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conferenza dell'aja:un fallimento illuminante



dalla rivista del manifesto gennaio 2001

UN FALLIMENTO ILLUMINANTE
La conferenza dell Aja
Hermann Scheer


Tutti lamentano il fatto che la conferenza mondiale sul clima non abbia
prodotto risultati. In realtà non è questo il punto. A1 centro del
dibattito vi era comunque un falso tema: il commercio mondiale dei diritti
di emissione. Da quando si tengono conferenze mondiali sul clima, cioè dal
1992, si è sistematicamente ottenuto un unico risultato concreto:
1'aggiornamento in vista di una conferenza successiva. Così 1'Aja è stata
la sesta conferenza in otto anni, e il suo fallimento rivela ad un tempo
come il tanto declamato successo della conferenza di Kioto di tre anni fa
non fosse tale: interrogativi essenziali per la riconversione erano rimasti
da chiarire, tanto che è stato necessario allestire due ulteriori
conferenze, quella dello scorso autunno a Bonn e quella recente dell'Aja. E
anche se questi ultimi due appuntamenti si fossero conclusi con un
consenso, sarebbe rimasto comunque aperto il problema di come configurare
il commercio dei diritti di emissione, i controlli sugli abusi e i
meccanismi di sanzione. In ogni caso, dunque, sarebbero seguite altre
conferenze. Perciò è un bene che la conferenza dellAja sia fallita.
L'interrogativo di fondo è se questa serie di conferenze abbia ancora un
senso. Non sono forse diventate ormai uno strumento all'interno di quel
metodo che prevede una `discussione globale' seguita da un `rinvio
nazionale'? La protezione del clima attraverso un accordo intergovernativo
globale non è destinata necessariamente a trasformarsi in un corpo inerte
nei confronti di situazioni nazionali profondamente diverse sul piano
economico, politico, demografico, geografico ed ecologico? Un eventuale
risultato non finirebbe dunque per essere completamente annacquato oppure
trasformato in un mostro burocratico? La ricerca di un consenso generale
non e'forse politicamente ed economicamente naif? E ancora: 1'ordine del
giorno delle conferenze mondiali sul clima contìene le opzioni giuste,
quelle che dovrebbero essere dawero al cemro della trattativa?
Fin dall'inizio è valsa una falsa premessa: 1'idea che proteggere
attivamente il clima equivalga a un costo. I partecipanti alle conferenze
si sono via via sempre più invischiati in questa convinzione. Ciò ha
portato immediatamente a una disgustosa contrattazione per ripartire questo
peso. In questo processo di definizione dei costi è stata completamente
persa di vista 1'idea che la transizione verso produzioni di energia a
bassa emissione (efficienza energetica), o verso energie rinnovabili prive
di emissioni, possa essere una chance ecologica ed economica. Allo stesso
modo è stato del tutto dimenticato il fatto che le grandi catastrofi
ecologiche collegate all'uso dell'energia sono anche catastrofi economiche,
e ne accadono centinaia ogni anno.
La penosa lamentazione sui costi ha portato al fatto che i diplomatici e
gli scienziati del clima hanno cominciato a studiare meccanismi del tipo
`win-win': il commercio dei diritti di emissione. In questo modo le grandi
potenze del1'economia, anzitutto gli Stati Uniti, dovrebbero essere
motivate a muoversi in direzione della protezione del clima. L'attuale
ministro delle finanze statunitense Summers già nel 1991 aveva dichiarato
una disponibilità di principio in questo senso, illustrando una tesi
perversa: secondo il ministro il Terzo Mondo si presentava «scandalously
underpolluted» ed era dunque in grado di sopportare un aumento delle
emissioni.
Poiché attraverso tali meccanismi si riteneva possibile realizzare al più
presto un'efficienza globale nella protezione del clima - questa era la
motivazione economico-energetica - anche gli esperti di modellistica dei
diversi istituti per la tutela dell'ambiente finirono per abbracciare
questa impostazione. Il fatto che questa soluzione trovasse il favore dell'
`economia' sembrò confermare la correttezza di questa strategia consensuale
del tipo `all winner'.
Poi il processo di distribuzione dei costi è arrivato alla quadratura del
cerchio: quando si è inopportunamente tentato di proteggere íl clima
risparmiando contemporaneamente i maggiori responsabili del danno, cioè il
cuore del1'economia basata sull'energia fossile. Il fatto che gli
