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CHE FINE HANNO FATTO I CONTADINI?



DA BOILER.IT DI GIOVEDI 5 APRILE 2001

 
Che fine hanno fatto i contadini?

di Brian Halweil 
  


 DAL 1992 IL GENIO MILITARE degli Stati Uniti lavora su un sistema di
chiuse e di dighe sul Mississippi . Questo fiume è il principale mezzo di
trasporto per introdurre la soia sul mercato globale, al ritmo medio di
35mila tonnellate al giorno. Il progetto sviluppato dal Genio porterebbe
sulle sponde del fiume un milione e 200 mila tonnellate di cemento per
raddoppiare le dimensioni di molte decine di chiuse. Si prevede inoltre
l’espansione di alcune dighe a briglia che restringono il corso del fiume
per facilitare il passaggio dei carichi di soia e per impedire ai sedimenti
di depositarsi. Attualmente, un immenso sistema di drenaggio “succhia” ogni
anno 85 milioni di metri cubi di sabbia e di fango dal letto e dalle sponde
del fiume. Sono stati considerati vari progetti per ottimizzare
ulteriormente la navigabilità del Mississippi, il più incisivo dei quali
comporterebbe, secondo le stime, una riduzione dei costi di trasporto della
soia fra i 4 e gli 8 centesimi di dollaro a bushel (unità di misura del
volume per i cereali pari, negli Stati Uniti, a 35,24 litri). Ma alcuni
esperti indipendenti sostengono che un risultato del genere è impossibile.
Nel frattempo i cinque governi dei Paesi sudamericani che sono toccati dal
bacino del Rio de La Plata (Bolivia, Brasile, Paraguay, Argentina e
Uruguay), hanno annunciato un progetto per asportare 13 milioni di metri
cubi di sabbia, fango e roccia da 233 tratti del fiume Paraguay-Paranà. Si
tratta di una quantità di materiale che riempirebbe a pieno carico una
colonna di tir lunga 10mila miglia (più di 16mila chilometri). Il progetto
prevede di rettificare le anse naturali del fiume in almeno sette punti, di
costruire dozzine di chiuse e un gigantesco porto nel cuore del Pantanal,
la principale zona umida del mondo.Il Paraguay-Paraná attraversa cuore
produttivo della soia del Brasile, inferiore, per produzione e
esportazioni, solo agli Stati Uniti. Secondo le dichiarazioni dello Stato
brasiliano del Mato Grosso, questa “idrovia” incrementerà ulteriormente lo
slancio delle capacità di esportazione di soia della regione.
In entrambi i casi, i finanziatori dei progetti sostengono che aumentare la
capacità di trasporto di questi fiumi serva a migliorare la competitività e
a salvare gli agricoltori (statunitensi o brasiliani, a secondo di quali
siano gli agricoltori da convincere) dalla peggiore crisi finanziaria dai
tempi della Grande depressione. Chris Brescia, presidente della Midwest
River Coalition 2000 (un’organizzazione di spedizionieri che è il
principale investitore per il progetto sul Mississippi) dichiara che «Prima
porteremo a termine la nuova infrastruttura per l’idrovia, prima le
famiglie dei nostri agricoltori ne potranno beneficiare». Degli investitori
hanno addirittura dichiarato che questi progetti servono a nutrire il mondo
(in quanto la soia arriverebbe più facilmente alle masse affamate) e a
salvare l’ambiente (in quanto le suddette masse, sfamate, non avrebbero più
bisogno di tagliare la foresta pluviale per produrre i beni di loro
necessità).
Non è stato invece menzionato un fatto molto più evidente e certo, e cioè
che i coltivatori statunitensi diventeranno più competitivi rispetto a
quelli brasiliani, e viceversa. Le due regioni si troveranno contrapposte
in una competizione per l’aumento di produttività, che inevitabilmente
comporterà un esaurimento del suolo e vanificherà qualsiasi tipo di
investimento a lungo termine. I coltivatori dello Iowa riceveranno
incentivi per arare i campi più vicini al fiume, mentre quelli brasiliani
saranno spinti a penetrare più a fondo nella savana, accelerando, in
entrambi i casi, l’erosione del suolo. Il flusso di soia aumenterà
sensibilmente e il suo prezzo si abbasserà. Con la progressiva riduzione
del margine di guadagno per tonnellata, gli agricoltori sono costretti a
farsi “inghiottire” dalle grandi multinazionali.
Ma allora perché gli investitori sostengono che questi progetti vadano
soprattutto a beneficio degli agricoltori? Perché gli investitori sono le
imprese di stoccaggio, di trasporto o di lavorazione della materia prima,
che hanno tutto l’interesse che il prezzo della soia crolli in quanto sono
proprio loro che la devono acquistare. Archer Daniels Midland (Adm),
Cargill e Bunge sono fra le più grandi aziende di lavorazione e
commercializzazione della soia coltivata lungo il corso di entrambi i
fiumi. Più le politiche economiche degli Stati Uniti e del Brasile lavorano
per abbassare i prezzi della soia, più profitti avranno questi tre colossi
finanziari. Nel frattempo, un altro gruppo di aziende controlla il mercato
delle sementi geneticamente modificate, dei fertilizzanti e degli erbicidi,
imponendo agli agricoltori un regime di oligopolio e di prezzi alti sia a
nord che a sud dell’equatore.
Valutando questa operazione di dragaggio e riconfigurazione di due fra i
