Titolo: quando le formiche si incazzano (in rete)....
Tanti, forse troppi, oggi rischiano di perdere una
segreta speranza a riguardo di Internet. Che la rete
possa divenire un potente strumento al servizio di una
forma più alta di democrazia, uno strumento di
evoluzione della cittadinanza sia personale quanto
collettiva e globale.
Il diluvio di server commerciali, la corsa frenetica
all'oro di Internet, la vendita e rivendita di
identità di consumo in rete, le caselle postali
violate da insulsi messaggi, la macchina di un Web
visto come un gigantesco supermercato a prezzi
superscontati. Tutto ciò ha preso il sopravvento,
a poco a poco, sui progetti dei sognatori della prima
metà degli anni Novanta centrati su una fioritura dal
basso della rete, sulla capacità di usare un mezzo
finalmente aperto, globale e bidirezionale per dare
voce ai silenziosi, per metterli in comunicazione, per
unirli e migliorare la loro vita, per controllare il
potere senza per questo infrangere leggi o proporsi
utopie, ismi, ideologie.
Insomma, la nascita di un contropotere, del sale della
nuova, possibile democrazia. E la sua nascita su
questioni concrete, stringenti, di sopravvivenza della
specie e del pianeta. Con buona pace di una vecchia
sinistra (ma anche destra) troppo spesso fatta di
appartenenze, di potere appena mascherato, di
chiacchiere ideologiche, di inamovibili professionisti
della politica.
Il sogno sembrava davvero perso qualche tempo fa, di
fronte allo strapotere della New Economy (leggi
capitalismo e nuova imprenditoria aggiornatasi
all'era della rete). Ferme o persino morte molte reti
civiche Usa, finito l'entusiasmo iniziale per il
(sovente) ingenuo "fai da te" su Internet, raggelato
il dibattito (sempre gli stessi, narcisisticamente) di
quelli che ormai si parlano addosso nei newsgroup,
poche le voci di dissenso capaci di "bucare" il rumore
prodotto dai piccoli e grandi nascenti "signori
digitali". Tutti a "chattare" dentro i canali di
questo o quel colosso dei bit. Tutti a schiacciare
bottoni web per acquistare, con lo sconto, libri
mai letti o hard disk di troppo. Fine della
ricreazione.
Poi però un piccolo, silenzioso, impercettibile
miracolo. E proprio, e perfettamente, nei binari del
sogno, del vagheggiato "contropotere" dei cittadini in
rete.
Quale il migliore punto di partenza? Il maggiore
difensore civico attuale, ovvero il vecchio buon Ralph
Nader. Che fa pubblicare, sul suo sito (Public
Citizen, www.citizen.org ) nel 1997 un documento
lungo, ostico e, soprattutto, segreto. Si chiama Mai
(Multilateral Agreement on Investments). E' stato
stilato, dopo anni di faticose (e volutamente
iservate)
trattative prima nell' Ocse e poi nella Wto (World
Trade Organisation). E' una bozza di accordo tra 29
paesi, industrializzati e in via di sviluppo, in
faticosissima discussione dal 1995 che, in pratica,
mira a rimuovere quante più barriere possibili per le
multinazionali, il loro accesso ai mercati e alle
risorse (lavoro, ambiente) su base globale.
In apparenza un passo avanti, e solo abbozzato, nella
formazione di un mercato mondiale. In apparenza
un'altra di quelle super-complicate trattative che da
decenni impegnano i vari round prima del Gatt, poi
del Wto e si trascinano nei bizantinismi tecnici delle
istituzioni internazionali.
In apparenza. Nel frattempo c'è stato il caso di
Bophal, delle denunce per il supersfruttamento del
lavoro dei bambini (di cui sono accusate varie
multinazionali, tra cui la Nike), la prospettiva delle
prime sperimentazioni delle culture transgeniche che a
molti (tanti, in primis il sociologo e attivista
Jeremy Rifkin) fanno una maledetta paura (e hanno già
prodotto qualche "incidente"). Il Mai viene (e non a
torto) presentato su Internet come il documento
politico che consente tutto questo, che dà mano
libera alle multinazionali, che pone la loro creatura
di comando, il Wto, come un "centro di governo
dell'economia mondiale non eletto da nessuno,
autonominato dai potenti della terra, al di fuori
delle regole democratiche" secondo Public Citizen. "E'
la dittatura dei mercati sul mondo", gli fa eco
Ignazio Ramonet, sulle colonne di "Le Monde
Diplomatique", punto di riferimento per la sinistra
radicale europea.
