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addestrati e formati alla precarieta'
- Subject: addestrati e formati alla precarieta'
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 20 Dec 2001 06:48:55 +0100
dal manifesto 15 Dicembre 2001 Addestrati e formati alla precarietà La doppia funzione Lotta alla disoccupazione e strumento per governare la forza-lavoro attraverso la flessibilità. Ma anche come terreno di conflitto della forza-lavoro BENEDETTO VECCHI La navigazione della rivista Posse ha toccato un altro porto, dopo quello dell'"inchiesta" e dell'"impero". Scherzi a parte, la redazione che dà vita a questa iniziativa politico-editoriale affronta un tema pregnante, ma politicamente sfuggente, quello della formazione. (Il numero sarà presentato oggi a Roma, alle 18, nel centro sociale Forte Prenestino). E se nei due precendenti numeri, Posse metteva al centro l'impero, in quanto nuova griglia analitica per comprendere lo stato dell'arte del capitalismo mondiale, e l'inchiesta come metodo di intervento politico e di analisi della nuova composizione sociale della forza-lavoro, la formazione è indicata come un continente sconosciuto ai più, ma che torna continuamente nei discorsi e nei testi di un'area politico-intellettuale che negli anni scorsi ha cercato di fare i conti con le nuove forme della produzione capitalista di merci caratterizzate dalla messa al lavoro del sapere sociale e del linguaggio. Ma proprio questa centralità del sapere e del linguaggio rende, per paradosso, il tema della formazione un tema pregnante, ma politicamente sfuggente. La redazione di Posse vede accostati collettivi politici e intellettuali dai piedi scalzi. Ma è proprio nel voler far crescere questa contaminazione tra istanze toriche e dimensione politica organizzativa che sta la scommessa poltica di Posse. Ma torniamo a questo numero, che ha il titolo "accattivante" Il lavoro di Genova (pp. 317, L. . 28.000, manifestolibri), anche se alle giornate del luglio genovese sono dedicate solo poche pagine, sostenendo che Genova rimette tutto in discussione. In altri termini, la settimana di mobilitazione contro il G8 segna uno spartiacque, tra un prima - caratterizzato dalla crescita contradditoria di un movimento di contestazione radicale dello status quo - e un dopo, che spinge la rivista a fare i conti con le sue previsioni politiche e le sue "analisi di fase". Per Posse, Genova ha rappresentato una conferma su due parole-chiave su cui ha ruotato il suo lavoro editoriale: moltitudine e impero. Nelle strade del capoluogo genovese è stata infatti la moltitudine ad essere la protagonista, se per moltitudine si intende il lavoro vivo sociale che sfugge a qualsiasi tentazione di riduzione ad un'unica produttiva. Il movimento dei movimenti, suggerisce infine l'editoriale, è nienta altro che lavoro vivo postfordista: precario, intermittente, cooperazione sociale produttiva che cerca la sua strada per sfuggire alle politiche di controllo sociale messe in atto dal comando d'impresa. Ma a Genova si è anche consumato un tentativo di dare forma politica all'"impero", cioè alla costituzione politica dei rapporti di forza su scala mondiale del capitalismo. Per questo, si può aggiungere, lo scenario che a Genova si è presentato di fronte al movimento è stato uno scenario di guerra, propedeutico a quanto è accaduto dall'11 settembre ad oggi. Per questi motivi, il luglio genovese va considerato lo sfondo, il background del lavoro di indagine sulla formazione, che ha la funzione ambivalente di riqualificazione della forza-lavoro espulsa dal processo produttivo a causa dei processi di innovazione tecnologica e organizzativa e di irrigimentazione della forza-lavoro. Sul primo aspetto, la riqualificazione della forza-lavoro, la formazione è da considerare una politica contro la disoccupazione che ratifica però il carattere "intermittente" e precario del lavoro, introiettando la flessibilità come elemento costitutivo del mercato del lavoro. In questo caso, la formazione fornisce quelle nozioni di base - nel linguaggio pomposo e asfissiante della manualistica d'impresa si legge "acquisizione delle competenze di base" - per passare da un lavoro all'altro. Ma proprio perché politica contro la disoccupazione, la formazione svolge il ruolo di irrigimentazione della forza-lavoro. I corsi di riqualificazione, più che fornire le "competenze di base" definiscono i comportamenti "leciti" per entrare nel mercato del lavoro. Basti frequentarne uno e si capisce subito che la precarietà va accettata come condizione naturale del rapporto di lavoro; che la produttività è un valore da rispettare. Ma la formazione serve anche a instillare quel velenoso dogma che afferma che "bisogna essere creativi" e che bisogna partecipare ai processi di innovazione organizzativa, fornendo idee e contributi. Sta quindi in questa duplice funzione - lotta alla disoccupazione e irrigimentazione della forza-lavoro - il carattere eminentemente politico della formazione. E tuttavia questo è solo un aspetto che i contributi della rivista affronta. C'è poi l'università, la ricerca, la produzione e diffusione del sapere a tessere l'ordine del discorso. Posse racconta le mobilitazioni studentesche della scorsa primavera, la loro ampiezza e il loro occultamento da parte dei mass-media. Le proposte di riorganizzazione della vita universitaria portate avanti, prima dai governi di centrosinistra e ora dal cavaliere nero, puntano a stabilire un legame di ferro tra domanda di forza-lavoro e adeguamento, in posizione del tutto subalterna, dei corsi universitari. Verrebbe da affermare che l'unica autonomia da rivendicare nelle università è quella dal processo produttivo, lasciando libero corso a quelle eccededenze di sapere che sfuggono a una formalizzazione produttiva. Poco affrontato è invece la trasformazione in atto della formazione in settore produttivo in senso stretto. Si producono e vendono corsi di formazione a distanza attraverso cd-rom, ad esempio. Si producono e si vendono pacchetti di sapere destinati a una forza-lavoro mobile e intermittente, appunto, o al mondo delle imprese. E' un processo che negli Stati uniti e in Inghilterra ha modificato molto l'organizzazione delle università, ma che anche qui in Italia ha cominicato a manifestarsi. Basta leggere l'ultimo rapporto del Censis e si scopre che le imprese prevedono pochi finanziamenti per la ricerca e sviluppo perché, semplicemente, la comprano sotto forma di cd-rom. E' un fenomeno poco analizzato, ma che sta dispiegandosi potentemente e che spiega, tra le altre cose, anche la diffusione di rapporti di lavoro precari anche tra ricercatori e docenti universitari. Allo stesso tempo anche la discussione sul futuro del Cnr e della ricerca pubblica ha sullo sfondo la volontà politica di dare vita a un settore produttivo della formazione. Da qui, la necessità di aggiornare anche l'ordine del discorso sul copyright e i brevetti, che ratificano non solo la privatizzazione del sapere da parte delle imprese, ma anche lo strumento per far decollare un settore produttivo "nuovo", quello della formazione, appunto. (Su questo aspetto sono interessanti i contributi sul no-copyright presenti nella rivista). Quindi la formazione come tema prengnate di qualsiasi analisi del capitalismo postfordista. Ma tema politicamente sfuggente per chi quello stato di cose vuol sovvertire. Come intervenire, quali iniziative prendere? Perché rivendicare la formazione come diritto della forza-lavoro? Perché va retribuita la formazione in quanto tempo di lavoro occultato dal comando di impresa? Domande tutte aperte, a cui una rivista non può ovviamente risponderle. Semmai le può porre, e questo numero di Posse lo fa. Le risposte le possono trovare chi testardamente vuol "disobbedire".
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