maggiori bacini fluviali del mondo, bisogna dunque ricordare che non si
tratta di attività di imprese private che operano all’interno delle loro
proprietà. Sono proposte di opere pubbliche da realizzare con enormi
quantità di denaro pubblico. Il vero scopo non è né quello di migliorare il
tenore di vita delle famiglie degli agricoltori né, tantomeno, di sfamare
il mondo, bensì di sfruttare i sentimenti di un pubblico poco informato
sulle necessità degli agricoltori o sulle masse affamate per favorire degli
interessi privati. L’aspetto più vergognoso della questione è che oltre a
sottoporre gli agricoltori ad attriti e conflitti gladiatorii, questi
progetti avranno con ogni probabilità una serie di ricadute gravissime dal
punto di vista economico, sociale ed ecologico.
Secondo Mike Davis del Minnesota Department of Natural Resources, l’effetto
più immediato ed evidente degli interventi sarebbe un aumento del volume
del mercato lungo i fiumi in questione che accelererà una serie di fenomeni
secondari già in atto da tempo. L’ecosistema fluviale del Mississippi
comprende piante acquatiche con radici, come il stiancia, la saggittaria o
il sedano selvatico. Un aumento del traffico fluviale solleverà molto più
sedimento, riducendo la quantità di luce solare che penetra nelle acque e,
di conseguenza, la profondità fino alla quale le piante possono
sopravvivere. Già dagli anni Settanta il numero di specie di piante
acquatiche rilevate in alcuni punti del fiume è passato da 23 a quasi la
metà, in quanto molte non sono riuscite a sopravvivere nelle acque più
torbide. «Il fiume è arrivato a un punto di svolta ecologico», avverte
Davis: «Questa riduzione di diversità delle piante ha scatenato un declino
nelle comunità di vertebrati, pesci, molluschi e uccelli che dipendono
dalla loro diversità». Il 18 maggio 2000 lo U.S. Fish and Wildlife Service
ha pubblicato uno studio che dimostra che il progetto del Genio militare
metterebbe in situazione di rischio 300 specie di uccelli migratori e 127
specie di pesci nel bacino idrografico del Mississippi, alcune delle quali
potrebbero arrivare all’estinzione. «La sterna nana, lo storione pallido e
altre specie che si sono evolute abituandosi ai flussi e riflussi, ai
banchi sabbiosi e ai punti più profondi del fiume, vengono progressivamente
eliminate. Per aumentare la capacità di trasporto del fiume se ne
compromette irreversibilmente la diversità naturale», aggiunge Davis.
La situazione del progetto Hidrovía sembra simile. Mark Robbins, ornitologo
del Museo di storia naturale della University of Kansas, lo definisce «Un
passaggio decisivo per creare nel Pantanal e nelle grandi pianure del
Cerrado, nel Brasile meridionale, uno scenario di distruzione simile a
quello di Everglades, in Florida». Il Paraguay-Paraná alimenta infatti la
zona umida del Pantanal, uno degli habitat più diversificati del pianeta,
con le sue popolazioni di cicogne arboree, jabirus e oltre 650 altre specie
di uccelli, più di 400 specie di pesci e moltissime altre specie, meno
studiate, di piante, molluschi e organismi palustri. Dragando il fiume e
costruendo delle sponde per incanalare le acque della zona umida
circostante nel percorso navigabile si distrugge l’habitat di nidificazione
degli uccelli e di deposizione di uova dei pesci, danneggiando fra l’altro
anche le comunità indigene o tradizionali che vivono di queste risorse. Nel
frattempo, le monocolture di soia a intenso regime di erbicidi, praticato
in aziende agricole tanto grandi da superare addirittura le dimensioni
delle monocolture più estese del Midwest degli Stati Uniti, stanno
prendendo rapidamente il posto delle praterie del delicato ecosistema del
Cerrado. Le profonde arature e la periodica assenza di terreno di copertura
che queste coltivazioni provocano un’erosione del suolo al ritmo di 100
milioni di tonnellate ogni anno. Robbins nota che «Rispetto al Mississippi,
questo sistema fluviale e le praterie circostanti sono molto più
diversificati e sono stati, per il momento, meno compromessi. La posta in
gioco è quindi decisamente maggiore».
I sostenitori di un progetto tanto distruttivo ritengono che questo sia
comunque giustificato da un approccio alle scelte economiche basato
sull’efficienza. Il ragionamento è insomma simile a quello che porta a
produrre energia bruciando carbone. Se si ignora l’impatto a lungo termine
sulla qualità dell’aria e sulla stabilità del clima, le centrali a carbone
sono indubbiamente molto efficienti. Le grandi aziende agricole sembrano
più efficienti di quelle piccole se non si considerano costi gravissimi,
come la perdita della diversità genetica su cui la stessa agricoltura è
basata, l’inquinamento causato dagli additivi chimici e lo smembramento
delle culture e degli insediamenti locali. Bisogna ricordare che l’effetto
combinato fra l’abbandono delle piccole fattorie indipendenti e lo
strapotere delle gigantesche multinazionali del cibo costituisce un grave
problema non soltanto perché abbiamo a cuore le sorti dei contadini e degli
agricoltori, ma perché abbiamo bisogno di mangiare.

