liquidazioni la scelta aspetta ai lavoratori



dal corrierer della sera 
  
 
    
  
 Martedì 4 Dicembre 2001 
 
 Confindustria: l’uso del Tfr va legato a modifiche «serie» del sistema
previdenza. No dei sindacati. Bossi contro l’Europa

«Liquidazioni, la scelta spetta ai lavoratori»

Marzano: nessun obbligo. L’Ue all’Italia: flessibilità per creare
occupazione e avanti con il riassetto pensioni


ROMA - Round decisivo, oggi a Palazzo Chigi, sulle pensioni. I ministri del
Lavoro, Roberto Maroni, e dell’Economia, Giulio Tremonti, dovrebbero
illustrare prima ai leader dei sindacati e poi a quelli delle associazioni
imprenditoriali le proposte del governo per la riforma della previdenza,
compreso il capitolo Tfr (trattamento di fine rapporto). Gli accantonamenti
per la liquidazione serviranno infatti per alimentare i fondi pensione
integrativi. Ma secondo uno schema assolutamente volontario, ha anticipato
ieri il ministro delle Attività produttive, Antonio Marzano: «Sul Tfr
bisogna lasciare la scelta al dipendente, all'operaio, se vuole veder
confluire i soldi del trattamento di fine rapporto nel fondo pensione o se,
invece, avendo ad esempio un indebitamento o delle altre necessità, ha
bisogno di quei soldi», cioè di mantenere la liquidazione come è stato
finora. Quindi, nessun meccanismo obbligatorio di trasferimento del Tfr
verso i fondi. TIRO ALLA FUNE - Il messaggio serve certamente ad allentare
la tensione con la Confindustria, contraria a provvedimenti coercitivi sul
Tfr (per la verità mai ipotizzati da questo governo) e che ancora ieri, col
consigliere incaricato Guidalberto Guidi, ha ripetuto: «La messa a
disposizione del Tfr (oggi resta in azienda fino al momento della
liquidazione, ndr ) è collegata a una riforma seria della previdenza» che
garantisca «la riduzione del cuneo fiscale e contributivo» a carico delle
aziende. Condizione che però viene respinta da Cgil, Cisl e Uil. I
sindacati avvertono infatti che non accetterebbero alcuna ipotesi di
decontribuzione, cioè di riduzione dei contributi sui nuovi assunti perché
questa si tradurrebbe in un taglio delle pensioni. E ribadiscono che le
aziende devono mollare il Tfr perché «sono soldi dei lavoratori». Beniamino
Lapadula, responsabile previdenza della Cgil, ricorda che sotto il governo
Amato erano allo studio meccanismi di «silenzio-assenso»: quando un
lavoratore viene assunto il Tfr va direttamente al fondo pensione, salva la
possibilità per il lavoratore di chiedere di restare nel sistema della
liquidazione, rinunciando alla previdenza integrativa. 
Sul Tfr c’è insomma un tiro alla fune tra imprese e sindacati rispetto al
quale la mediazione del governo appare difficile. Anche perché le ricette
di Maroni e Tremonti, almeno fino a un certo punto, non si sono mosse nella
stessa direzione (rilevante il contrasto sulla cartolarizzazione e sul Tfr
in busta paga). In ogni caso, oggi il governo dovrebbe presentare il testo
con le proposte che entreranno nel disegno di legge delega di riforma delle
pensioni che il governo presenterà il 15 dicembre. L’obiettivo è di far
andare quote maggioritarie di Tfr verso i fondi. Ma come? Sicuramente ci
saranno agevolazioni fiscali, ma da sole non bastano. 


BOSSI CONTRO L’UE - Oltre alla libertà di scelta tra liquidazione e fondo
pensione, l’altro punto fermo è quello che non ci saranno interventi sulle
pensioni d’anzianità. Ieri il ministro delle Riforme istituzionali e leader
della Lega, Umberto Bossi, se ne è assunto il merito, nonostante la
commissione europea abbia approvato ieri un rapporto sull’occupazione che
raccomanda all’Italia di «proseguire la realizzazione della riforma del
sistema pensionistico» allo scopo di «ridurre le uscite dal mercato del
lavoro». L’Ue chiede anche maggiore flessibilità «per fare aumentare il
tasso di occupazione, in particolare delle donne e dei lavoratori anziani».
Ma Bossi replica: «Abbiamo contro tutta l’Europa, ma la Lega ha ordinato al
suo ministro, Roberto Maroni, che le cose restino così. Ci rifiutiamo di
mandare di colpo la gente a lavorare fino a 65 anni». Intanto, il consiglio
di amministrazione dell’Inps ha predisposto il bilancio di previsione per
il 2002. I conti tornano in rosso per 1.680 milioni di euro (3.250 miliardi
di lire) rispetto all’attivo di 1.366 milioni di euro (2.644 miliardi di
lire) del 2001. La spesa per prestazioni crescerà del 4,8%. 
 
Enrico Marro