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Per la costruzione di una "economia dell'attenzione" etica e di una concessionaria di pubblicita' etica.
- Subject: Per la costruzione di una "economia dell'attenzione" etica e di una concessionaria di pubblicita' etica.
- From: matteo pasquinelli <matteopasquinelli at gmx.it>
- Date: Wed, 26 Dec 2001 10:07:36 +0200
Salve, mi chiamo Matteo Pasquinelli, vivo e lavoro a Bologna, sono un ex-giornalista Rai ed organizzatore di media indipendenti ed eventi culturali. Vi scrivo per presentare un progetto di pubblicita' etica che vi dovrebbe interessare e coinvolgere da vicino. Ho pensato di rivolgervi a voi per primi per presentare e discutere questo progetto. Questa che trovate e' una introduzione scritta per un gruppo di ricercatori, attivisti, pubblicitari e studenti raccolti intorno al magazine Rekombinant (www.rekombinant.org) e ai Social Forum italiani. Perdonate lo stile un po' teorico ma all'inizio e' necessario. Alla fine del testo trovate la bozza di progetto per la costituzione di una concessionaria di pubblicita' etica. Attendo un vostro parere, a presto Matteo ----- RECLAIM THE ATTENTION ECONOMY Per la costruzione di una "economia dell'attenzione" etica e di una concessionaria di pubblicita' etica. di Matteo Pasquinelli (mat at rekombinant.org) per Rekombinant INGEGNERIA A ROVESCIO: L'ETICA NEL MOTORE Negli ultimi anni sono diventati di pubblico dominio nomi come finanza etica, banca etica, commercio equo e solidale. Esistono da decenni cooperative di mutuo sostegno e di finanza alternativa ma la loro corrente carsica e' emersa solo quando la sensibilita' collettiva ha maturato una coscienza globale. L'autogestione dal basso di modelli economici va di pari passo con la diffusione dei new media, dell'internet, della costruzione di forum sociali e media dal basso. Hardware a buon mercato, software semplici da usare, ma soprattuto la consapevolezza che la tecnologia, la comunicazione, l'economia possono essere smontati, compresi e ricostruiti dal basso. Non 'Power to the people', ma *Power from the people*. Questa volta nella figura di comunita' di consumatori, di gruppi di affinita', di radio comunitarie, di centri sociali. La decostruzione dal basso dei mezzi di produzione ha aggiunto un aggettivo: etico. Reazione civile all'immoralita' oscena dell'Occidente. Dopo il crollo del Muro di Berlino, subito abbiamo visto l'Occidente senza freno mettere in ginocchio le economie del Terzo Mondo, colonizzare il verde, distruggere i piccoli centri, atrofizzare il tessuto sociale. Ed e' nata una coscienza globale. Etico non significa puro. Significa l'ibridazione di un meccanismo capitalistico sfuggito al controllo della comunita' con un sistema di valori condiviso. Puo' significare riportare un'attivita' mercantile a dimensioni umane, rispettare i diritti dei lavoratori, dei consumatori. Etico ha il senso pragmatico e utopico della parola 'hacking', cercare di cambiare le regole del gioco giocando. E il gioco in questo caso e' sporco per definizione, e' il gioco del denaro. Quello che e' interessante nella finanza etica e' che l'etica si integra nel meccanismo economico, non e' un censore esterno, una mera protesi, e' parte dello schema. La finanza etica usa un sistema di valori come grimaldello e non semplicemente come scudo. Cosi' come costruiamo un'economia etica dobbiamo cominciare a costruire anche un'economia etica dell'informazione, dello "spettacolo", dell'attenzione, cominciare a mettere mano all'economia dell'immateriale. L'ECONOMIA DELL'IMMATERIALE La critica postfordista e' riuscita solo a scalfire la superficie dell'economia dell'immateriale. La societa' dello spettacolo, il lavoro cognitivo, il taylorismo, i loghi di Naomi Klein, la bolla della New Economy. La merce diventa immagine, il lavoro diventa conoscenza e informazione. In realta' si tratta ancora della Old Economy che ha bisogno di agganciarsi alle strutture flessibili e ai veloci canali pubblicitari della New Economy. La New Economy e' solo l'etichetta della Old Economy, la sua moneta di scambio. Questa etichetta molto spesso la costruiamo noi, non il Capitale. 