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mettere in pratica la sostenibilita'



da boiler.it

 
Mettere in pratica la sostenibilità

estratto dall’introduzione di Gianfranco Bologna a:
State of the World 2002 – Rapporto annuale del Worldwatch Institute
(a cura di Christopher Flavin, Hilary French e Gary Gardner)
Edizioni Ambiente 2002
21,50 euro – 325 pagine  


 (…) IL WORLDWATCH INSTITUTE, fondato nel 1974 dal grande analista dei
problemi planetari Lester Brown, dal 1984 pubblica il suo rapporto annuale
State of the World (un’idea sempre di Lester Brown) che, ormai tradotto in
più di trenta lingue da vari anni, costituisce un punto di riferimento
ineludibile per chiunque voglia comprendere le interconnessioni delle
problematiche ambientali, economiche e sociali presenti sul nostro pianeta.
Questo straordinario istituto di analisi è stato uno dei grandi
protagonisti del dibattito internazionale sullo sviluppo sostenibile; non a
caso proprio il rapporto annuale State of the World è stato sempre
sottotitolato “A Worldwatch Institute Report on Progress Toward a
Sustainability Society”, e non è un caso che lo stesso Lester Brown abbia
pubblicato nel 1981 uno dei suoi libri con il titolo Building a Sustainable
Society.



Inevitabilmente lo State di quest’anno è tutto dedicato al bilancio, dieci
anni dopo la conferenza di Rio, al Summit di Johannesburg e lo fa, come
sempre, nel suo stile brillante, ricco di dati e informazioni, di
interpretazioni e analisi particolarmente innovative; questo è il
quindicesimo anno che curo l’edizione italiana dello State e non posso non
sottolineare anche quest’anno, come ho sempre fatto in questi miei capitoli
introduttivi ai vari State, la ricchezza intellettuale e il piacere
personale che in tutti questi anni ho ricevuto dall’amicizia dei
ricercatori del Worldwatch, in primis proprio dal rapporto personale con
Lester Brown, figura che costituirà sempre per me un fondamentale punto di
riferimento culturale e di approccio interdisciplinare innovativo. Lo
scorso anno Lester Brown ha lasciato il Worldwatch Institute, di cui resta
membro del Board, per fondare l’Earth Policy Institute, un istituto
dedicato alla diffusione, a tutti i livelli, dell’eco-economia. Christopher
Flavin – che era già nell’Istituto pochi anni dopo la sua fondazione – ne è
divenuto il nuovo presidente. Questo è il primo State of the World che non
contiene neanche uno scritto di Brown, ma in tutto il volume si avverte
l’“impronta” del fondatore dell’Istituto.


La psicologia dell’alcolizzato

(…) Dieci anni fa, l’uscita dello State of the World 1992 aveva ovviamente
molti riferimenti all’Earth Summit di Rio de Janeiro. Sandra Postel, grande
esperta dei cicli idrici che dopo aver lasciato il Worldwatch Institute è
diventata direttrice del World Water Policy Project, scrisse in quell’anno
il capitolo introduttivo con il titolo “La rinuncia all’azione in un
decennio decisivo”. In quelle pagine la Postel scrive: «Tanto la psicologia
quanto la scienza, perciò, condizioneranno il destino del pianeta, poiché
l’azione dipende dal superamento dell’atteggiamento di rinuncia, uno tra i
più paralizzanti nelle reazioni umane. Tale atteggiamento, mentre influisce
sulla maggior parte di noi a livelli differenti, spesso colpisce
particolarmente in profondità coloro che puntano in maniera decisa sullo
status quo, compresi i leader politici ed economici che hanno il potere di
plasmare l’ordine delle priorità mondiali. Questo tipo di atteggiamento può
essere pericoloso per la società e l’ambiente naturale come quello
dell’etilista lo è per la sua salute e la sua famiglia».

La Postel continua ricordando come nella cura all’etilismo esista una
pratica di intervento nella quale familiari e amici del malato, aiutati da
uno specialista, tentano di scuotere l’etilista dal suo atteggiamento
rinunciatario e ricorda che un simile “intervento” è necessario per fermare
la malattia mondiale del degrado ambientale. «La Conferenza delle Nazioni
Unite che si terrà a Rio de Janeiro offre un’opportunità storica di
scuotere le nostre coscienze, per ammettere, individualmente come cittadini
del mondo e collettivamente come comunità di nazioni, che è assolutamente
indispensabile correggere il drammatico corso degli eventi. La costruzione
di un mondo sicuro dal punto di vista ambientale, un mondo in cui i bisogni
e i desideri umani vengono soddisfatti senza distruggere i sistemi
naturali, richiede un assetto economico del tutto nuovo, basato sul
riconoscimento che gli alti livelli di consumo, la crescita demografica e
la povertà stanno pilotando il degrado ambientale». E più in là la Postel
scrive: «Detto semplicemente, il sistema economico mondiale è incapace di
affrontare insieme il problema della povertà e quello della protezione
ambientale. Curare i mali ecologici della Terra separatamente dai problemi
legati a situazioni debitorie, squilibri commerciali, sperequazioni nei
livelli di reddito e di consumo è come cercare di curare una malattia
cardiaca senza combattere l’obesità del paziente e la sua dieta carica di
colesterolo: non esiste possibilità di successo finale».


