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dall'inceneritore tonnellate di diossina processo contro provincia e enichem



da ilgazzettino.it

Giovedì, 30 Ottobre 2003

TRIBUNALE Al processo per la camera di post combustione salta fuori che nel
'96 sono stati bruciati rifiuti tossici della Lombardia
Dall'inceneritore tonnellate di diossina
Nuove accuse per i vertici della Provincia che hanno dato l'autorizzazione
all'impianto

Mestre
Colpo di scena al processo per l'inceneritore Sg31 del Petrolchimico di
Porto Marghera. Fino a ieri in discussione c'era la camera di post
combustione dell'impianto che, stando all'accusa, sarebbe stata
obbligatoria, dall'altro ieri invece si discute di ben altro. Secondo l'ing.
Paolo Rabitti - consulente tecnico del Ministero dell'Ambiente -
nell'inceneritore di Marghera sono state smaltite 46 mila tonnellate di
rifiuti tossici contenenti sostanze clorurate, in grado di sviluppare
diossine. Un affare da 48 miliardi di lire per Ambiente Spa (la società
dell'Eni che nel 1996 gestiva l'inceneritore di Marghera, conferitole da
EniChem e oggi dalla stessa riacquisito) e che avrebbe avuto conseguenze
pesanti sul territorio, visto che la quantità di diossina emessa a seguito
di questi smaltimenti, sarebbe stata tre volte superiore a quella che
normalmente finisce in laguna in un anno.
L'autorizzazione a questo smaltimento sarebbe stata firmata dal presidente
della Provincia, Luigino Busatto - imputato in quanto responsabile
politico - e dal dirigente del settore Ambiente della Provincia, Alessandro
Pavanato - imputato in quanto responsabile tecnico. Secondo l'accusa il
danno causato all'ambiente è in una cifra compresa fra i 18 e i 60 milioni
di euro.

IL DIBATTIMENTO
Accordato il patteggiamento all'ex direttore del Petrolchimico Antonio
Raimondi

(n.b.) Nell'udienza celebrata ieri alla sede mestrina del tribunale dei
Venezia nell'ambito del processo sull'inceneritore Sg 31 è stato accordato
il patteggiamento all'ex direttore del Petrolchimico Antonio Raimondi,
difeso dagli avvocati Federico Stella e Giovanni Cesari. A Raimondi è stata
inflitta una pena di 4 mesi di arresto commutata in pena pecuniaria di circa
4500 euro, per un capo d'imputazione relativo all'ipotesi di uso improprio
di una torcia che funzionava come smaltimento ordinario anziché d'emergenza.
Non accolta invece la richiesta di patteggiamento degli avvocati Salvatore
Panagia e Giuseppe Carboni per gli imputati Mario Piparelli, legale
rappresentante di Ambiente Spa e Stefano Lago, responsabile per la gestione
impianti della stessa società. E da ieri il pubblico ministero Giorgio Gava
diventa titolare nel processo e sostituisce il pm Luca Ramacci, che aveva
condotto le indagini, ma che è stato destinato ad altra Procura. Il
processo, che si celebra davanti al giudice monocratico penale Elena Rossi,
vede imputati anche il presidente della Provincia Luigino Busatto (avvocato
Maurizio Visconti) e il dirigente provinciale del settore ambientale
Alessandro Pavanato (avvocato Domenico Giuri). Sono rappresentati anche i
responsabili civili Provincia di Venezia (avvocati Adelchi Chinaglia, Ettore
Santin e Marco Giacomini), Enichem spa (avvocato Domenico Pulitanò) e
Ambiente spa (avvocato Fulvio Simoni). Unica parte civile costituita il
Ministero dell'Ambiente con l'avvocato dello Stato Giampaolo Schiesaro. Le
contestazioni riguardano la violazione delle norme sulle emissioni e sui
rifiuti da parte di Ambiente Spa, che ha avuto in gestione l'inceneritore, e
della Provincia, titolare per legge di controlli e verifiche. Prossime
udienze: il 16 dicembre, il 14 gennaio e il 25 febbraio.

Una "bomba" di 46 mila tonnellate di cloruri
Colpo di scena al processo per l'inceneritore che trattava rifiuti
industriali: bruciato materiale dalla Lombardia