inquinatori particolarmente privi di scrupoli - negli Usa, in Canada e in
Australia - non si siano accontentati neppure di essere risparmiati in
questo modo, fa parte dell'ironia del fallimento.
Non è affatto vero che la situazione sarebbe migliore se gli Stati Uniti
non avessero bloccato tutto. Se infatti fosse stato effettivamente
stabilito - in vista di ulteriori conferenze - un commercio mondiale delle
emissioni, nel migliore dei casi in futuro avremmo avuto a che fare con
un'impostazione teoricamente regolata secondo I'economia di mercato, che
però in realtà con questa non ha nulla a che spartíre. Ciò avrebbe portato
a una sterzata globale nel campo degli investimenti, per finire con un
fallimento.
Proteggere attivamente il clima signífica sostituire 1'energia fossile
attraverso 1'uso di energie rinnovabili e attraverso tecniche di
efficíenza. Fare di ciò un sistema globale di compensazione può funzionare
forse come modello teorico cibernetico, ma non nella pratica. Un paragone:
se vent'anni fa, all'inizio dell'era della tecnologia informatica, fosse
stato affermato che, in considerazione di questa svolta epocale, i computer
potevano essere introdotti solo sulla base di una convenzione
internazionale, ci si sarebbe esposti al ridicolo. Ma è proprio questo che
si cerca di fare quando in gioco sono le nuove tecniche di utilizzo
dell'energia.
II balletto politico intorno al clima finora ha contribuito soltanto a
mandare in fumo un decennio prezioso. I vantaggi delle nuove tecniche
energetiche sono così forti che un accordo mondiale non sarebbe
necessariamente indispensabile, se finalmente si arrivasse a un
bilanciamento delle economie nazionali anziché orientarsi unicamente verso
gli interessi dell'economia del settore energetico. Tra i vantaggi di una
trasformazione di questo tipo vi sarebbero L'alleggerimento della bilancia
dei pagamenti per la componente relativa all'ímport di energia, la
costruzione di nuove industrie, 1'annullamento di incommensurabili danni
causati all'ambiente e alla salute, 1'effetto deterrente nei confronti di
conflitti internazionali sulle risorse.
Nel caso di tutte le altre tecnologie il principio è fare in fretta perché
ciò porta vantaggi da subito. Il fatto che questo venga dimenticato proprio
quando sono sul tappeto le tecnologie fondamentali per la soprawivenza,
rivela come la conferenza mondiale sul clima rimanga prigioniera, sotto il
profilo culturale, del sistema economico basato sulle energie fossili e
atomiche, cioè dí quel sistema che si troverà dalla parte degli sconfitti
al termine del processo di cambiamento energetico strutturale.
Le conferenze mondiali sul clima hanno senso solo se si limitano ad alcuni
obiettivi essenZiali formulati in modo universale, lasciando poi la
conversione ai governi dei singoli paesi. Le conferenze dovrebbero cioè
porre finalmente come tema 1'abbattimento delle sowenzioni alle energie
convenzionali, che annualmente ammontano a 300 milíardi di dollari. Le
conferenze dovrebbero puntare ad abolire I'esenzione fiscale globale per i
combustibili aerei e navali. L'espansione del traffico aereo è diventata un
killer del clima e le sowenzioni al commercio intercontinentale
rappresentano un'evidente aberrazione della competizione, che discrimina i
commerci regionali e provoca un inutile aumento del volume dei trasporti
con un enorme dispendio di energia.
Ma prima di tutto dovrebbe essere promosso il transfert di tecnologie non
commerciali a favore delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica
verso il Terzo Mondo, con 1'aiuto di un'agenzia internazionale. Per adesso
esiste solo 1'Agenzia internazionale per I'energia atomica. Le prioricà
della Banca Mondiale, che spende il 90% delle sue risorse creditizie per
investimenti nell'energia fossile, devono essere radicalmente riviste. Lo
stesso vale per le altre istituzioní bancarie legate allo sviluppo. La
riforestazione dovrebbe essere promossa su scala globale, ma non in luogo
della riduzione dell'emissione, quanto contemporaneamente. Ed è necessario
impedire un ulterìore disboscamento delle foreste tropicali legando la
concessione dei crediti a questa condizione. Tutti i punti qui indicati
potrebbero rappresentare 1'ordine del giorno adeguato per una conferenza
mondiale sul clima.

Hermann Scheer è membro della direzione Spd e Nobel per l Ambiente 1999.