E, magari, indicare anche caratteristiche chimiche importanti
per riconoscere la bontà del prodotto, come acidità e perossidi. 
Un miraggio? Per l'Italia sì, per i Paesi dove il burro si fa sul serio no,
visto che in questi casi gli acquirenti trovano in etichetta anche la
distinzione di qualità tra prodotto "normale" e "superiore".
Da noi, invece, nei casi migliori si trova in etichetta solo la tabella
nutrizionale e magari un dosatore prestampato sulla confezione che
consente, al momento del taglio, di conoscere la quantità di burro che
stiamo utilizzando. Davvero poco.

Il test
Come accennato, il metodo utilizzato per le nostre prove è stato quello
descritto nell'allegato III del Regolamento comunitario 2771/99, basato
sullo standard sviluppato dall'International dairy federation (la
Federazione internazionale che raggruppa i produttori di latte e derivati).
In pratica, agli assaggiatori addestrati dell'Istituto nazionale di ricerca
per gli alimenti e la nutrizione sono stati serviti i campioni di burro
resi anonimi con una scheda di valutazione organolettica che prevedeva
l'assegnazione di punteggi di qualità su: aspetto, consistenza e flavour
(odore e sapore). I giudici hanno valutato i campioni eseguendo due prove
diverse e alla fine è stata calcolata la media di tutti i risultati ottenuti.

L'aspetto
Gli assaggiatori, a turno, hanno tagliato una frazione di burro utilizzando
una spatola. Sulla superficie del taglio è stata esaminata l'eventuale
presenza di difetti, cercando anche ogni traccia di umidità libera
proveniente dall'interno del panetto. In questa prova il giudizio migliore
è stato assegnato al Lurpak, con il massimo dei voti (5 punti). Accettabili
sono stato considerati, invece, l'Optimus (penalizzato da un colore non
uniforme) e il Biraghi (striature, porosità e acqua hanno condizionato il
voto).

La consistenza
Questa prova è stata realizzata applicando una leggera pressione sulla
superficie appena tagliata e trascinando la lama del coltello in modo da
spalmare il burro e valutarne il "corpo", ossia la resistenza alla
pressione. Quindi, per un ulteriore esame della consistenza, è stato
eseguito un secondo taglio, interrotto a circa metà del panetto per capire
il tipo di struttura del campione. Una superficie frastagliata o irregolare
è stata considerata indice di consistenza scadente e quindi di scarsa qualità.
Il saggio ha messo a dura prova molti concorrenti, giudicati troppo
fragili, eccessivamente duri o appiccicosi. Unici a uscirne bene sono stati
Granarolo e Müller (che hanno meritato 4,8 punti sui 5 disponibili) oltre a
Lurpak e President con il punteggio massimo.

Sapore e odore
Per il cuore del test, quello che prende in considerazione il "flavour",
ossia sapore e odore del burro, gli assaggiatori hanno da prima dato un
voto al profumo dei panetti, per poi assaggiarne una porzione di circa 5
grammi, lasciando sciogliere l'alimento in bocca. Anche in questo caso,
come nella prova della consistenza, molti dei concorrenti esaminati hanno
ottenuto risultati deludenti. I più scadenti, nell'esame del panel, sono
stati Biraghi e Milbona (con note che ricordavano troppo il formaggio).
Unici a uscire senza alcun difetto evidente, invece, sono stati Granarolo,
President e, con un punteggio d'eccellenza, Müller.

Giudizio
Come era logico, dopo questa lunga tornata di prove, nel tirare le somme
del test sono emerse le differenze di qualità tra un gruppo di ottimi
prodotti stranieri (Lurpak in testa e poi President, Müller) e il resto del
gruppo, mediamente deludente. Uniche eccezioni a questa regola il burro
prodotto da Granarolo che si è avvicinato alla fascia d'eccellenza e il
Milbona dell'hard discount Lidl, che, pur essendo tedesco, ha mostrato
caratteristiche da… burro italiano.



La strana assenza sul mercato delle Centrali del latte

Marchi industriali italiani, produttori stranieri che conquistano quote
sempre crescenti del nostro mercato, hard discount che si affidano ad
aziende all'interno e all'esterno dei confini nazionali. A guardare tra gli
scaffali dei supermercati si trovano molti marchi a contendersi questo
settore. 
Difficilmente, però, si possono leggere, sulle confezioni dei panetti in
vendita i nomi di chi il burro potrebbe farlo in abbondanza e avrebbe i
mezzi per realizzarlo con una qualità decisamente soddisfacente: le
centrali del latte. Come mai?
L'osservazione sembrerebbe assurda, visto che proprio queste aziende
producono il latte fresco, spesso scremandolo con le centrifughe, e quindi
avrebbero la materia prima per realizzare il burro di migliore qualità.
E difatti assurda lo è, dal momento che le centrali del latte il burro lo
fanno, eccome, solo che spesso non lo vendono ma lo congelano e lo
destinano all'ammasso comunitario, un modo più conveniente per realizzare
profitti, dato che non comporta costi di commercializzazione e trasporto,
né rischi di sorta. Così si ottengono senza grandi rischi, infatti, le
provvidenze che la Ue destina alle eccedenze per impedire che la
sovrabbondanza di prodotto turbi gli equilibri economici di mercato. 
La stessa Comunità, poi, rivende a basso prezzo il burro ai Paesi in via di
sviluppo o all'industria dolciaria che lo utilizza per le sue preparazioni. 
Una stranezza che diventa addirittura paradosso, se solo si considera che i
limiti rigidi imposti al burro destinato all'ammasso non esistono nella
nostra legislazione. E così, mentre finisce come eccedenza, spesso, la
migliore produzione italiana, al consumo va un alimento con caratteristiche
organolettiche lasciate alla buona volontà delle aziende.


La classifica dei panetti esaminati

MARCA ETICHETTA  NAZIONE ASPETTO CONSISTENZA SAPORE PREZZO 
LURPARK Medio  Danimarca  Ottimo Ottimo  Ottimo  7,21  
MüLLER Medio Germania  Buono/ottimo Buono/ottimo Ottimo 8,24  
PRESIDENT  Medio/buono  Francia Buono/ottimo Ottimo Buono/ottimo  9,07  
GRANAROLO  Medio  Italia  Buono/ottimo Buono/ottimo  Buono  9,31  
GALBANI Medio Italia  Buono Buono Medio  6,57  
STANDA Buono  Italia Buono Medio/buono Medio 5,97  
COOP Buono Italia Buono  Medio  Medio  5,81  
MILBONA (Lidl) Mediocre Germania  Buono/ottimo medio/buono  Mediocre/medio
4,94  
SMA-AUCHAN Buono  Italia  Buono Medio/buono Medio  5,91  
GS Buono  Italia  Buono Medio Medio 5,76  
PREALPI  Medio/buono  Italia  Buono  Medio Medio 7,81  
GIGLIO Medio/buono Italia Buono  Medio Medio 6,92  
CUOMO  Medio Italia  Buono  Buono  Scarso 5,45  
OPTIMUS  Medio  Italia Medio medio/buono Mediocre/medio 7,48  
BIRAGHI Scelta oro Medio/buono Italia  Medio Mediocre Scarso  7,21