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europa un decalogo per lavorare meglio
- Subject: europa un decalogo per lavorare meglio
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 05 Feb 2002 17:53:14 +0100
dal sole24ore Sabato 02 Febbraio 2002 ore 18:54 Europa, un decalogo per lavorare meglio MILANO - La Commissione europea ritiene che per l'occupazione occorra lo sviluppo di un nuovo sistema di relazioni industriali ad alta qualità. Questa conclusione, implicita ormai in molti documenti comunitari, è stata esplicitata da un gruppo "di alto livello" sul futuro delle relazioni industriali, composto da esperti di diversi Paesi - nominati dalla stessa Commissione - che ha concluso i propri lavori qualche giorno fa (ne ha fatto parte anche Marco Biagi, che qui a fianco commenta i risultati del lavoro). Tutto lascia prevedere che la greca Anna Diamantopolou, commissaria europea responsabile per il Lavoro e gli Affari sociali, presenterà le conclusioni di questo lavoro al Consiglio europeo sull'occupazione in calendario a marzo a Barcellona. La relazione. I punti cardine dell'agenda per le relazioni industriali sono valori quali la competitività e l'innovazione, che devono unirsi, però, alla coesione sociale; maggiore risposta sui salari, maggiore attenzione verso l'inclusione e la protezione sociale (favorendo quindi l'inserimento nel mercato del lavoro dei soggetti più svantaggiati: disabili, gruppi etnici, immigrati), formazione continua durante tutta la vita del lavoratore, migliori condizioni sul luogo di lavoro (anche in termine di salute e sicurezza), favorire e valorizzare a tutti i livelli il lavoro femminile, la promozione di un invecchiamento attivo del lavoratore, chiamato a periodi di training continuo, ma anche stimolato alla mobilità. E poi c'è l'estensione del campo di applicazione della contrattazione collettiva, raccomandata dal rapporto, che dovrebbe includere anche le forme di contratti atipici. Per poter realizzare questi propositi si devono costruire relazioni industriali con pratiche innovative quali "accordi sull'innovazione", fondi salariali collettivi, "accordi sull'occupazione". Il gruppo di esperti ha poi individuato una serie di parametri, per la precisione 14 (si veda la tabella a fianco) per misurare il progresso e promuovere la qualità nelle relazioni industriali. «Il ruolo delle relazioni industriali - si legge nel rapporto - nel governare i cambiamenti prossimi può essere valorizzato rinnovando gli strumenti e i contenuti già disponibili, e rafforzando la responsabilità, la capacità di risposta e la rappresentatività. Sta emergendo un nuovo approccio, basato su nuove pratiche che guidano a una più alta qualità delle relazioni industriali». Nel rapporto il termine "relazioni industriali", in effetti, viene usato in senso ampio: esso non designa soltanto i rapporti tra i lavoratori e i vertici aziendali (o delle organizzazioni che li rappresentano) e non include solamente la regolazione dei salari o le condizioni dei lavoratori, ma riguarda anche le politiche pubbliche e le questioni istituzioniali e legali dei varie stati membri della Ue. C'è infatti una grossa disparità nelle pratiche e nei processi sulle relazioni industriali nei diversi Stati: e la sfida del comitato è stata anche quella di individuare criteri e soluzioni che possano agire ugualmente bene sia a livello locale che europeo. Le sfide del cambiamento. Divisa in sei capitoli, la relazione identifica le nuove sfide che si pongono per le relazioni industriali: globalizzazione, unione economica e monetaria, processo di allargamento della comunità, cambiamenti tecnologici, tendenze demografiche e, soprattutto, i riflessi che tutte queste componenti specifiche hanno o avranno sul mercato del lavoro europeo. Governare il cambiamento non sarà facile: la commissione di esperti propone di «razionalizzare la consultazione e le procedure di concertazione creando un singolo Comitato al più alto livello politico; sviluppando il dialogo sociale, facendo pieno uso della larga gamma di strumenti disponibili, incoraggiando il dialogo sociale settoriale come un potente strumento per indirizzare i problemi specifici e fornendo nuovi significati per supportare dal basso il confronto fra le parti nelle aree dove è particolarmente necessario, e cioè negli Stati candidati all'ingresso nell'Unione». L'allargamento dell'Europa. Naturalmente una delle questioni più spinose è quella dell'armonizzazione del mercato del lavoro dei Paesi destinati ad allargare la Ue: è chiaro che un eventuale espansione a 27 nazioni (e più di 500 milioni di persone) avrà nette ripercussioni sulla questione lavoro. Anche perché mentre la superficie (di un'Europa a 27) crescerebbe del 34% e la popolazione del 27%, il Pil europeo salirebbe solo del 5%, con conseguente perdita del 18% su base pro-capite. Il divario con i Paesi candidati è obiettivamente enorme: la reale convergenza dei Pil verso la media Ue, secondo recenti studi, potrebbe non avere luogo se non in circa 30 anni, e ammettendo che si realizzi il miglior scenario, con gli indici sempre al rialzo. L'ultima parte della relazione è perciò dedicata ai sistemi dei nuovi Stati e a un invito alla cooperazione con gli Stati membri della Ue che si traduce in scambio di informazioni ed esperienze, sviluppando strumenti di comparazione (database, rapporti regolari di confronto) nel campo delle relazioni industriali e una discussione continua sulle politiche correlate alle relazioni industriali nazionali degli Stati già membri. Stefano Salis
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