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web attacco alla rete per farne una tv
- Subject: web attacco alla rete per farne una tv
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 12 Jan 2002 06:56:25 +0100
dal manifesto 06 Gennaio 2002 Attacco alla rete per farne una tv La parola d'ordine delle imprese è "vendere contenuti" su Internet. Ma questo cambia il modello - rompe la simmetria del rapporto "tra pari" per reintrodurre il messaggio unidirezionale, da emittente a ricevente. Una tendenza - speriamo - fallimentare, perché in rete ci si va per essere partecipi, non spettatori passivi FRANCO CARLINI " Avevo (e ho) un sogno, che il web potesse essere meno un canale televisivo e più un mare interattivo di conoscenza condivisa. Immagino un caldo e amichevole ambiente fatto delle cose che noi e i nostri amici abbiamo visto, sentito, creduto o immaginato. Mi piacerebbe che rendesse più vicini i nostri amici e colleghi sì che lavorando insieme su questa conoscenza, possiamo ricavare una migliore comprensione". Chi è mai questo strano tipo che già il 12 dicembre 1995 parlava del web come di una cosa al passato e che comunque non rinunciava all'idea di una rete sociale e comunicativa? Chi è costui che quando il web era appena esploso (ma pochi in Italia allora sapevano di che si trattasse) subito metteva in guardia dal rischio di farne solo una televisione? Il signore in questione, per chi non l'avesse indovinato, si chiamava Tim Berners-Lee, il ricercatore inglese che lavorando al Cern di Ginevra (il laboratorio internazionale di ricerca sulle particelle elementari e le alte energie), inventò un protocollo, da allora chiamato http, nonché la sigla World Wide Web (una rete grande come il mondo) e con essi il linguaggio Html, fatto di marcatori (tag) con cui rendere universale la comunicazione tra computer dotati di hardware e software diversi. Nei giorni scorsi a Tim è stato assegnato il Japan Prize della "Science and Technology Foundation", perché la sua invenzione "ha avuto un impatto incalcolabile sul modo in cui gli umani comunicano, collaborano, condividono le informazioni e conducono gli affari". Sempre instancabile, e sempre "illuso", l'11 dicembre ha lanciato un nuovo gruppo di lavoro, chiamato Tag (come i "tag" del suo linguaggio) per la progettazione delle nuove architetture dell'Internet che verrà. Ma non c'è dubbio che quel sogno iniziale ("un caldo e amichevole ambiente fatto delle cose che noi e i nostri amici abbiamo visto, sentito, creduto o immaginato") si è realizzato solo in minima parte. In compenso il timore che la rete che si trasformi in broadcasting televisivo è sempre più concreto. Anzi è realtà operante. E non è allegra. Non perché la televisione sia un male in sé, figurarsi: è (o potrebbe essere) uno straordinario strumento di piacere visivo, di acculturazione, di informazione. La si può fare bene e la si può fare male - questo non importa nel nostro contesto. E non si parla qui nemmeno dei contenuti: chi sa fare televisione offre sia il Tg di Emilio Fede che le Jene, sì da soddisfare i berlusconiani come gli anti, e dunque fa audience con entrambi. Chi invece - come la Rai -non risponde a logiche di pubblico né di mercato, si plasma volta per volta secondo i desideri del potere politico di turno e così censura, nasconde, addormenta, vespizza; in definitiva deprime. Facendo male la televisione fa male alla televisione. Tuttavia quello che fa la differenza tra l'Internet e la Tv è la direzione del flusso dei dati. Nella televisione e nei vecchi media, come noto, essi si muovono dal centro alla periferia perché così la televisione è stata costruita, sia nei suoi modelli editoriali che nelle strutture tecnologiche. E così funzionano i network in tutto il mondo. La rete Internet invece ha aperto una speranza e una possibilità diverse, fin dalle sue fondamenta architetturali. E' successo per caso e nessuno, salvo pochi "illusi", ci credeva davvero. Ma è successo. E' capitato dunque che si realizzasse una struttura che era essenzialmente neutrale e simmetrica. Neutrale vuol dire che il messaggio viaggia da un mittente a un destinatario senza che alcun intermediario lo distorca o lo trasformi. L'insulto più sanguinoso così come il sentimento migliore partono e arrivano indisturbati, nel bene e nel male. Simmetrica vuol dire che - almeno in linea di principio - ogni macchina collegata all'Internet era insieme sorgente e recettore di informazione. Che ognuna poteva fare download quanto upload, essere indifferentemente client e server, con le stesse prestazioni e gli stessi cavi. A un certo punto è successo che, grazie a persone geniali come Berners-Lee, l'Internet, sotto forma di Web, divenisse uno strumento di massa alla portata di tutti. Ma il successo ne sfigurava le caratteristiche migliori. I programmi di navigazione (i browser) sono stati progettati per vedere e leggere delle pagine, senza poterle modificare. La famosa interattività ridotta a un clicca qua e clicca là, in un limitato orizzonte di posssibilità e di azioni. Il problema della scarsità di indirizzi Internet, di fronte alla domanda crescente, è stato risolto con una tecnica detta dell'indirizzamento dinamico; questo significa che quando mi collego alla rete, e per il periodo del collegamento, al mio computer viene provvisoriamente associato un indirizzo IP (Internet Protocol, una quaterna del tipo 193.76.248.5). Ma, finito il collegamento, quel certo indirizzo verrà assegnato a un altro utente, nel frattempo entrato in rete. Questo significa che il mio computer