Fin qui le solite critiche, i soliti attacchi radicali
degli eterni minoritari che non si rassegnano ad
accettare il verbo del "pensiero unico" (come loro lo
chiamano), ovvero della ricetta che, per quasi tutto
il
mondo, è divenuta la medicina base applicata dai
governi: liberalizzare, privatizzare, sviluppare i
mercati. Da anni cresce intorno a questa triade
il malumore, prima di pochi (e divisi) fuori dal coro,
poi, progressivamente, di molti, dotati di un nuovo e
imprevisto canale di espressione.
Intorno a Public Citizen, così, comincia a
svilupparsi, su Internet, la grande discussione della
sinistra (e non-sinistra) radicale e ambientalista
mondiale che durerà, in pratica, tre anni. Si formano
spontaneamente liste di discussione, casi e
testimonianze vengono portate in rete, si aggregano a
macchia d'olio gruppi di attivisti di ogni parte del
mondo, nascono siti Web di controinformazione sui
danni ambientali, sulla protezione della
biodiversità (la necessità di preservare gli
ecosistemi, anche culturali e sociali), sulla critica
al pensiero unico e le sue possibili, più o meno
fantasiose (ma anche queste hanno i loro diritti),
alternative.
Una inchiesta comparsa sull'ultimo numero di gennaio
dell'Economist dà alcuni interessanti cifre sul
fenomeno "forte", strutturale, che vi sta sotto. Non
ci sono solo discussioni e parole sulla rete. C'è un
reticolo fittissimo di oltre 29 mila Ngo a raggio
internazionale (Non governmental organisations,
organizzazioni non governative) secondo stime
dell'Onu.
Ma queste sono solo la punta di un iceberg che, se
eseteso alle piccole Ngo nazionali supera la cifra di
2 milioni solo negli Usa. E' un intricato ecosistema
di gruppi spontanei, formatesi spontaneamente negli
anni 80 e 90 e che si occupano di tutto, praticamente
di ogni problema sociale, economico, culturale che
interessi il pianeta, o anche piccolissime
nicchie di esso. E' il "terzo settore" (altrimenti
detto volontariato) che coinvolge e occupa stabilmente
milioni di attivisti, che mobilita risorse private
e pubbliche. Che, nei paesi del terzo mondo e nelle
zone di crisi (basti pensare a quanto avvenuto
recentemente in Kossovo) è divenuta l'autentica
longa manus operativa dei governi. Una generazione di
"cittadini del pianeta" che ormai ha acquisito un
ruolo politico più rilevante sul campo e nei fatti che
nelle rappresentanze istituzionali. E che ormai ha
assunto dimensioni rilevanti (vi sono Ngo, come
Ammnesty International o Us Charities che poco hanno
da invidiare alle multinazionali, quanto a dimensioni,
ramificazione globale e bilanci), ruolo politico (si
pensi alla Comunità di S. Egidio, protagonista della
pacificazione di un intero paese, il Mozambico),
capacità di incidere su organismi come l'Onu, la Banca
Mondiale (molti progetti di sostegno ai paesi in via
di sviluppo passano per il vo sul volontariato),
l'Unesco, l'Unicef.
Indirettamente (attraverso i propri attivisti) e poi,
sempre più, direttamente le Ngo partecipano al grande
dibattito in rete sul Mai, il Wto, il governo mondiale
dell'economia e dell'ambiente. Praticamente tutte
queste organizzazioni sono su Internet da anni. Tra le
prime a dotarsi di siti Web, di posta elettronica e di
comunità di rete, lo fanno, del resto, di necessità.
Internet è praticamente, per molte di loro, l'unico
strumento disponibile a basso costo per farsi
conoscere, pubblicizzare le proprie campagne,
promuovere la raccolta di fondi, coordinare attivisti
e
volontari, tenere i rapporti esterni.