 
 
Una specie a rischio

di Brian Halweil 
  
 NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI lo stile di vita dell’agricoltore è qualcosa
che non si riesce più facilmente a immaginare. Io per esempio sono nato
nella Dutchess County, una zona dello stato di New York in cui si
producevano mele e latticini, ma da quando avevo cinque anni ho trascorso
la maggior parte del mio tempo a New York City e nel frattempo molte
fattorie della Dutchess County hanno chiuso. Chi si procura il cibo sui
banchi dei supermercati o attraverso gli sportellini dei “drive-trough” (i
supermercati per automobilisti), non può capire quanto sia importante la
sopravvivenza delle comunità rurali.
Nel mondo industrializzato – dove i centri rurali vengono sempre più
abbandonati – e nel mondo in via di sviluppo – dove l’aumento di
popolazione continua a incrementare il numero dei coltivatori e ogni
generazione eredita appezzamenti di terreno più piccoli – guadagnarsi da
vivere facendo gli agricoltori è un impresa sempre più ardua. La povertà
rurale costringe una crescente massa di persone ad abbandonare
l’agricoltura intesa come occupazione principale, oppure a lasciare del
tutto la campagna. La situazione è preoccupante, soprattutto se si
considera che gli agricoltori producono forse l’unico bene senza il quale
il genere umano non può sopravvivere. Dal 1950 il numero di persone
impiegate nell’agricoltura è drasticamente diminuito in tutte le nazioni
industrializzate, in alcune regioni con percentuali che hanno raggiunto
l’80 per cento. Osservando i numeri viene quasi da chiedersi se questa
categoria non sia stata colpita da un misterioso virus:
In Giappone, oltre la metà degli agricoltori sono sopra i 65 anni di età;
negli Stati Uniti gli agricoltori che hanno superato i 65 anni sono tre
volte più numerosi di quelli che hanno meno di 35 anni (e quando vanno in
pensione o muoiono lasciano generalmente la loro fattoria in eredità a
figli che vivono in città e non sono minimamente interessati alla vita nei
campi).
In Nuova Zelanda, le autorità sostengono che nei prossimi dieci o quindici
anni spariranno all’incirca 6 mila fattorie di produzione di prodotti
caseari, con una riduzione di circa il 40 per cento.
Si prevede che in Polonia 1milione e 800 mila fattorie spariranno quando il
Paese sarà assorbito nell’Unione Europea, con una riduzione sul numero
totale del 90 per cento.
Nei prossimi dieci anni in Svezia saranno dismesse circa il 50 per cento
delle fattorie attualmente operanti.
Nelle Filippine, Oxfam stima che nei prossimi anni il numero delle fattorie
a gestione familiare nella regione produttrice di grano di Mindanao
scenderà di circa 500 mila, con una perdita del 50 per cento.
Negli Stati Uniti, dove ai tempi della rivoluzione americana la stragrande
maggioranza della popolazione era dedita all’agricoltura, ci sono meno
agricoltori (sotto l’1 per cento della popolazione) che detenuti negli
istituti penali.
Negli stati del Nebraska e dello Iowa, si prevede che solo nei prossimi due
anni fra un quinto e un terzo degli agricoltori smetteranno di lavorare. 
Ovviamente la diminuzione degli agricoltori nei paesi industrializzati non
significa che il settore abbia perso importanza. Il mondo continua a
