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legambiente: documento verso il g8 a genova



metto in rete il documento nazionale di legambiente in vista del g8 a genova

andrea agostini



VERSO IL G8 DI GENOVA

UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE
IL FUTURO DEL PIANETA E DELL'UMANITA'
NON PUO' ESSERE AFFIDATO ALLE DECISIONI 
DI POCHI PRIVILEGIATI

Un mondo diverso è possibile. Questo il messaggio che Legambiente, insieme
ai gruppi e alle associazioni del "Genoa Social Forum" che manifesteranno
il 21 luglio a Genova in occasione del G8, lancerà ai capi di stato e di
governo dei Paesi ricchi. Un mondo diverso è possibile, ma per costruirlo
serve l'impegno e la partecipazione dei cittadini, serve un governo
democratico dei processi globali che superi l'attuale gestione oligarchica
di organismi del tutto privi di investitura democratica, come il Wto, o
comunque rappresentativi solo di una piccola minoranza dell'umanità, come
appunto il G8.
Santificata da alcuni e demonizzata da altri, la cosiddetta globalizzazione
è stata oggetto in questi anni di discussioni e contrapposizioni
appassionate. Per noi i processi di globalizzazione sono fenomeni complessi
e tutt'altro che univoci, che comportano il rischio evidente di legittimare
il mercato e le logiche del profitto come categorie ideologiche e di
ridurre le relazioni umane ad una dimensione esclusivamente monetaria, ma
permettono pure una più facile e ricca circolazione delle informazioni e
delle idee. Se da una parte infatti il mercato non è di per sé portatore di
benessere, e un sistema nel quale la ricerca del profitto non è sottoposta
ad alcuna regola produce effetti sociali e ambientali devastanti - dallo
sfruttamento selvaggio del lavoro che riduce in schiavitù milioni di
bambini nel mondo alla  distruzione di immense superfici di foreste -,
dall'altra è grazie ad un mondo sempre più comunicante e interdipendente se
oggi questi problemi sono dovunque all'ordine del giorno e se anche nei
Paesi poveri emergono con forza i temi della dignità del lavoro e della
qualità dell'ambiente. Così, se non governati il mercato e la logica del
profitto tendono a riprodurre dappertutto modelli di sviluppo che
depauperano e degradano il Pianeta, ma è in virtù di quella che più volte
abbiamo chiamato "buona  globalizzazione"  se a partire dalla Conferenza di
Kyoto si è cominciato ad affrontare con decisioni operative, sebbene
insufficienti, i rischi ambientali planetari. 
In ogni caso, un concetto per noi è chiaro: la globalizzazione nella sua
dimensione economico-finanziaria non è in grado di affrontare i grandi
problemi sociali, ambientali, di democrazia e di diritti, anzi minaccia di
aggravarli. 
Riteniamo, quindi, necessario che le trattative commerciali che regolano il
mercato globale si pongano in una posizione subordinata rispetto ai
trattati multilaterali per la salvaguardia dell'ambiente e lo sviluppo
sostenibile.
Il sottosviluppo nel quale vivono miliardi di persone è una realtà tragica
e sempre più consolidata: se nel 1960 il 20% più ricco della popolazione
mondiale possedeva un reddito trenta volte superiore a quello del 20% più
povero, oggi la proporzione è di 82 a 1, mentre tre quinti dei 4,4 miliardi
di abitanti dei Paesi poveri vive in comunità prive di infrastrutture
igieniche di base, circa un terzo non dispone di acqua potabile e un terzo
dei bambini è sottonutrito e non raggiunge la quinta classe della scuola.
Di tutta evidenza è anche un'altra verità, troppo spesso trascurata: sono
proprio i Paesi poveri a pagare i prezzi umani più alti per il degrado
ambientale. Basti dire che in Asia l'inquinamento fecale dei fiumi supera
di cinquanta volte quello dei Paesi industrializzati, o che nelle città del
Sud del mondo tra il 20% e il 50% dei rifiuti domestici non viene raccolto.
L'aumento dell'effetto serra, l'allargamento del  buco dell'ozono, la
deforestazione, la desertificazione, la perdita di biodiversità, la
crescita dei livelli di inquinamento atmosferico, marino, terrestre,