Lo sviluppo sostenibile da Rio a oggi

(…) Da Rio a oggi tutti i politici del mondo si sono riempiti la bocca
della magica parola “sviluppo sostenibile”, senza però, tranne in casi
rari, riempirla dei significati giusti e della conseguente operatività
concreta. Anche l’applicazione dell’Agenda 21 in tutti i paesi ha faticato
incredibilmente a fare passi in avanti significativi. Applicare in concreto
la sostenibilità ai nostri modelli economici e sociali non è certo cosa
semplice. Sappiamo bene che la grande sfida che tutti i sistemi politici e
i governi di tutto il mondo devono affrontare è quella di riuscire a vivere
su questa Terra con un numero di esseri umani che ha già oltrepassato i 6
miliardi (e che potrà superare i 10 entro questo secolo), in maniera
dignitosa ed equa per tutti, senza distruggere irrimediabilmente i sistemi
naturali da cui traiamo le risorse per vivere e senza oltrepassare la
capacità che questi sistemi hanno di supportare gli scarti e i rifiuti
delle nostre attività produttive. Come risolvere questa sfida dovrebbe
costituire l’argomento prioritario delle agende politiche di tutti i paesi
del mondo, perché un mondo insostenibile è certamente un mondo più in balia
del terrorismo, dei disagi sociali, delle guerre e dei conflitti.

Quindi la priorità della politica e dell’economia dovrebbe essere
indirizzata a creare le basi per un nuovo modo di sviluppare le nostre
società che sia ecologicamente, economicamente e socialmente meno
insostenibile dell’attuale. Negli ultimi decenni non abbiamo fatto solo
progressi nel cercare di comprendere meglio lo stato dei sistemi naturali
del pianeta, ma abbiamo fatti grandi passi in avanti nella teoria e nella
potenziale prassi applicativa dei principi della sostenibilità, una sorta
di vasto campo interdisciplinare dove l’ecologia, l’economia e la
sociologia si intrecciano notevolmente, aprendo innovativi campi di
applicazione. Una nuova disciplina, l’economia ecologica, si è andata
consolidando negli ultimi due decenni (…). Johannesburg dovrebbe, in
qualche modo, dare strumenti operativi per concretizzare tanto di quello
che è stato prodotto in questi campi innovativi; consentendo l’avvio di una
nuova economia ecologica che, ad esempio, riesca finalmente a tenere in
stretta e simultanea considerazione tanto una contabilità economica quanto
una contabilità ecologica, che tenga conto, sempre, dei costi sociali delle
azioni intraprese, che riesca e far esprimere il “costo” reale, completo,
di ogni prodotto, che penalizzi le attività e i percorsi di sviluppo
negativi per l’ambiente e incentivi invece le attività e i processi
compatibili con l’ambiente.


“Un problema di dimensioni planetarie”

(…) Sappiamo che la nostra conoscenza sui sistemi naturali è ancora
largamente imperfetta e che in queste condizioni è difficile poter definire
una qualsiasi attività umana che impatta sui sistemi naturali,
“sostenibile” per gli stessi. Sappiamo però che non possiamo non agire,
stare fermi in attesa e fare come se nulla fosse. Abbiamo l’obbligo di
“governare” anche in situazioni di oggettiva incertezza, cercando di
utilizzare il meglio delle conoscenze disponibili, fissando qualche punto
fermo per indicare una sorta di guard-rail della sostenibilità e infine
agendo costantemente con la coscienza che la sostenibilità è un mix di
evoluzione, flessibilità, adattamento, opportunità e cambiamento. Punti
fermi di base per attivare uno sviluppo sostenibile riguardano due concetti
in particolare: non si devono sorpassare i “limiti” biofisici imposti dai
sistemi naturali ed è fondamentale mantenere i meccanismi essenziali
dell’evoluzione sul nostro pianeta. L’evoluzione mantiene la possibilità
delle opzioni che consentono l’adattabilità al cambiamento. Oggi,
purtroppo, l’azione umana riduce sempre più le possibilità delle opzioni
evolutive, minando alla base le stesse capacità di sopravvivenza.

Lo scienziato Edward Wilson della Harvard University (1999) scrive: «Poche
persone osano dubitare che il genere umano si sia creato un problema di
dimensioni planetarie. Anche se nessuno lo desiderava, siamo la prima
specie ad essere diventata una forza geofisica in grado di alterare il
clima della Terra, ruolo precedentemente riservato alla tettonica, alle
reazioni cromosferiche e ai cicli glaciali. Dopo il meteorite di dieci
chilometri di diametro che 65 milioni di anni fa precipitò nello Yucatan,
ponendo fine all’era dei rettili, i più grandi distruttori della vita siamo
noi. Con la sovrappopolazione ci siamo creati il pericolo di finire il cibo
e l’acqua. Ci attende dunque una scelta molto faustiana: accettare il
nostro comportamento corrosivo e rischioso, come prezzo inevitabile della
crescita demografica ed economica, oppure fare l’inventario di noi stessi e
andare alla ricerca di una nuova etica ambientale». Ogni giorno che passa
tutto diventa più difficile. È arrivato veramente il momento di cambiare
rotta: è ormai imperativo applicare l’economia ecologica. Johannesburg non
può fallire.