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industria morti in qualira' industriale
- Subject: industria morti in qualira' industriale
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 14 Jan 2002 18:24:41 +0100
dal manifesto 10 Gennaio 2002 Morti in quantità industriali Ottocento "morti in eccesso" ogni anno rispetto alle attese. Lo dice uno studio dell'Oms commissionato dal ministero dell'ambiente in tredici aree ad alto rischio d'inquinamento MANUELA CARTOSIO Il ministro dell'ambiente Altero Matteoli definisce "spaventosi" i dati sui morti "in eccesso" rispetto alle attese causati dalle industrie killer (chimica, petrolchimica, siderurgia ma anche agricoltura e zootecnia intensiva). Spaventosi, ma non inediti, visto che il nesso tra picchi di mortalità e impianti chimichi è comprovato da un pezzo dalle analisi epidemiologiche. Le cifre sono quelle dello studio commissionato dal ministero all'Organizzazione mondiale della sanità: nel quinquennio 1990-1994 in 13 aree italiane ad alto rischio industriale i morti "in più" rispetto alle attese sono stati 4.167, pari al 2,64% dei 157.787 decessi totali. Più di 800 morti in eccesso all'anno nelle zone di Gela, Augusta, Crotone, Portoscuso, Brindisi, Taranto, Manfredonia, Massa, Delta del Po (sia nella provincia di Ferrara che di Rovigo), Val Bormida. Tutti nomi tristemente noti, a cui si aggiunge il "conoide" geologico di Reggio Emilia, Parma e Modena, dove si combinano industria della ceramica, porcilaie e agricoltura ad alto impatto chimico. Gli indici di mortalità più elevata sono stati registrati a Massa tra i maschi (+15,3%) e a Gela tra le femmine (+17,4%). Il picco più alto di mortalità da tumore è quello di Augusta, sia per i maschi (+22%) che per le femmine (+9,2%). A Taranto, tra la popolazione maschile, i casi di tumori alla pleura (riconducibili all'esposizione all'amianto) sono 4 volte superiori alle attese. Oltre ai tumori, le cause della mortalità eccedente sono le malattie circolatorie e cerebrovascolari, dell'apparato digerente e respiratorio, la cirrosi e il diabete. Tenuto conto dei lunghi periodi di latenza e della persistenza nell'ambiente di molte sostanze nocive - osserva Roberto Bertollini dell'Oms - è facile desumere che la mortalità in eccedenza nelle 13 zone è proseguita negli anni successivi al '94 e continuerà in futuro. Nelle 13 zone prese in considerazione non ci sono né Marghera, né Mantova, sedi di petrolchimici. Della bizzarra omissione, ovviamente, andrebbe chiesto conto non all'Oms ma al committente della ricerca. Perché il ministro Matteoli ci ha tenuto a farci ri-sapere quanto mortiferi sono alcuni impianti e alcune produzioni? Perché ci sono da bonificare 15 mila siti inquinati (dato fornito ieri nella stessa conferenza stampa da Legambiente) e, dice il ministro, "la mano pubblica non ha risorse per bonificare tutto a sue spese". E' necessario un "significativo apporto" da parte di chi ha inquinato, aggiunge, "e molte delle bonifiche, soprattutto in aree di grande pregio, possono essere finanziate con il plusvalore che può derivare da un'intelligente utilizzazione turistica". La proposta, prevede Matteoli, "mi attirerà sicuramente parecchie critiche, ma io vado avanti", sperando in un clima di collaborazione in parlamento tra maggioranza e opposizione. 900 miliardi (di lire) stanziati per un triennio bastano solo a mettere in sicurezza alcune delle zone inquinate. Ci vuole una legge che faccia partecipare alla spese di bonifica il privato che poi vuol farci l'affare sopra. Per uscire dalla "stagione dei veleni", dice il presidente di Legambiente Ermete Realacci, occorrono certezze economiche per la bonifica e il recupero dei siti inquinati. "Chi ha inquinato paghi" resta un principio sempre valido per Legambiente, anche se raramente messo in pratica. Ma cosa fare quando chi ha inquinato è ignoto (succede per molte discariche) o quando l'azienda ha chiuso i battenti, magari per fallimento? Per quelli che si chiamano siti "orfani" Legambiente propone come modello il Superfund statunitense. Ogni azienda versa una quota in un fondo collettivo al quale si attinge in caso di bisogno. In sostanza, la bonifica che ora è quasi sempre accollata alla fiscalità generale verrebbe fatta pagare alle imprese a rischio. Si tratta di una tassa (o di un fondo di mutuo soccorso tra imprese) e dubitiamo che quello di Berlusconi sia il governo giusto per imporla. La ricerca dell'Oms, afferma la dottoressa Lucia Fazzo di Legambiente, va estesa alle malattie. Le industrie a rischio non provocano solo più decessi rispetto alle attese. "Non tutte le malattie uccidono, però incidono pesantemente sulla salute pubblica".
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