'Attention Economy', scritto da Thomas Davenport e John Beck, e' il libro che spiega come l'economia di oggi funziona conquistando spazi e tempi di attenzione del pubblico e che questa attenzione oggi, nel rumore bianco del bombardamento mediatico, e' il bene piu' scarso, quindi piu' prezioso. Il valore della merce dipende dal nostro tempo di attenzione che riesce a conquistare. Su questa economia dell'attenzione si basa un mercato pubblicitario gigantesco che regge imperi come Mediaset, Rai, Rcs, Repubblica. Il 50% dell'economia di un paese e' psicologia, diceva Ludwig Erhard, economista tedesco. Il capitalismo e' in crisi e la battaglia della pubblicita' e' disperata perche' ormai il tempo di attenzione e' saturato. L'uomo moderno vive in un indistinto brusio informativo fatto degli input della tv, dei giornali, di internet, della metropoli, delle relazioni sociali: information stress. I bacini di attenzione possono essere costruiti dall'alto o dal basso, dal bombardamento dei media o dalle relazioni sociali della comunita'. Pochi anni fa il movimento "antagonista" rivendicava reddito per tutta la produzione simbolica non pagata che veniva recuperata dal sistema, semplificata e trasformata in moda, musica, film. Oggi non si tratta semplicemente di rivendicare il proprio lavoro immateriale non pagato, la produzione simbolica di cui si ciba MTV, ma di rivendicare il proprio tempo di attenzione e rivalutarlo. RIVENDICHIAMO LA NOSTRA ECONOMIA DELL'ATTENZIONE Le nostre comunita' rappresentano un capitale sociale inestimabile in termini di economia dell'attenzione per la capacita' di produzione di legame sociale, di produzione di messaggi, mode, simboli, immaginario, in definitiva per la produzione di attenzione. I nostri bacini di attenzione devono diventare indipendenti rispetto al grande bacino dei media di massa, della televisione globale. Lo abbiamo fatto attraverso media indipendenti e network orizzontali. Ma abbiamo sottovalutato un medium onnipresente che si e' infiltrato in tutto il nostro spazio vitale, un medium micidiale perche' costantemente lo rimuoviamo: la pubblicita'. Non si tratta di fare contro-pubblicita', ma di fare pubblicita' per noi, pubblicita' completamente ripensata, rivendicare il nostro tempo di attenzione, guadagnare soprattutto la nostra economia dell'attenzione. Pensiamo alla pubblicita' come possibile "tactical media", come "indymedia". Non e' solo una missione contro l'inquinamento estetico e sociale delle pubblicita': e' una rivendicazione economica. Per questo dobbiamo rovesciare i meccanismi pubblicitari, creare network di attenzione autogestiti, creare UNA CONCESSIONAERIA AUTOGESTITA DI PUBBLICITA' ETICA, che esca dalle nostre comunita' e si proietti verso la societa' tutta, che non faccia una caritatevole "pubblicita' progresso" (invenzione delle major della pubblicita'), bensi' una pubblicita' che inneschi il suo bacino economico, che porti dietro la sua economia, che sia la finanza etica, il mercato equo e solidale, le cooperative, le produzioni culturali e artistiche, i media comunitari. COSTRUIAMO UN NETWORK DI PUBBLICITA' ETICA Perche' costruire un network e una concessionaria di pubblicita' etica? 1 - La prima considerazione e' politica: per non lasciare inutilizzata la ricchezza di comunicazione e di economia di attenzione delle nostre comunita' e per non svenderla alle grandi imprese. La pubblicita' oggi regge imperi come Mediaset e Rai, decide della vita e della morte dei media comunitari e dell'informazione indipendente. Poche concessionarie gestiscono gran parte del mercato. Per questo dobbiamo riappropiarcene e autogestirla. 2 - La seconda considerazione e' economica: per sperimentare forme di reddito e di impresa che non ci costringano a vendere ad altri le nostre idee, i nostri contenuti, le nostre reti. Per evitare di affidarsi a concessionarie che guadagnano quanto noi dalla vendita degli spazi pubblicitari senza sudare una goccia. 3 - La terza considerazione e' culturale: per considerare la pubblicita' come un mass medium a tutti gli effetti che influenza con il suo linguaggio la societa' e per usarlo in maniera creativa ed etica. Per questi motivi serve una concessionaria di pubblicita' etica che: - dia possibilita' economiche anche ai media comunitari, di movimento, cooperativi. - compatti economicamente questo bacino politico e culturale dalla notevole ampiezza. - abbia un modello etico, non speculi sugli spazi pubblicitari, dia piu' importanza agli editori che ai profitti e quindi si strutturi come cooperativa non-profit. - sia un marchio di garanzia per i consumatori e utenti, sia trasparente sullo status legale ed etico degli inserzionisti, dia continue garanzie sul come vengono scelti e tenga aperto un canale per le critiche e le reazioni degli utenti. - ridistribuisca la pubblicita' in modo orizzontale senza favoritismi politici, chiarendo anche in questo caso in modo trasparente chi possa entrare a far parte del network. - tuteli gli utenti con pubblicita' non invasiva e piu' informativa, sia rispettosa dei valori della convivenza civile e tuteli i minori. - studi il messaggio