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rassegna stampa: Un'epidemia di biopirateria dilaga in India
- Subject: rassegna stampa: Un'epidemia di biopirateria dilaga in India
- From: "Altragricoltura" <altragrico@italytrading.com>
- Date: Wed, 31 Mar 2004 11:24:34 +0200
Vi proponiamo un breve articolo di Vandhana Shiva sul furto del patrimonio
biologico attuato in India dalle multinazionali dell'agroalimentare e
legalizzato attraverso la politica dei "Brevetti". Questa politica di
rapina ammantata di legalità è una prospettiva e realtà che copre tutto il
pianeta, nessun paese e popolo escluso. L'espropriazione del patrimonio
collettivo e della possibilità di produrre reddito con l'attività agricola
che la politica dei brevetti sul vivente comporta deve trovare negli
agricoltori la prima opposizione.
A cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Tratto da Il Manifesto - 26/03/04
Anche le briciole hanno il copyright
Un'epidemia di biopirateria dilaga in India: le corporation agroalimentari
- Conagra, Unilever e Monsanto - brevettano le biodiversità indigene. E' un
furto che deruba il paese dei mercati d'oltremare e che ci costringerà a
pagare royalties per la nostra sopravvivenza
VANDANA SHIVA
L'India è travolta da un'epidemia di biopirateria: le corporation globali
stanno brevettando le biodiversità indigene e i saperi tradizionali. Prima
c'è stata la pianta del neem, poi il riso basmati. Ora il nostro frumento,
il nostro «atta» (farina di frumento integrale), il nostro «chapatis» (pane
schiacciato, non lievitato) sono stati brevettati. La Conagra, il gigante
agroalimentare statunitense, ha ottenuto il brevetto No. 6.098.905 per
l'«atta» nell'agosto 2000. Nel 1996, la Unilever e la Monsanto hanno
ottenuto un brevetto (EP 518577) perché sostenevano di avere «inventato»
l'uso della farina per fare dei tipi tradizionali di pane indiano come il
chapatis. Il 21 maggio 2003, l'ufficio europeo brevetti di Monaco ha
rilasciato un brevetto con il numero EP 445 929 e il semplice titolo
«piante». Proprietaria del brevetto è la Monsanto, meglio conosciuta come
il maggiore commerciante mondiale di piante geneticamente modificate. Il
brevetto copre il frumento che presenta una speciale qualità di cottura con
scarsa elasticità. Il frumento con queste caratteristiche è stato creato
originariamente in India; ora la Monsanto ne detiene il monopolio per la
coltivazione e i processi di lavorazione.
La biopirateria è sbagliata sia giuridicamente che eticamente. Permettendo
che delle innovazioni indigene siano trattate come «invenzioni» del
proprietario del brevetto, questi brevetti rappresentano un vero e proprio
furto dei risultati scientifici, intellettuali e creativi conseguiti
dall'India, e devono essere combattuti. Le conseguenze economiche sono
gravi. A breve termine, un brevetto pirata ci deruba dei mercati
d'oltremare per i nostri prodotti unici. A lungo termine, se questi trend
non saranno contrastati e i sistemi di regolamentazione dei diritti sulla
proprietà intellettuale non saranno cambiati in modo da impedire la
biopirateria, ci troveremo a pagare le royalties per ciò che ci appartiene
e ci è necessario per la sopravvivenza quotidiana.
Se i casi di tali infondate pretese fossero solo uno o due, essi potrebbero
essere attribuiti a semplice errore. Ma le cose non stanno così. Il
problema è radicato e sistematico e richiede un cambiamento radicale e
sistematico, non interventi episodici. Lungi dall'essere un'aberrazione
rispetto ad esso, la promozione della pirateria è intrinseca al sistema Usa
dei brevetti. I regimi che regolano i diritti sulla proprietà intellettuale
nel contesto della liberalizzazione del commercio diventano strumenti di
pirateria a tre livelli:
1. La pirateria delle risorse in cui le risorse biologiche e naturali delle
comunità e della campagna sono prese liberamente, senza riconoscimento o
permesso, e sono usate per costruire economie globali. Ad esempio, il
trasferimento di varietà basmati di riso dall'India per costruire
l'economia del riso delle corporations americane come RiceTec per
l'esportazione.
2. La pirateria intellettuale e culturale in cui l'eredità culturale e
intellettuale delle comunità e della campagna viene presa liberamente,
senza riconoscimento o permesso, ed è usata per pretendere i diritti sulla
proprietà intellettuale come brevetti e marchi registrati, anche se
l'innovazione e la creatività originarie non sono avvenute per mezzo di un
investimento delle corporation. Ad esempio, l'uso del nome registrato
«basmati» per il loro riso aromatico, o l'uso del nome registrato «Bikaneri
bhujia» da parte della Pepsi.
3. La pirateria economica, in cui ci si impossessa dei mercati interni e
internazionali attraverso il ricorso a nomi registrati e a diritti sulla
proprietà intellettuale, con la conseguente distruzione delle economie
locali e nazionali dove è avvenuta l'innovazione originale e la
cancellazione dei mezzi di sostentamento e della sopravvivenza economica di
milioni di persone: ad esempio, i commercianti di riso americani che hanno
sottratto i mercati europei ai piccoli produttori indiani di bio-pesticidi
a base di neem, e la Grace che ha sottratto loro il mercato americano.
Un brevetto viene rilasciato come diritto esclusivo per le invenzioni che
soddisfano i criteri di novità, non-ovvietà, e utilità. Il sapere
tradizionale e le innovazioni collettive e cumulative che esso incarna,
evidentemente, non si qualificano come «novità». Modifiche insignificanti e
scontate che possono essere apportate da persone esperte nel campo
dell'innovazione violano il requisito di non-ovvietà e dunque non
dovrebbero essere brevettabili. Il brevetto pirata registrato dalla RiceTec
sul basmati e il brevetto pirata registrato dalla Monsanto sul frumento
sono entrambi stati ottenuti ricorrendo a modifiche insignificanti e
scontate di varietà di piante uniche indiane con caratteristiche uniche,
per poi pretendere i diritti totali sulle caratteristiche, sulle proprietà,
sui tratti delle piante e dei prodotti da esse derivati.
Le pretese decisive in merito al brevetto riguardano il frumento
«soft-milling» in cui i geni rilevanti sono assenti o inattivi. Il brevetto
significa di fatto il monopolio sulle caratteristiche genetiche delle
piante Nap Hal e su tutte le piante di frumento che sono incrociate con
questa varietà indiana. Inoltre, esso copre la farina ottenuta da questo
frumento, la «pasta prodotta con la farina» e «biscotti o simili, prodotti
con la farina». Nel suo brevetto, la Monsanto ha sbagliato il nome della
varietà di frumento, chiamandolo «Na phal» che in Hindi significa «nessun
frutto». Invece di identificare correttamente il frumento con il nome
sbagliato e di contrastare la biopirateria, il parlamento e i tribunali
indiani hanno sostenuto e difeso la biopirateria della Monsanto. Così
l'India sta perdendo la sovranità sulle sue sementi, sulla biodiversità e
sulle innovazioni collettive che in esse si sono concretizzate. Inoltre sta
perdendo l'accesso ai mercati europei per i prodotti derivati dal frumento
con qualità uniche offerte dai nostri frumenti tradizionali, che sono molto
richiesti.
Se non lo impediremo, il brevetto pirata sul frumento trasformerà la
preghiera «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» in una supplica alla
Monsanto.
Copyright Ips/il manifestoTraduzione Marina Impallomeni
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