Comprensibile quindi che il sasso lanciato da Public
Citizen nel 1997 generi nei mesi successivi onde
sempre più larghe. Nel febbraio del 1999, quando un
sindacalista americano, Ron Judd, segretario del King
Caunti Labour Council lancia su internet la proposta
della marcia anti-Wto a Seattle, ci sono oltre 700 Ngo
in ascolto. Si è per la prima volta formata, sulla
rete, un'alleanza che solo qualche anno prima sarebbe
parsa innaturale. C'è il nucleo forte degli
intellettuali ambientalisti, come l'International
Forum on Globalisation - www.ifg.org - che raccoglie
in California un Think Tank attivo dal 1994 e che
comprende nomi come Vandana Shiva, Jerry Mander,
Debi Barker, Tony Clarke e Victor Menotti. Oppure
Global Exchange - www.globalexchange.org -, altra Ngo
californiana attiva fin dal 1998 sui temi del
Nord-Sud, del commercio equo e solidale (in
particolare con il Sud-America), dei diritti umani e
civili. C'è il consumerismo di Public Citizen che poi
finisce per coinvolgere anche il movimento sindacale
americano, fino alla potente Afl-Cio (www.aflcio.org
<http://www.aflcio.org/>), con i suoi movimenti
anti-globalizzazione (www.madeinusa.org) che, smessi
panni protezionistici del passato, preferiscono ora
concentrarsi su campagne contro lo sfruttamento del
lavoro minorile nei paesi in via di sviluppo.
La linea comune che emerge dalla grande discussione
focalizza, in pratica, su un punto. La Wto prende
decisioni che coinvolgono l'intero pianeta, ma
non è un organismo democratico, elettivo,
rappresesentativo di tutte le parti in gioco. Un
concetto, questo, che ripetono tutti gli appelli,
tutti i manifesti, e che fa seguito alla de facto
emarginazione delle maggiori Ngo dalla cruciale
trattativa sul Mai operata a suo tempo dall'Ocse. E
questo per un motivo preciso, dicono gli oppositori:
il Mai, insieme al via libera alla produzione globale
di alimenti transgenici, non era negoziabile in
presenza di reali oppositori indipendenti, e non
ricattabili governi di paesi in via di sviluppo quoasi
tutti pesanti debitori di quelli ricchi. E poi. perchè
il Mai implica gravissimi rischi ambientali, perchè
porta all'omologazione delle colture e delle culture.
Perchè prefigura un mondo di multinazionali dominanti
che replicano, come Mc Donalds (l'arcinemico di Jose
Bovè, il leader contadino francese tra i protagonisti
di Seattle), il proprio modello da New York a Kuala
Lumpur.
Il mondo merita - dicono- un governo globale
democratico e partecipato che guidi una diversa e più
equa globalizzazione. La società civile
internazionale deve battersi per difendere la
biodiversità (tema irrisolto del vertice di Rio
sull'ambiente), intesa questa in senso ampio. Come
sistema di tecnologie sicure, come equilibrio
finanziario e produttivo, come localismi e rispetto
del diverso, come scambio tra pari, tanto più
fecondo quanto attivo dentro un sistema di
comunicazioni il più possibile libero (e
qui l'opposizione anche al controllo commerciale dei
contenuti su Internet) a basso costo, nato dal basso,
pubblico, organizzato e prodotto dai cittadini stessi.
Queste, per sommi capi e in modo grossolano, le idee
chiave dell'anti-wto. Idee piuttosto semplici,
generali, di una sinistra mondiale che appare
rigenerata fuori dalle vetuste ideologie e dagli
apparati di partito, su una rete di attacco attivo ai
problemi. Differenziata in migliaia di soggetti
singoli ma, proprio per questo, pronti a creare su
internet comunità trasversali, su temi caldi
(ambiente, globalizzazione...), discuterli,
arricchirli di proprie esperienze e punti di vista,
farle proprie, e quindi alla fine più capace di unirsi
e di agire assieme. Anche in alleanze che qualche anno
fa sarebbero state giudicate del tutto improbabili.