colpiscono ovunque senza badare alle frontiere o alle dimensioni del Pil,
alimentati da interessi e da modelli economici e stili di vita e di consumo
che hanno il loro centro nel mondo industrializzato ma sono squisitamente
globali. Infine, nel mondo globalizzato di oggi vi sono valori universali
come il rispetto dei diritti umani, la lotta contro la discriminazione e
l'esclusione, l'esistenza di regole anche minime di democrazia, che
faticano ancora molto a diventare patrimonio comune. Si tratta di questioni
che riguardano anche Paesi ricchi, basti  pensare alle 500 condanne a morte
eseguite negli Stati Uniti dal 1977, ma che indiscutibilmente si
concentrano nel Sud del mondo dove a miliardi di donne e uomini vengono
sistematicamente negati i più elementari diritti civili, politici e sociali. 
L'idea, nocciolo duro del pensiero unico, che le economie e le culture di
ogni Paese, di ogni territorio siano condannate per sopravvivere alla
omologazione, è contraria agli interessi dell'umanità, perché
l'omologazione ai modelli socio-economici occidentali comporta prezzi
sociali e ambientali insopportabili, e contraria anche all'interesse
specifico dei Paesi ricchi, perché gli squilibri e i periodici "collassi"
provocati da questo modello di sviluppo "omologato" si ripercuotono
pesantemente anche su di essi, esponendoli ad una continua intensificazione
dei flussi migratori e al rischio di ricadute negative sul terreno
economico-finanziario. Infine, l'interesse a contrastare la falsa identità
tra globalizzazione e omologazione e a valorizzare gli elementi più
originali di ogni singola identità sociale, economica e culturale, è tanto
più forte per l'Europa e in particolare per l'Italia, che per competere
nell'arena globale devono "esaltare", non certo deprimere, la differenza e
il valore aggiunto rappresentati dalla grande varietà e ricchezza di
economie radicate nel territorio e da una spiccata vocazione per la
coesione sociale e la qualità ambientale. 
Per affermare una prospettiva di sviluppo sostenibile che coinvolga
l'intera umanità, occorre - come già scrivemmo negli "appunti" per il
congresso del 1999 - che il futuro sia "non solo merci" ma anche migliore
qualità della vita, più diritti, più coesione sociale, più partecipazione
dei cittadini alle scelte che li riguardano, impegno per costruire un
modello di relazioni tra i popoli fondato sulla comune appartenenza al
genere umano, coscienza che chiudersi davanti ai bisogni e alle difficoltà
dell'altro è non solo moralmente sbagliato ma illusorio visto che
nell'attuale arena globale nessuno può sentirsi al riparo da tensioni e
squilibri anche quando si manifestano a migliaia di chilometri di distanza.
Questo è lo scenario in cui si tiene a Genova il vertice dei G8. Uno
scenario segnato da profonde ingiustizie, con il 20% della popolazione
mondiale, quella dei Paesi a capitalismo avanzato, che consuma l'83% delle
risorse planetarie, con 11 milioni di bambini che muoiono ogni anno per
denutrizione e 1 miliardo e 300 milioni di persone costrette a vivere con
meno di un dollaro al giorno. 
I temi di cui il G8 discuterà a Genova sono gli stessi che vedono impegnate
nel mondo centinaia di organizzazioni non governative, che con priorità
diverse ma seguendo tutte metodi pacifici, non-violenti e democratici,
operano nei campi della cooperazione internazionale, della tutela
ambientale, della valorizzazione dei diritti di cittadinanza, del pieno
riconoscimento della dignità del lavoro, della promozione di modelli
economici etici e solidali, dello sviluppo di forme di convivenza
multietniche e di scambio interculturale, dell'impegno pacifista, della
lotta alle ingiustizie. A Genova porteremo questa grande ricchezza di
esperienze e di sensibilità, e sarebbe grave se la risposta degli
organizzatori del vertice fosse di trasformare la città in una fortezza
inaccessibile vietando qualsiasi manifestazione pubblica. Sarebbe grave e
sarebbe, bisogna aggiungere, il modo più sicuro per lasciare campo libero a
quanti da una parte e dell'altra preferiscono al dialogo e al confronto
