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l'altruismo conviene
- Subject: l'altruismo conviene
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 04 Jan 2002 06:47:27 +0100
dal manifesto di domenica 23 dicembre 2001 L'altruismo conviene Il comportamento egoistico si tramuta davvero in un vantaggio collettivo? Studi recenti confutano il teorema fondante il capitalismo FRANCO CARLINI Linus Torvalds (il fondatore della comunità Linux) e Tim Berners-Lee l'inventore del World Wide Web rappresentano solo le figure più note di un movimento ampio detto di Free Software e, nella versione più recente di Open Source, che ha acquistato enorme popolarità e anche successo di mercato grazie ai prodotti aperti come Linux, Apache, Perl, Php eccetera. Ma l'interesse di queste esperienze va al di là di una idealistica contestazione del modo classico di fare software e di stare in rete. Si può invece sostenere che: 1. il comportamento altruista e cooperativo non è solo un residuo di società arcaiche e preindustriali; 2. che esso non è solo l'altra faccia dell'egoismo umano; 3. ma invece è un elemento modernissimo e essenziale del nuovo mondo che si va plasmando e che, in quanto tale, dovrebbe semmai risultare interessante anche per i più lungimiranti tra i capitalisti - la qual cosa del resto si va già verificando. Eugenio Scalfari continua a sostenere che l'uomo è intrinsecamente aggressivo e che chi sostiene il contrario rispolvera il logoro mito del Buon Selvaggio; e tuttavia molte ricerche recenti indagano le origini dell'altruismo, facendo delle scoperte interessanti. Per parte loro i casi del software aperto e della cooperazione Internet le ripropongono, mettendole in nuova luce. Una spiegazione possibile è di tipo biologico-deterministico, figlia delle teorie sociobiologiche in voga negli anni '70 e poi riemerse nei '90 sotto l'etichetta di "psicologia evolutiva". L'ottica è di questo tipo: ogni comportamento umano ha una determinante genetica; l'evoluzione infatti ha plasmato piante e animali (e noi tra questi) selezionando i più adatti a ogni ambiente. Se l'aquila ha una vista così acuta (un occhio d'aquila, appunto) è perché dovendo scovare le sue prede da grande altezza, sono risultati favoriti quegli esemplari che, casualmente, avevano una vista migliore: hanno potuto nutrirsi meglio, e dunque vivere più a lungo e dunque fare più figli, ai quali hanno trasmesso i geni che sovraintendono alla costruzione di un apparato visivo con maggiore acuità. E così, generazione dopo generazione, sono emerse le aquile più adatte. Anche con i comportamenti le cose andrebbero allo stesso modo e dunque ogni scelta umana, o almeno quelle più istintuali, deve avere un senso evolutivo, deve essere il frutto di una selezione che porta qualche vantaggio. Dunque, ci si chiede, quale vantaggio porta l'essere altruisti? Tanto più che la specie umana sembra capace di gesti davvero grandi, fino al sacrificio della propria vita? In questa ottica si invoca, per gli uomini, ma anche per diversi animali, una sorta di altruismo verso i consanguinei (kin selection, selezione parentale), constatando empiricamente che più frequentemente un umano è altruista verso figli, nipoti e cugini. La spiegazione deterministica afferma che le cose vanno in tal modo perché l'altruista, così facendo, aumenta le probabilità di sopravvivenza dei suoi geni, o se non dei suoi geni in senso stretto, quantomeno di un pool genetico che contiene molto del suo Dna. Questa teoria, inizialmente avanzata da Hamilton nel 1964, è stata arricchita e rafforzata dal Gene Egoista di Richard Dawkins: in ultima analisi le scelte di comportamento, anche quelle prese in base all'apparenza di una libera volizione sono guidate (talora persino determinate), da un sottofondo genetico, anzi dal bisogno programmato dei geni di perpetuare se stessi, in un quadro in cui il fenotipo (nel caso specifico il corpo umano) è solo un mezzo al fine, il contenitore fisico attraverso il quale i geni raggiungono il loro scopo di eternalizzarsi. Dunque una madre che si butta nel fuoco per salvare un figlio in pericolo, lo fa credendo di volergli bene, ma in realtà perché in lei tutto è programmato e costruito per propagare i propri geni e salvare il figlio è esattamente un modo di proteggere quel Dna e di assicurargli una discendenza. Un altro livello di spiegazione suona così: non siamo mai davvero altruisti perché (magari inconsciamente) quando facciamo un'azione buona ci attendiamo sempre una ricompensa. E' la teoria dell'altruismo reciproco. In buona sostanza: se faccio un regalo a un amico, è anche perché mi aspetto di riceverne uno a mia volta, prima o poi, per esempio in occasione del mio compleanno. Questo comportamento generoso non si applica solo tra consanguinei o parenti, ma si esercita anche verso estranei, e sottintende una posta utilitaristica in gioco: certo si corrono dei rischi (quello che l'altro si riveli un ingrato), ma se le cose vanno bene, se ne ricava un beneficio. Se il premio del comportamento altruistico è superiore al suo costo, allora esso si rafforza e si diffonde. Questo modello cerca di ricondurre a motivazioni razionali la generosità umana, dove per razionale si deve intendere una scelta che pesi i costi e i benefici delle diverse opzioni e ne ottimizzi il rapporto. Sono