Ed è proprio quello che succede dentro il "cyberspazio
pubblico". Ognuno fa proprio, a modo suo, il sistema
di obbiettivi generali della protesta. Gli
ambientalisti sulla biodiversità, i consumeristi sui
rischi del transgenico, i sindacalisti sulla crescente
ineguaglianza insita nel neoliberismo squilibrato,
selvaggio, senza contrappesi democratici e senza nuovo
stato sociale. E, intorno a questa triade
ambientalismo-consumerismo-sindacalismo
si forma la "Coalition" anti-Wto. In Europa raccoglie
innanzitutto circuiti alternativi storici come
Peacenet, ma anche ambientalisti di ogni paese
(da GreenNet inglese ai Verdi italiani, francesi,
tedeschi), attivisti di Altromercato, radicali di
Attac (associazione francese per il sostegno
alla Tobin Tax, ovvero alla tassazione delle
transazioni finanziarie come nuovo mezzo di
finanziamento del possibile nuovo welfare globale),
centri sociali (spicca in Italia il network Isole
nella Rete); gruppi radicali Usa, come la
Ruckus Society (www.ruckus.org), organizzatori di
campi e di azioni dirette in stile Greenpeace. Sono
solo esempi. E' impossibile illustrare tutti i
soggetti. E quantificare quanti partecipanti i cerchi
concentrici della "lunga discussione" intorno al Mai e
al Wto abbiano toccato nei tre anni. Di sicuro dietro
ai 50mila effettivamente convenuti a Seattle (stima
della polizia di Seattle, secondo gli organizzatori la
cifra autentica sale a 85mila) se ne possono contare
almeno dieci o cento volte tanti (che peraltro
sono contemporaneamente scesi a manifestare nei giorni
del Wto in numerose città dei paesi industriali).
Nella primavera del 1999 la <Coalition> sembra giunta
a massa critica. La Pga (azione globale dei popoli,
www.agp.org ) è una delle prime Ngo sovrannazionali
(ma in prevalenza europea, centrata sulla rete civica
di Leiden, www.dsl.nl ) che è nata intorno ai primi
controvertici Wto della primavera 1998 a Ginevra. E
pubblica, su tutta la rete, il suo manifesto anti
liberista e la sua convocazione generale a Seattle.
L'organizzazione (o meglio, quasi una sigla sotto cui
sta una rete di organizzazioni)lavora quasi
esclusivamente via internet. E diffonde i suoi appelli
su centinaia di siti e di comunità
alternative.Coordina così la mobilitazione. Più
tradizionale ma anche più terragno l'impegno
dell'Afl-Cio: offre 20mila posti a Seattle con spese
di viaggio pagate; 15 mila le sostiene l'associazione
delle chiese di Washington; si organizza una carovana
anti-liberista e ambientalista che dal Canada scenderà
su Seattle.
Allo stesso tempo prende corpo uno dei fenomeni più
interessanti dell'intera vicenda. La formazione di un
autonomo sistema mediatico, basato su gruppi di
attivisti e giornalisti indipendenti armati di
computer, modem e di telecamere digitali in grado di
"riversare" immediatamente e a basso costo
sui siti Web della coalition (via webcast) reportage
più o meno in tempo reale sulla coalition stessa e
sulla protesta.
Sito chiave di questa componente mediatica è
Freespeech
(www.freespeech.org), organizzazione non profit nata
fin dagli anni 70, dalla legge antimonopolista Usa
sulle tv via cavo che riserva su queste reti
(altrimenti totalizzanti per le famiglie abbonate e
per le comunità locali) specifici canali all'accesso
pubblico (ovvero ai media direttamente creati dai
cittadini). Nel corso degli anni, sulla base di questa
esperienza, Freespeech è divenuto il leader
dell'autoproduzione mediatica non solo sui circuiti
tv-cavo ma anche sul satellite e poi su Internet. I
suoi
server (rigorosamente finanziati attraverso donazioni
e contributi volontari) accolgono i siti di 7mila
organizzazioni non profit, con 2500 filmati in
webcast.
