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la macchina scientifico-politica americana



dal gazzettino .it di lunedi 4 giugno 2001

IL SISTEMA  
La macchina politico-scientifica americana ha un proprio dogma: denaro in
cambio di risultati  
 
 
Boston
NOSTRO INVIATO

Costa 13 dollari un pranzo "stile catering" dentro il Mit, Massachusset
Institute of Tecnology, uno dei templi della modernità. Quasi 27 mila lire
per riempire di riso, barattoli di Seven Up, Coca Cola, e tazze di caffè
vulcanico gli stessi tavoli di lavoro che ospitano anche diagrammi, lucidi
trasparenti e computer Apple. Tutto è scienza e tutto è anche affari.A
cento passi c'è l'edificio del Medialab, il laboratorio che Negroponte ha
reso famoso per gli studi sui media e la società e che verrà replicato fra
qualche mese in Europa, in Irlanda. «Poteva essere l'Italia il luogo ideale
per questo nuovo tempio della cultura moderna - dice Giorgio Mattiello,
responsabile scientifico dell'ambasciata Italiana a Washington che conduce
con il suo collega Sasha Tenenbaum l'esplorazione di scienziati e
imprenditori italiani nei maggiori luoghi della scienza e della tecnologia
Usa - Sei anni fa chiesi a Negroponte quanto denaro poteva servire per
portare la struttura in Italia: da 50 milioni di dollari in su, ha
risposto; poco più di cento miliardi. Ho sentito mezzo mondo; nessuna
risposta e così la scelta è stata un'altra. Adesso molti vedranno che
accade con un colosso così in attività nel nostro continente».Al terzo
piano, dipartimento di ingegneria chimica, sala Levis, il professor Robert
Armstrong spiega il lavoro del Mit: "Il futuro è nella chimica computativa,
nelle microtecnologie, nei fluidi complessi, nel Dna, nel disegno
molecolare dei motori". E aggiunge: «In questo dipartimento -fondato nel
1888- si sta seguendo il più grande programma di ricerca mai avviato negli
Usa.Sì, la macchina politico-scientifica americana si muove con potenza
impressionante, e si sente ovunque. Denaro in cambio di risultati. Dollari
in cambio di informazione, cultura, preparazione. Nessuna università avrà
un centesimo dal governo Federale se non si impegna anche in corsi di
aggiornamento per docenti delle medie e per studenti. Le immagini di "prof"
e i cartelloni con i lavori degli studenti appaiono su tutti i muri dei
corridoi; e ogni relazione di presidenti e docenti finisce come una
comunione da noi, con le foto dei borsisti in bella mostra. Ma si capisce
perché: prima di andarsene Clinton ha fatto inserire nel bilancio Federale
un budget di mille miliardi di lire per la ricerca: tutta puntata sulle
nanotecnologie. Un cambio di velocità che rilancia gli Usa in un settore
dove fino a poco tempo fa erano quasi alla pari con Giappone ed Europa. E
l'Italia in questa corsa, come vedremo, non è così mal messa, ma ha qualche
inefficienza di troppo nella struttura complessiva.

«Per noi - spiega Armstrong - il budget di ricerca è di 20 miliardi, il 38
per cento dati dall'industria. Nel dipartimento operano 33 professori, 275
studenti, 200 laureati, 145 candidati dottori, 55 iscritti al primo anno.
L'ingegneria chimica tratta con le leggi della vita, la scienza adesso è
"The future" - dice - Il loro centro è interfaccia tra scienze molecolari e
ingegneria. E si connette con altre discipline. La lista delle attività si
allunga con la formazione professionale, la scuola di management, la
divisione di bioingegneria, di salute ambientale.

La ricerca è anche applicazioni ambientali: per battere il buco dell'ozono,
per reattori microchimici, per polimeri a disegni molecolari, per la
bioingegneria. La sfida, the challenge, il futuro, the next, il prossimo
momento; i goal e i prossimi scenari. Tutti si muovono dentro questo recinto.