Nell'inceneritore SG31 di Porto Marghera, uno dei maggiori dell'area
industriale, sarebbero state smaltite, in presunta violazione ad alcune
normative vigenti, circa 46mila tonnellate di rifiuti tossici contenenti
sostanze clorurate. Un affare da 48 miliardi di vecchie lire per Ambiente
Spa (la società che nel '96 gestiva l'inceneritore) e che avrebbe avuto
conseguenze pesanti sul territorio, visto che la quantità di diossina emessa
a seguito di questi smaltimenti, sarebbe stata tre volte superiore a quella
che normalmente finisce in laguna in un anno.
Ieri, ad una nuova udienza del processo che vede sotto accusa proprio l'SG
31, è questa la tesi sostenuta dall'ingegner Paolo Rabitti - consulente
tecnico del Ministero dell'Ambiente costituito parte civile con l'avvocato
dello stato Giampaolo Schiesaro - che ha ricostruito in aula il caso dei
rifiuti tossici smaltiti a Marghera: 3 mila tonnellate provenienti da
Dresano e 43mila tonnellate da Lachiarella (località, entrambe situate in
Lombardia). Davanti al giudice monocratico penale Elena Rossi, il consulente
Rabitti ha illustrato nella sua relazione come questi smaltimenti siano
stati autorizzati da un decreto del 15 aprile del '96, che vede la firma del
presidente della Provincia Luigino Busatto, imputato nel processo, e come
responsabile tecnico il dirigente del settore Ambiente della Provincia
Alessandro Pavanato, anch'egli imputato nel processo.
Rabitti avrebbe ricostruito una vicenda, a suo dire, "terrificante", visto
che è proprio il decreto del presidente della Provincia ad autorizzare,
secondo il consulente del Ministero, uno smaltimento "mescolato" di rifiuti,
che mette insieme a quelli previsti dalla legge, anche altri a base di
sostanze clorurate che avrebbero dovuto invece essere state smaltiti con
differenti procedure.
Inoltre il 4 luglio del '96, un altro decreto sempre a firma del Presidente
.della Provincia, autorizza ancora lo smaltimento di rifiuti tossici,
eliminando anche la misurazione di due inquinanti: il fluoro e le ammine
aromatiche. "Permettendo il mix di rifiuti di diversa origine e eliminando
la misurazione di alcune sostanze, di fatto l'SG 31 viene lanciato a livello
nazionale nel business dello smaltimento dei rifiuti tossici - ha denunciato
ieri in aula Paolo Rabitti. - E ciò pur sapendo che l'inceneritore
funzionava male e doveva essere chiuso entro la fine degli anni '90. Nel '96
infatti l'inceneritore non era nemmeno dotato di una camera di post
combustione in grado di limitarne l'impatto ambientale".
Va sottolineato che l'SG 31 fu poi posto sotto sequestro dal magistrato Luca
Ramacci e che la Corte di Cassazione riconobbe, il 19 marzo del '99,
l'obbligo di dotare l'impianto di una camera di post combustione, che di
fatto fu successivamente introdotta.
Rabitti ha citato documenti della stessa società Ambiente, in cui risulta
che, precedentemente all'inserimento della camera di post combustione,
l'impianto aveva vari problemi tecnici che comportavano in concreto
emissioni di sostanze, come per gli ossidi d'azoto, superiori ai limiti
consentiti.
Ma Rabitti si è spinto anche più in là, denunciando che lo smaltimento delle
3mila tonnellate di rifiuti provenienti da Dresano sarebbe iniziato 20
giorni prima della firma del decreto da parte del presidente Busatto.
"Questi rifiuti, che presentavano alte concentrazioni di solventi clorurati
e numerose sostanze cancerogene, cominciano ad arrivare a Marghera già dal
20 marzo '96 ed un certificato di avvenuto smaltimento è del 3 aprile '96,
data precedente la firma del decreto -ha spiegato Rabitti. - Si tratta di
oltre 500 tonnellate di rifiuti fuori norma che vengono bruciati prima che
sia firmata l'autorizzazione. Inoltre nelle certificazioni che arrivano a
Dresano, la tipologia del rifiuto, come per miracolo, non risulta più
contenere sostanze clorurate".
In violazione di queste norme sullo smaltimento di rifiuti, il professor
Paolo Leon, un altro consulente del Ministero, ha quantificato anche il
danno ambientale, calcolandolo in una cifra compresa tra i 18 e gli oltre 60
milioni di euro.
Nicoletta Benatelli


EZIO DA VILLA
Sbagliato trattare i rifiuti industriali che vengono da fuori

(m.d.) "E' da dieci anni che insisto su questo punto: noi dobbiamo lavorare
solo i nostri rifiuti. Non possiamo diventare il terminale dello smistamento
di robaccia che arriva da tutta Italia". Una filosofia, questa dell'attuale
assessore all'Ambiente, Ezio Da Villa - che invece nel '96 la Provincia non
ha voluto o potuto adottare. Col risultato che a Porto Marghera è arrivato
di tutto, comprese un bel po' di tonnellate - 46 mila - di sostanze
clorurate che producono diossina. Venivano dalla Lombardia e lo si è
scoperto l'altra mattina nel corso del processo contro la Provincia per le
autorizzazioni date all'inceneritore. E così un processo che sembrava
ruotare tutto attorno alla questione della camera di post-combustione - la
legge, al solito, non è chiara e c'è chi sostiene che era obbligatoria,
mentre la Provincia dice di no - si trasforma improvvisamente in un processo
sui veleni che l'inceneritore ha bruciato senza che nessuno dicesse nè a nè
ba. "Il problema delle scorie industriali non è di oggi. Le industrie da
sempre producono rifiuti non trattabili. Non si possono mettere in discarica
perchè non li vuole nessuno e quindi non resta che incenerirli". Il
meccanismo, in soldoni, è questo: inietto su un letto fluido di materia che
bolle a mille e passa gradi i fanghi che risultano dalle lavorazioni e che
devo bruciare. Alla fine del processo avrò le scorie che si depositano sul
fondo e i gas che brucio di nuovo in una camera di combustione, allo scopo
di degradare gli inquinanti e abbattere il più possibile i veleni. Secondo
l'accusa ci voleva anche un'altra camera di post-combustione. Tutto qua. Ma
la questione vera è un'altra e cioè perchè bruciamo rifiuti "esterni" a
Porto Marghera. "E' la Regione che approva gli inceneritori - spiega Da
Villa - La Provincia si limita a dare autorizzazioni che non può rifiutare.
Perchè se tu gli dici che non devono bruciare roba che viene da fuori,
allora ti rispondono che il tutto resta dentro i parametri di legge e quindi
ti tocca firmare". Nel '96 in Provincia è successo proprio questo. Resta il
fatto - ammette lo stesso Da Villa, che nel '96 non era ancora assessore -
che ci sono mille modi per mettere i bastoni fra le ruote alle aziende che
vogliono fare i quattrini anche sui rifiuti e Da Villa in questo è
d'accordo. Ma adesso il problema vero è capire come mai sia arrivata tanta
robaccia dalla Lombardia senza che nessuno se ne accorgesse.