pubblicitario in modo creativo, culturalmente stimolante, anche radicale, ma mai volgare, essendo consci dell'influenza culturale e della pervasivita' del medium pubblicitario. - dia spazio anche a progetti non-profit, sociali, culturali, editoriali, musicali, non solo ad attivita' commerciali. - stabilisca un listino dinamico e una valutazione degli spazi che vada incontro alle imprese piu' deboli o appena avviate. - favorisca la pubblicita' delle imprese etiche e imponga una sorta di "tobin tax" alla grosse imprese o le escluda del tutto dal circuito. Questa concessionaria dovrebbe fare riferimento secondo noi a tre aree delle societa' che in questi anni hanno pensato modelli di sviluppo sostenibili, si sono battuti per un mondo piu' giusto e democratico, hanno creato ricchezza dal basso, hanno prodotto idee innovative. Queste aree sono: - il movimento dei gruppi di base, dei centri sociali, degli ambientalisti, dei gruppi di affinita', delle ONG, delle organizzazioni cattoliche che hanno lavorato su un terreno politico e culturale per uno sviluppo sostenibile e per un societa' piu' democratica. - le cooperative, il popolo delle partita IVA, i lavoratori atipici, i lavoratori e la imprese dell'immateriale e della net economy, come portatori di innovazione e modelli economici e di comunicazione nuovi. - i progetti di finanza etica, banca etica, microcredito, commercio equo e solidale, le imprese del biologico e dell'agricoltura sostenibile, soprattutto i network di finanza etica che tengono rapporti con il Terzo Mondo e con l'Europa. Questo bacino in Italia fa riferimento a piu' del 10% per cento della popolazione italiana, uno strato sociale noto per essere un consumatore critico, attento, socialmente impegnato, un bacino di utenti che sono volano di comunicazione e rinnovamento sociale. Questo progetto potrebbe cominciare in modo sperimentale con una concessionaria di pubblicita' sul web (per ridurre i costi di gestione) che si occupi degli spazi pubblicitari su radio, siti internet, carta stampata, televisioni. 'Pubblicita' Etica' si struttura come una piccola cooperativa non profit, che quindi non deve fare profitti ma preoccuparsi delle spese di gestione e di non speculare sugli editori. E' divisa in quattro sezioni: sviluppo, commerciale, creativa, tecnica. Il controllo dei contenuti delle pubblicita' accettate come etiche viene effettuate da organi esterni gia' esistenti come il Garante dei Consumatori, gli Osservatori ad esempio sul biologico e gli Osservatori europei sul business etico. La lista degli inserzionisti viene costantemente resa pubblica con le motivazioni dell'accettazione sul sito web. Gli spazi web (ma anche radiofonici o sulla carta stampata) sono immediatemente riconoscibili dalla sigla 'Pubblicita' Etica'. Per la precisione la sigla sara' il nome del sito PUBBLICITAETICA.ORG dove gli utenti potranno trovare al primo accesso informazioni su cosa e' la pubblicita' etica, sulle garanzie, sui paletti 'etici' e sui bilanci della concessionaria. La scelta dell'indirizzo web e' dovuta anche alla necessita' di non appesantire il messaggio e il medium. E' chiaro da questa descrizione che la pubblicita' etica applica un valore aggiunto a tutta la pubblicita' gestita. Il messaggio pubblicitario acquisisce con queste garanzie una maggiore capacita' di penetrazione, diffusione e credibilita'. Pubblicita' Etica si struttura cosi' non come un business lucrativo ma come uno strumento di sviluppo per le piccole imprese, le cooperative, le attivita' di comunita'. A proposito della pubblicita' del web si ricordi che essa in Italia rappresenta poco piu' dell'1% per cento dell'intero mercato, ma il suo e' un target elevato, che coincide non a caso con il bacino sociale a cui questo progetto fa riferimento. Non a caso i movimenti sociali hanno usato il web in questi anni per costruire comunita', media e network indipendenti e per sperimentare nuove tecnologie e nuove forme comunicative. Questi network sono vivaci e numerosi, ma al momento non sono mai stati sfruttati in termini di economia dell'attenzione. Inoltre, il settore del commercio equo e solidale, del biologico e delle cooperative si sta espandendo proprio sul web, scoprendo qui la dimensione adatta al suo business, la stessa dimensione che invece e' risultata innaturale e fatale per il business delle dot.com. In breve Pubblicita' Etica crea un nuovo medium e un nuovo format, la "pubblicita' etica", e un nuovo tipo di concessionaria di pubblicita', strutturata come cooperativa non-profit per il network di media comunitari ed indipendenti.
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