evidenti in questo caso le influenze culturali delle teorie sull'operatore razionale che sono la passione degli economisti. Riecheggiano in tale versione le formulazioni di Adam Smith (La ricchezza delle nazioni), laddove sostiene che non è sulla "benevolenza del macellaio" che si può contare, ma piuttosto sul fatto che egli, curando al meglio i propri interessi, indirettamente soddisfi al meglio anche i nostri. Dunque una cooperazione tra egoisti, un altruismo interessato. Si innesta qui un altro filone che ha animato le ricerche degli ultimi anni e che intende affinare le spiegazioni di tipo razionale-individualistico mettendo all'opera la teoria matematica dei giochi. Questo quadro concettuale si basa essenzialmente su delle matrici di pagamento che associano un punteggio positivo o negativo ai diversi comportamenti. Si tratta dunque di trovare le strategie ottimali, in uno spazio multidimensionale di scelte e (più interessante ancora) gli algoritmi con cui far trovare le strategie vincenti. Si chiama teoria dei giochi perché ben si applica a quei micromondi che sono i giochi: per esempio filetto, dama, giochi di carte. In qualche caso fortunato (perché particolarmente semplice) è relativamente facile trovare le mosse giuste per vincere. Un apparato concettuale del genere è stato applicato ai comportamenti cooperativi o egoistici, specialmente a partire dalla simulazioni al computer pubblicate da Robert Axelrod nel 1984. Queste ricerche adottavano come "campo di gara" e di prova dei comportamenti il cosiddetto Dilemma del Prigioniero dove due giocatori possono scegliere, a ogni mossa, se cooperare l'uno con l'altro oppure se tradire (abbandonando il comportamento collaborativo con una defezione). La matrice del gioco premia con un punteggio alto la situazione in cui l'uno defezioni mentre l'altro collabora; dunque quella di tradire sembra la scelta più razionale, ma se entrambi lo fanno, entrambi sono puniti abbastanza pesantemente. Allora qual è la scelta migliore? Le cose si complicano ulteriormente in una situazione più astratta in cui il gioco (la scelta tra le diverse opzioni) viene iterato, cioè ripetuto più e più volte. Non esiste una soluzione matematica fissa, l'unica possibilità è di simulare diverse strategie di comportamernto al computer e farle giocare l'una contro l'altra in una sorta di torneo. E' quanto fece Axelrod nel suo lavoro iniziale, ottenendo un risultato interessante: la strategia migliore tra tutte quelle scese in gara era molto semplice e relativamente poco egoista; si chiama "Tit for Tat" che si potrebbe tradurre "Colpo su colpo" e consiste nel cooperare in linea di principio, ma nel defezionare (restituire il tradimento) se nella giocata precedente l'altro ha tradito; si riprende poi a collaborare fino a nuovo tradimento. Da allora le ricerche sono proseguite intensamente per opera soprattutto di Martin A. Nowak, biologo e matematico viennese che lavora tra Oxford in Inghilterra e Princeton negli Stati Uniti. E si sono fatte più interessanti, prima spostando l'attenzione dal breve al lungo termine (nei giochi iterati) e poi esaminando l'interesse (i costi e i benefici delle diverse strategie) per intere popolazioni di soggetti (persone, animali, automi cellulari). In estrema sintesi ne risultano due risultati che dovrebbero far pensare: il primo dice che cooperare è meglio. Il secondo che, per effetto delle iterazioni ripetute su molte popolazioni e generazioni, "emerge" la cooperazione umana. Ovviamente si tratta di sistemi matematici che tengono d'occhio solo alcune delle variabili del fenomeno e in ogni caso i risultati sono di tipo statistico, ma restano comunque significativi perché possono gettare qualche luce su una caratteristica tipica solo degli umani, ovvero sulla ricchezza della socialità e sulla complessità delle azioni umane che non è possibile piegare ai modelli deterministici più stretti. Secondo alcuni tali comportamenti si possono classificare in un'altra categoria di altruismo, quella della reciprocità indiretta: non mi aspetto di essere ricambiato direttamente dal destinatario del dono, ma dall'insieme dell'ambiente in cui l'atto altruistico si genera. Se si vuole anche la frase evangelica "Date e vi sarà dato" (Luca 6, 38) corrisponde all'idea che la ricompensa non necessariamente sarà diretta, ma possa venire da altri (o dal Signore). E' chiaro che a questo punto entrano in gioco ben altri fattori che non la semplice genetica o il calcolo economico-razionale attuato dal singolo individuo. L'uomo, animale eminentemente sociale, interagisce, risente dell'ambiente in cui vive e al tempo stesso lo influenza. Capita dunque che in una comunità si sviluppino forme di altruismo - per esempio il dono - e che queste vengano ritualizzate e diventino un valore, mentre il comportamento egoistico è giudicato male. Questo insegna per esempio la storia dei Commons (i beni comuni come legname, pascoli, pesce del fiume) che le comunità per secoli hanno gestito in comune, appunto. Ma che rischiano continuamente di essere deteriorati e sprecati se non esistono valori condivisi e regole a tutela del bane comune: vale per i pesci del fiume, ma sta diventando sempre più vero anche per l'Internet. Come si vedrà meglio nella prossima puntata.
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