mangiare (ogni anno ci sono 80 milioni di bocche da sfamare in più rispetto
all’anno precedente) e la riduzione degli agricoltori è indice di aziende
agricole più ampie e di maggiori concentrazioni di proprietà. Ma il
fenomeno riguarda soprattutto nord America, Europa ed estremo oriente: a
livello mondiale, metà della popolazione continua a vivere dalla terra.
Nell’Africa sub-sahariana e in Asia del sud la percentuale supera il 70 per
cento. In queste regioni l’agricoltura rappresenta, in media, circa la metà
dell’attività economica complessiva. 
Si potrebbe a questo punto pensare che la riduzione degli agricoltori sia
un fenomeno innocuo, anzi forse un fatto positivo, soprattutto per le
nazioni meno sviluppate che non hanno ancora sperimentato la
modernizzazione che sposta le persone dalle aree agricole interne verso le
economie più avanzate delle città. Nei due secoli passati la riduzione del
numero degli agricoltori è stata in effetti considerata come un segno di
progresso. Il passaggio dai movimenti lenti della zappa tenuta dalle mani
di uomini e donne ai trattori azionati da potentissimi motori diesel, o
dalle piccole fattorie vecchio stile alle grandi aziende agricole
meccanizzate e con processi di tipo industriale, viene considerato come la
garanzia di una disponibilità di cibo più abbondante ed economico. La
nostra società superurbanizzata considera la vita rurale, soprattutto
quella delle piccole fattorie a gestione familiare, come qualcosa di noioso
e arretrato, adatto solo a quelli che indossano le tute da lavoro, vanno a
letto presto e sono insomma lontanissimi dagli stili di vita sofisticati
della città.
La vita urbana offre un’ampia gamma di opportunità, attrazioni e speranze
create spesso dalle campagne pubblicitarie, che attraggono molte famiglie
di agricoltori. Ma la vita di città può facilmente rivelarsi una delusione,
in quanto chi lascia la campagna va spesso a finire in quartieri
superaffollati dove disoccupazione e malattie sono la norma e dove in
definitiva si vengono a trovare in condizioni molto peggiori di quelle che
hanno lasciato. A volte gli agricoltori non sono tanto attratti dalla città
quanto piuttosto allontanati dalla campagna per una serie di alterazioni
strutturali del funzionamento della catena alimentare. Bob Long, un fattore
della McPherson County, nel Nebraska, ha dichiarato in un recente articolo
del New York Times che lasciare la sua fattoria al figlio verrebbe
probabilmente considerato come un “abuso sull’infanzia”. Finché le città
saranno sottoposte alle pressioni della crescita demografica (cosa che con
ogni probabilità continuerà ad accadere almeno per i prossimi tre o quattro
decenni) molte persone continueranno a vivere nelle zone rurali. Anche
negli Stati Uniti o in Europa, circa il 25 per cento della popolazione (257
milioni di persone) vivono nelle aree rurali. Nel frattempo per i 3
miliardi di africani, asiatici e latino-americani che restano in campagna
(e che ci resteranno certamente anche nel prossimo futuro), l’emarginazione
degli agricoltori ha creato un circolo vizioso con scarsi risultati dal
punto di vista dell’istruzione, aumenti della mortalità infantile e più
gravi turbe mentali.