Nelle settimane precedenti il Wto a Seattle viene
stabilito un Indipendent Media Center a cui
collaborano centinaia di attivisti di ogni parte del
mondo. Indymedia (www.indymedia.org) coordina i
reportages fotografici e video dalle strade della
protesta. Deep Dish Tv trasmette questi servizi via
satellite sui canali pubblici di un centinaio di
stazioni locali ad accesso pubblico. Centinaia di
giornalisti e di grafici, coordinati da Paper
Tiger tv (www.papertiger.org ), provvedono
all'editing, al taglio e alla redazione di questi
servizi. La Damn (Direct Action Media Network, nata
dalla Tao - the anarchy organisation - canadese,
www.tao.ca) fornisce anch'essa un forte contributo al
sistema di media center alternativi. E poi ci sono
anche altre piccole Ngo mediatiche: Changing America,
Big Noise Film, Videoactive, Wispered Media con le
loro piccole telecamere digitali negli zainetti
colorati.
I cinque giorni della "battaglia di Seattle" vengono
ripresi, commentati, mandati in tempo reale sui
circuiti Web e televisivi. Le cariche della
polizia di Seattle del primo dicembre, le nuvole di
gas, gli spari delle pallottole di gomma, le ferite
dei dimostranti. Ma anche i fuochi degli "hooligans",
della rabbia violenta dei più estremisti. I 600
arresti, i discorsi infuocati di Jose Bovè, di Vandana
Shiva, di Jim Hightower e di altri leader del
movimento contadino e terzomondista anti transgenico.
E infine la chiusura improvvisa del vertice Wto il 4
dicembre. I gesti di stizza e di disappunto dei
dirigenti e dei delegati. Clinton che rende
pubbliche le sue perplessità sul Wto. E dichiara:
<dobbiamo aprire i lavori della Wto alle associazioni
ambientaliste e sindacali>. La sua proposta di
risoluzione sul bando al lavoro nero dei bambini. Le
manifestazioni gioiose dei cortei che cantano
vittoria.
Tutto su Internet. Tutto documentato secondo le
tecnologie multimediali più avanzate (che poi sono le
meno costose). La Real networks (l'azienda chiave
del software webcast, vera star del Nasdaq) che apre
il suo sito alla collaborazioni con gli attivisti.
Tutto distribuito ma anche coordinato via rete. Ed è
un sistema mediatico tanto distribuito, su decine di
siti, che sarebbe praticamente impossibile chiudergli
la bocca. E che, con la battaglia di Seattle, comincia
ad acquisire un ruolo e un'attenzione vasta, in grado
di espandere la sua carica informativa anche sulla
situazione dei paesi poveri (Nicaragua, Filippine,
Cuba), sui disastri ambientali, sulle campagne
anti-traffico di rifiuti pericolosi, sui casi di
violazione
dei diritti umani (Colombia...).
Ma questo è solo l'occhio (e l'orecchio) di un
ecosistema più vasto, prodottosi dentro e intorno alla
rete globale. Nel nuovo media, Internet, a
basso costo d'entrata e che consente non solo di
informare, ma anche di coinvolgere, coordinare,
cooperare, agire. Un ecosistema che cominciò a
spuntare a fine anni 80 con le prime freenets-reti
civiche, (e nei giorni del Wto è la rete civica di
Vancouver - www.vcn.ca - che ospita il sito
della carovana anti-neoliberista, mentre quella di
Leiden è il server di molti attivisti europei). Ma di
qui si snoda ai circuiti verdi, consumeristi,
sindacali. Coinvolge i gruppi anarchici e
anarcosindacalisti (come gli antichi Iww, Industrial
Workers of the Wold, attivi dai primi decenni del
secolo, detti in gergo Wobblies e oggi dotati di una
efficiente rete internazionale di siti, - www.iwww.org
) ma anche i liberali radicali
di Libertarian (www.libertarian.org) che predicano
l'economia aperta e nata dal basso. Insieme, in
apparente stridore, con i laburisti inglesi
(www.labourstart.org ) e tutta la corrente che spinge
per il controllo pubblico, ovviamente dal basso, della
globalizzazione.