anche duro, lo scontro e la contrapposizione violenta. 
Noi comunque non ci rassegneremo alla militarizzazione di Genova, e faremo
di tutto per ottenere risposte impegnative dai leader del G8 alle nostre
richieste già sottoscritte da migliaia di cittadini che hanno partecipato
al referendum autogestito promosso da otto grandi associazioni
(Legambiente, Arci, Mani Tese, Uisp, Acli, Ics, Rete di Lilliput, Tavola
della Pace). 
Chiediamo che sia mantenuto l'impegno a cancellare tutti i crediti verso i
paesi più poveri e indebitati, e che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario
siano vincolate a cancellare il 100%  dei loro crediti.
Chiediamo l'introduzione della "Tobin Tax", imposta sulle transazioni
finanziarie di natura speculativa che consentirebbe di redistribuire in
modo più equo il gettito fiscale tra le diverse componenti sociali, di
monitorare i flussi di capitale al  fine di combattere l'evasione fiscale
ed il riciclaggio dei proventi dei traffici illeciti, di finanziare le
politiche nazionali e globali di lotta alla povertà e alla disoccupazione e
di salvaguardia dell'ambiente.
Chiediamo la messa al bando delle armi all'uranio impoverito e la riduzione
 del 20% entro il 2001 delle spese militari, con l'impegno ad investire le
somme risparmiate in programmi di cooperazione alo sviluppo nei Paesi del
Sud del mondo.
Chiediamo che il potere di fissare le regole che governano l'economia
mondiale,  oggi nelle mani di un organismo privo di ogni investitura
democratica qual è il  Wto,  ritorni all'Onu.
Chiediamo un impegno formale per ratificare entro il 2002, prima della
Conferenza di Johannesburg che si terrà a dieci anni esatti dall'Earth
Summit di Rio de Janeiro, del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle
emissioni dei gas serra.
Chiediamo che siano poste le basi per una regolamentazione rigorosa
dell'immissione nell'ambiente e in commercio degli organismi geneticamente
modificati, riguardo in particolare ai rischi ambientali e sanitari e ai
rischi di una perdita progressiva di biodiversità legati alla produzione e
alla commercializzazione dei cibi transgenici, nonché al tema dei brevetti.
Su quest'ultimo punto, va sottolineata la straordinaria importanza della
vittoria ottenuta dal governo sudafricano nella causa contro le industrie
farmaceutiche che chiedevano il pagamento di royalties elevatissime sui
farmaci anti-aids: un passaggio di grande significato morale e pratico, che
fa giustizia della pretesa delle multinazionali biotecnologiche di
privatizzare la materia vivente. 
Noi sappiamo che su molti di questi temi non vi è unità all'interno del G8.
Con sempre maggiore chiarezza vanno anzi emergendo due visioni
tendenzialmente opposte della globalizzazione e dello stesso ruolo dei
grandi Paesi industrializzati: una visione ultra-liberista, che ha trovato
negli ultimi mesi un autorevolissimo alfiere nel neopresidente americano
Bush e che ora sembra attrarre anche il governo italiano di centrodestra,
in base alla quale i criteri della qualità ambientale e sociale non devono
entrare nelle politiche per lo sviluppo, ed una visione più vicina alla
sensibilità dei Paesi europei, che pur tra incertezze e contraddizioni
guarda all'ambiente, alla coesione sociale, alla valorizzazione delle
identità economiche e culturali locali, come ad ingredienti indispensabili
di uno sviluppo sostenibile e desiderabile. In alcuni casi la
contrapposizione è già diventata esplicita, come per la scelta di Bush di
ritirare l'adesione degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto o per la
posizione di cautela dell'Europa in materia di Ogm, in altri è prevalsa
finora la logica dell'alleanza geopolitica tra i Paesi più ricchi: compito
nostro, a Genova come in tutte le occasioni che seguiranno, sarà di
batterci con forza e intelligenza perché le contraddizioni, se vi sono,
vengano alla scoperto e perché i grandi della terra siano costretti a
tenere conto delle ragioni dei cittadini.    

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