europa un decalogo per lavorare meglio



dal sole24ore
 Sabato 02 Febbraio 2002  ore 18:54  
 
 
Europa, un decalogo per lavorare meglio 
MILANO - La Commissione europea ritiene che per l'occupazione occorra lo
sviluppo di un nuovo sistema di relazioni industriali ad alta qualità.
Questa conclusione, implicita ormai in molti documenti comunitari, è stata
esplicitata da un gruppo "di alto livello" sul futuro delle relazioni
industriali, composto da esperti di diversi Paesi - nominati dalla stessa
Commissione - che ha concluso i propri lavori qualche giorno fa (ne ha
fatto parte anche Marco Biagi, che qui a fianco commenta i risultati del
lavoro). Tutto lascia prevedere che la greca Anna Diamantopolou,
commissaria europea responsabile per il Lavoro e gli Affari sociali,
presenterà le conclusioni di questo lavoro al Consiglio europeo
sull'occupazione in calendario a marzo a Barcellona. La relazione. I punti
cardine dell'agenda per le relazioni industriali sono valori quali la
competitività e l'innovazione, che devono unirsi, però, alla coesione
sociale; maggiore risposta sui salari, maggiore attenzione verso
l'inclusione e la protezione sociale (favorendo quindi l'inserimento nel
mercato del lavoro dei soggetti più svantaggiati: disabili, gruppi etnici,
immigrati), formazione continua durante tutta la vita del lavoratore,
migliori condizioni sul luogo di lavoro (anche in termine di salute e
sicurezza), favorire e valorizzare a tutti i livelli il lavoro femminile,
la promozione di un invecchiamento attivo del lavoratore, chiamato a
periodi di training continuo, ma anche stimolato alla mobilità. E poi c'è
l'estensione del campo di applicazione della contrattazione collettiva,
raccomandata dal rapporto, che dovrebbe includere anche le forme di
contratti atipici. Per poter realizzare questi propositi si devono
costruire relazioni industriali con pratiche innovative quali "accordi
sull'innovazione", fondi salariali collettivi, "accordi sull'occupazione".
Il gruppo di esperti ha poi individuato una serie di parametri, per la
precisione 14 (si veda la tabella a fianco) per misurare il progresso e
promuovere la qualità nelle relazioni industriali. «Il ruolo delle
relazioni industriali - si legge nel rapporto - nel governare i cambiamenti
prossimi può essere valorizzato rinnovando gli strumenti e i contenuti già
disponibili, e rafforzando la responsabilità, la capacità di risposta e la
rappresentatività. Sta emergendo un nuovo approccio, basato su nuove
pratiche che guidano a una più alta qualità delle relazioni industriali».
Nel rapporto il termine "relazioni industriali", in effetti, viene usato in
senso ampio: esso non designa soltanto i rapporti tra i lavoratori e i
vertici aziendali (o delle organizzazioni che li rappresentano) e non
include solamente la regolazione dei salari o le condizioni dei lavoratori,
ma riguarda anche le politiche pubbliche e le questioni istituzioniali e
legali dei varie stati membri della Ue. C'è infatti una grossa disparità
nelle pratiche e nei processi sulle relazioni industriali nei diversi
Stati: e la sfida del comitato è stata anche quella di individuare criteri
e soluzioni che possano agire ugualmente bene sia a livello locale che
europeo. Le sfide del cambiamento. Divisa in sei capitoli, la relazione
identifica le nuove sfide che si pongono per le relazioni industriali:
globalizzazione, unione economica e monetaria, processo di allargamento
della comunità, cambiamenti tecnologici, tendenze demografiche e,
soprattutto, i riflessi che tutte queste componenti specifiche hanno o
avranno sul mercato del lavoro europeo. Governare il cambiamento non sarà
facile: la commissione di esperti propone di «razionalizzare la
consultazione e le procedure di concertazione creando un singolo Comitato
al più alto livello politico; sviluppando il dialogo sociale, facendo pieno
uso della larga gamma di strumenti disponibili, incoraggiando il dialogo
sociale settoriale come un potente strumento per indirizzare i problemi
specifici e fornendo nuovi significati per supportare dal basso il
confronto fra le parti nelle aree dove è particolarmente necessario, e cioè
negli Stati candidati all'ingresso nell'Unione». L'allargamento
dell'Europa. Naturalmente una delle questioni più spinose è quella
dell'armonizzazione del mercato del lavoro dei Paesi destinati ad allargare
la Ue: è chiaro che un eventuale espansione a 27 nazioni (e più di 500
milioni di persone) avrà nette ripercussioni sulla questione lavoro. Anche
perché mentre la superficie (di un'Europa a 27) crescerebbe del 34% e la
popolazione del 27%, il Pil europeo salirebbe solo del 5%, con conseguente
perdita del 18% su base pro-capite. Il divario con i Paesi candidati è
obiettivamente enorme: la reale convergenza dei Pil verso la media Ue,
secondo recenti studi, potrebbe non avere luogo se non in circa 30 anni, e
ammettendo che si realizzi il miglior scenario, con gli indici sempre al
rialzo. L'ultima parte della relazione è perciò dedicata ai sistemi dei
nuovi Stati e a un invito alla cooperazione con gli Stati membri della Ue
che si traduce in scambio di informazioni ed esperienze, sviluppando
strumenti di comparazione (database, rapporti regolari di confronto) nel
campo delle relazioni industriali e una discussione continua sulle
politiche correlate alle relazioni industriali nazionali degli Stati già
membri. Stefano Salis