Si sente lo stesso ritornello al Material research science and engeenering
Center di Harvard, l'altra prestigiosa università che visitiamo a Boston.
Il professor Venkatesh Narayanamurti ("qui ha studiato Bill Gates" dice, e
lo fa come se il fatto - Bill non si è laureato - fosse uno dei tanti)
illustra il metodo di lavoro che in questa, come in altre università, sarà
il ritornello per il lavoro di ricerca. La tecnica si chiama "Irg"
(Interdisciplinar research group) e mette assieme professori e ricercatori
che nelle nostre università ancora, e spesso, nemmeno si conoscono. Un
biologo, un chimico, un fisico, un ingegnere chimico e un ingegnere
molecolare: tutti a studiare per un periodo fissato attorno al tema.
Funziona? Sì, perché ovunque piovono brevetti, risultati,
scoperte.Narayanamurti spiega uno degli esperimenti in corso: molecole di
Dna utilizzate come "interruttori elettrici". E Mattiello ricorda ancora
l'eco che, qualche settimana fa, fece sulla prima pagina del Washington
Post la notizia del lavoro di Ferdinando Mussa-Ivaldi. Si tratta di un
docente italiano che alla Northhwestern University di Chicago sta
sperimentando un nano-robot il cui microchip è comandato dai neuroni del
cervello di una larva di lampreda.E' la prima volta al mondo nella quale un
dispositivo meccanico viene assemblato con una "intelligenza biologica". Le
lamprede sono simili ad anguille e questo robot ibrido tra macchina ed
essere vivente un giorno potrà ridare molte funzioni a persone paralizzate,
come quelle di poter muovere un arto. Le difficoltà, per ora, sono quelle
di far arrivare dall'arto al cervello, attraverso le nuove "rotaie
artificiali" i giusti messaggi.

Ad Harvard si sta studiando anche - come altre università e centri di
ricerca - le rotture dei materiali. Poco tempo fa Nature ha pubblicato la
creazione di un polimero che può riprodursi e, in caso di rottura,
aggiustarsi quindi da solo. In questa terra ormai l'autoassemblaggio delle
molecole e l'autoriparazione stanno diventando una specie di mito. Al punto
che il sistema ministeriale dei trasporti sta spingendo per studi che
permettano di realizzare un asfalto che possa aggiustarsi nei punti di
rottura.Difficile da fare subito, ma ci si riuscirà perché nei laboratori
di Harvard, per esempio, riescono già a far chiudere buchi nei materiali di
1,8 micron di diametro. Con queste tecniche si può anche fare chirurgia -
come ha spiegato il professor David Weitz - senza far sanguinare alcuna
parte "tagliata". Basta che i tagli siano di 1,5 micron, cioè poco più di
qualche cellula alla volta e che vengano dati "colpi" con il bisturi laser
che durino frazioni infinitesimali di secondo. Se poi si vuole sapere come
si costruisce un "nanofilo" basta chiederlo a Charles Marcus, docente di
microsistemi elettronici: «Difficile - ammette - perché siamo a livello di
meccanica quantistica; bisogna ricordare che quando si va da atomo a atomo
la materia si comporta in modo diverso da quello della materia accorpata.
Però siamo riusciti a creare delle "trappole quantistiche" per fermare gli
elettroni, che poi si eccitano e interferiscono con la materia esistente
attorno. Con le "trappole" creiamo nuvole atomiche e così facciamo nuovi
materiali». Facile? No di sicuro, ma vertiginoso anche solo da seguire.

Di solito si usano silicio, oro, diamante. Questi racconti più che una
spiegazione sono una specie di atto di fede per chi - come noi - ascolta e
racconta. Ma è così in questa avventura alle frontiere della tecnologia che
continuerà in un paese dove le biblioteche delle università chiudono - ma è
l'eccezione di Harvard - alle 20 di domenica e alle 22 gli altri giorni.
(Altre sono aperte 24 ore su 24). Per capire come questa potenza si espanda
basti un dato. Ad Harvard in un anno si spendono, per costi operativi, un
miliardo di dollari, più di duemila miliardi di lire.

Adriano Favaro