non è alla pari con gli altri nodi della rete: può ricevere pagine, posta, musica e immagini, ma non può fare lui da emettitore continuo. Certo posso spedire messaggi, ma senza indirizzo Ip statico (come si dice tecnicamente), su di esso non può risiedere un sito web. E infatti se me ne voglio fare uno devo ricorrere a un provider che mi ospiti su di un suo "host computer" il quale è permanentemente in rete e ha un suo indirizzo che non cambia mai. Ma non è la stessa cosa; una rottura della simmetria e della bidirezionalità è già avvenuta, e paradossalmente proprio per il suo sconvolgente successo di pubblico. Le cose comunque sono destinate a peggiorare. Finita l'epoca illusoria delle aziende Punto Com e della bolla Internet, sembra cominciata quella dell'Internet a pagamento: le aziende che hanno investito miliardi nei loro megaportali o chiudono (le più deboli o mal progettate) oppure vogliono vedere i ritorni e quindi cercano contenuti vendibili. E qui scattano i riflessi condizionati della Old Economy: che cos'è che il popolo bue compra? Tette e culi, innazitutto, che dunque vanno messi in abbondanza in ogni sito, anche in quelli di notizie. Non lo fa la Cnn, non lo fa Salon, ma lo fanno in abbondanza sia il laico Scaglia con www.ilnuovo.it che il cattolico Soru (e tanti altri, ovviamente). Ma le belle ragazze in home page producono solo pochi effimeri clic in più, buoni al massimo per fare effetto su inserzionisti pubblicitari sempre meno convinti. E' piuttosto la televisione (anzi i Rich Media, simpatico eufemismo) che si pensa di vendere. Si tratta di prendere i programmi che già esistono, pensati per altro pubblico e per altre tecnologie, comprimerli a dovere, ridurli a piccolissimo monitor (da piccolo schermo che erano) e impacchettarli per la rete. Nessuno sforzo di fantasia linguistica né di creatività (come quelli viceversa esibiti dal Pollo Gino presso www.my-tv.it), solo packaging. Che idea sarà mai quella di dare in streaming un concerto di Mina o di Bocelli? Il risultato di tali operazioni dove gli sponsor (Wind e Hdp, nell'occasione) hanno investito troppi milioni è solo di intasare la rete e di deludere decine di migliaia di persone che non riescono a collegarsi. Il tutto usandola in broadcasting sincrono, dove la sua virtù semmai sarebbe nel poter vedere il telegiornale in asincrono, ovvero anche alle 21:12, e non necessariamente alle 20:00. A proposito: sul canale Internet della Rai si possono vedere i Tg, ma pudicamente ne viene taciuta l'ora; infatti alle 18 di pomeriggio si trovano ancora quelli della sera prima. A futura memoria? Qui forse si esagera con il tempo differito. Il modello dell'Internet che si fa televisione non è criticabile solo per l'unidirezionalità che implica, ma probabilmente anche fallimentare. Secondo Silvio Scaglia di eBiscom, invece, il futuro è lì, in 800 mila italiani almeno che spendano ogni anno un milione e mezzo ognuno per avere la sua larga banda. Ma nessuno sembra chiedersi come mai le fasce giovani (i telespettatori di domani), vedano meno televisione e usino tanto tempo in rete. Lo fanno perché sull'Internet ci sono cose meravigliose che la televisione non offre? No di certo, visto che la rete è confusa, ripiena di materiali scadenti, scomoda da usare; dal punto di vista visivo è cento volte più brutta della televisione. C'è il fondato sospetto che questi giovani si comportino così perché in rete si sentono protagonisti attivi e infatti più che il web usano la posta elettronica, i forum, le chat e gli Instant Message. Senza alcuna nostalgia per la prima Internet che era assai elitaria, sembra dunque valere ancora la vecchia massima secondo cui "il bello dell'essere in rete è l'essere in rete", ovvero all'interno di un web di relazioni personali. E poco importa da questo punto di vista che si faccia gruppo attorno alle grandiose imprese di Valentino Rossi, oppure che si discuta di globalizzazione. In entrambi i casi il valore che premia è la possibilità di prendere la parola, un'attività oggi sempre meno facile e consentita. Oltre a tutto capita magari che i fans di Valentino siano anche, con altre motivazioni e pseudonimi, fervidi antiglobal perché sostenitori invece della globalizzazione simmetrica (quella della libera circolazione delle persone, delle merci e delle idee anche dal sud verso il nord del mondo). Simmetria, appunto: è quanto l'Internet garantiva e in larga misura tuttora permette. Per fortuna le più recenti inziative dal basso, ma ormai di massa, sono in assoluta controtendenza rispetto alla corsa verso l'Internet televisiva (poco interattiva, molto commerciale, molto povera anche quando luccicante). Sotto le sigle P2P (che è ben più che una tecnologia) e Open Source (che è ben più che un problema di software) si avverte l'idea di mettere a frutto non già i contenuti di cento portali egemoni, ma la ricchezza infinita dei 300 milioni di personal computer in giro per il mondo, ognuno con il suo contenuto di memoria, sovente unico, con la sua potenza di calcolo (che viene messa a disposizione di progetti comuni) e soprattutto con le intelligenze e i desideri delle persone che vi siedono davanti. Forse i contenuti e i valori sempre meno risiedono al centro della rete, nel suo nucleo centrale, ma invece nei rami laterali e periferici della galassia Internet. E la lettera P della sigla P2P (peer to peer) forse dovrà più correttamente essere letta come People, "persone". Sta lì il bello e stanno lì anche gli affari, per chi voglia capirlo.
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