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gli economisti e la felicita'
- Subject: gli economisti e la felicita'
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 07 Jan 2002 06:31:44 +0100
da repubblica DOMENICA, 06 GENNAIO 2002 Stampa questo articolo Gli economisti e la felicità FEDERICO RAMPINI ---------------------------------------------------------------------------- ---- La ricchezza produce felicità? La domanda può sembrare retorica. Ma non è banale se diventa il tema del congresso nazionale degli economisti americani, oggetto di studi statistici e ricerche scientifiche raffinate, e conquista la prima pagina del Wall Street Journal. Per di più in un'America dove l'11 settembre ha avuto un effetto sui valori collettivi: l'aumento della pratica religiosa, la riscoperta della solidarietà, la crisi del materialismo sfrenato degli anni Novanta. L'economia americana è ancora in recessione, la disoccupazione sta salendo, i profitti delle imprese sono depresse, ma la Borsa già è certa che una ripresa ci sarà entro la primavera (non si sa quanto forte): questi sono i temi che dominano l'attualità, e sarebbe stato naturale che di queste cose si occupasse l'American Economic Association, riunita ad Atlanta da venerdì. Perché mai il congresso degli economisti ha scelto di affrontare il tema della felicità, anziché discutere la politica monetaria di Alan Greenspan? E' un segno dei tempi? L'offensiva terroristica sferrata nel cuore della finanza di Wall Street, preceduta dal movimento di Seattle che contestava l'americanizzazione consumistica del pianeta, seguita dalla crisi Argentina che smentisce la validità di ricette ultraliberiste: tutto questo fa massa critica, induce gli americani a rimettere in discussione il loro modello di sviluppo e di società. Si riscopre così un filone antico della ricerca economica, quello che contesta l'efficacia del Prodotto interno lordo come misuratore del benessere sociale (perché, per esempio, non calcola i costi dell'inquinamento o della criminalità). Così i più autorevoli economisti americani riuniti ad Atlanta hanno discusso per due giorni delle ricerche che un tempo avrebbero interessato psicanalisti e sociologi. La conclusione a cui sono giunti è decisamente «di sinistra», per un Paese che è il regno della libertà di mercato, governato da un'Amministrazione repubblicana che riduce la pressione fiscale sui ricchi. La felicità, stabilisce l'American Economic Association, non è un fatto puramente individuale. Cresce — di solito — insieme con la ricchezza. Però il grado di soddisfazione offerto dal denaro si attenua con la crescita delle nostre aspettative; o per effetto della «invidia» altrui provocata da un eccessivo livello di diseguaglianze sociali. A queste conclusioni i migliori economisti Usa non sono giunti sulla base di ragionamenti astratti o di intuizioni psicologiche. Hanno usato fior di ricerche demoscopiche e indagini sul campo, compiute negli Stati Uniti e in Europa, le due aree del mondo a più alto reddito pro capite. Del resto il ramo dell'economia che si occupa di misurazione della felicità ha ormai una robusta storia alle spalle: fu fondato da un economista della California, Richard Easterlin, ben 25 anni fa. Studiando l'opulenta società californiana da un boom economico all'altro, Easterlin aveva notato per primo che i conti non tornavano: le inchieste sugli individui indicavano che la loro vita non li soddisfaceva più di prima. Un altro economista, Andrew Oswald dell'università di Warwick, ha fatto una scoperta apparentemente contrastante dedicandosi allo studio delle recessioni. Il nesso tra denaro e felicità, qui risulta eccome: nei periodi di crisi economica la depressione psicologica dilaga. Ma il dato più interessante è un altro. Nelle recessioni i problemi psichici non colpiscono solo chi perde il posto di lavoro o subisce un impoverimento nel tenore di vita. L'infelicità contagia categorie di persone che non rischiano niente. E' la riprova che l'uomo è un animale sociale, la sua felicità è minacciata quando egli si sente accerchiato dall'invidia o dall'ostilità degli altri. Lo stesso Oswald ha dimostrato che la crescita della felicità legata all'arricchimento individuale è debole, se avviene mentre intorno tutti gli altri si arricchiscono ancora di più: scatta il meccanismo dell'emulazione o invidia sociale. La situazione economica ideale per avere il massimo di felicità individuale, si potrebbe definire così: una crescita del mio reddito superiore alla media, ma in un contesto sociale senza troppe diseguaglianze, in cui vi sia una buona distribuzione collettiva del benessere. E' una chiara indicazione in favore di un sistema fiscale progressivo, che redistribuisca dai ricchi ai poveri, unito ad una società mobile e flessibile che non scoraggi il successo individuale. Daniel Kahneman, docente di Princeton e candidato al Nobel per i suoi lavori che uniscono l'economia alla psicologia, ha una visione leggermente più pessimista. Nella ricerca della felicità, sostiene, gli individui finiscono spesso in una specie di trappola delle aspettative crescenti. Via via che guadagnano di più, e possono offrirsi piaceri e lussi prima irraggiungibili, essi tendono a spostare il livello dei desideri sempre più in alto. «Quel che chiediamo dalla vita — dice Kahneman — è sempre un po' di più di quello che il nostro reddito attuale ci consente di comprare». Di certo il materialismo americano degli anni Novanta è contestato, e non solo tra gli economisti. Il 2001 si è chiuso designando come eroi nazionali i vigili del fuoco di New York, non Bill Gates e George Soros. Patria famiglia e religione hanno dominato le feste di fine anno, molto più dello shopping. C'è chi vede in questo un ritorno alle origini: in fondo l'America è nata dal puritanesimo, i suoi presidenti giurano su Dio, ed è l'unico paese al mondo la cui Costituzione sancisce come un diritto fondamentale del cittadino The Pursuit of Happiness, la ricerca della felicità.
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