In un ecosistema spontaneo le contraddizioni sono
naturalmente inevitabili. Ma, dietro al "vento di
Seattle" che questa grossolana ricostruzione
centrata su internet ha almeno tentato di delineare
c'è, forse, il seme della politica di questo nuovo
secolo. Una politica di problemi, di punti
chiave. Quella che consente a un outsider repubblicano
come John McCain di crescere nei consensi durante la
sua inattesa corsa alle presidenziali Usa sotto la
bandiera alla lotta alle 2000mila e passa Lobbies che
stanno asfissiando la democrazia statunitense, e
impediscono l'autentico gioco democratico con le
comunità e i cittadini. E nel programma di questo
conservatore anomalo, almeno secondo i canoni del
reaganismo, c'è l'impegno a usare i surplus del
bilancio pubblico Usa non per gli sgravi fiscali
alle classi ricche (programma di Bush jr.) quanto per
finanziare pensioni sociali e riforma sanitaria. Alla
faccia del neoliberismo, e proprio da un esponente
del partito che lo ha inventato, nemmeno molti anni
fa.
E McCain, così, sposta verso di sé massicce quantità
di voti di "indipendenti", elettori che provengono sia
da destra che da sinistra, ma interessati a qualcosa
di nuovo, qualcosa per cui valga la pena almeno
di prendersi la briga di andare al seggio. Magari dopo
aver incontrato il candidato su Internet, in un gruppo
di discussione in cui davvero interveniva di persona
(come era massicciamente successo al suo predecessore
outsider Ventura, l'ex lottatore di wrestling
divenuto, con sorpresa generale, Governatore del
Minnesota).
E' la nuova politica che fa nascere e crescere in
Texas, stato storicamente conservatore, fenomeni come
Alliance for Democracy (www.afd-online.org) tribuna
del nuovo populismo made in Usa, che cerca di
unificare tutte le forze nate dal basso (di destra o
di sinistra, poco importa) contro il mondo dei
monopoli multinazionali, di una globalizzazione decisa
e guidata dai pochi, dei "cyberlords", degli
inavvicinabili padroni della rete.
Sono milioni di "formiche", spesso sperdute e molte
ancora confuse, che però stanno progressivamente
trovando nella rete il proprio cervello e braccio
comune. Tanto potente da aver incrinato, fin dalle
fondamenta, il progetto di un governo mondiale senza
di loro.
Certo. E' un ecosistema anche figlio anche delle paure
che attraversano la società americana. Innanzitutto
proprio a causa del diluvio di retorica sulla "new
economy". Da un lato il mercato che cresce impetuoso,
le famiglie che staccano grossi dividendi sulle azioni
internet del Nasdaq e si permettono qualche lusso. Ma
dall'altro le continue ristrutturazioni aziendali,
l'obsolescenza rapida di mestieri e professioni, il
gioco della "start-up" che non tutti possono
permettersi, la "corsa dei topi" dei workaholics della
Silicon Valley, le diseguaglianze, i perdenti, le
tecnologie che risparmiano lavoro, gli scenari (si
legga Distraction - in italiano Caos Usa - del
radicale e lucido Bruce Sterling) su un mondo
in prevalenza di senza lavoro, divenuti nomadi e che
si alimentano con cibo sintetico biotecnologico.
E' stato il massimo profeta di questo movimento,
l'osannato (e vituperato) Noam Chomski, che scrive su
uno dei principali siti della cultura alternativa Usa,
Z Magazine (www.zmag.org), a definire come "società
civile internazionale" questo fenomeno emergente di
opposizione, di critica, di controllo dal basso del
potere.
In realtà l'ecosistema alternativo di Internet, anche
se non manca di punti di riferimento visibili, è
perennemente allo stato magmatico, fluido,
apprenditivo. Può essere attratto anche da soggetti in
apparenza avversi, come è il caso di McCain, in nome
del richiamo a forme di democrazia più autentiche,
efficaci e allo stesso tempo più tradizionali.
La chiave, dopo questa lunga navigazione dentro
l'albero Web della Coalition (oltre 200 siti visitati)
appare però visibile, evidente, anche se mai
detta in chiaro. La possibilità e la voglia di
"prendere la parola", e di crescere e contare grazie
al nuovo sistema di comunicazione globale. Attivo e
bidirezionale.
Giuseppe Caravita
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Do You Yahoo!?
Talk to your friends online with Yahoo! Messenger.
http://im.yahoo.com