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consumi prevedibili da nuovo millennio



dal manifesto di sabato 30 dicembre 2000

 Consumi prevedibili da nuovo millennio 
 MARINA FORTI 

Il fondatore del WorldWatch Institute di Washington, Lester Brown,
 sostiene che la "transizione energetica" è cominciata, anzi accelera: si
 riferisce al passaggio dai combustibili fossili (petrolio, gas naturale,
 carbone) alle fonti d'energia rinnovabili. Brown cita dati inconfutabili:
 nel 1999 l'uso del carbone - il combustibile che ha alimentato la
 rivoluzione industriale - è diminuito del 3%, quello del petrolio è
 aumentato solo dell'1% e il gas naturale (il meno inquinante tra i
 combustibili fossili) del 3%. Il nucleare, un tempo considerato l'energia
 "del futuro", l'anno scorso è aumentato dello 0,4%. Al contrario, la
 capacità di generare energia con l'eolico è aumentata del 39% e quella
 del solare del 30% (Lester Brown, Vital Signs 2000, ed. Ambiente). Il
 '99 dunque accelera una tendenza visibile e proiettabile nel futuro: i
 combustibili fossili declinano, le fonti rinnovabili crescono.
 Per tenere i piedi per terra però è bane guardare anche le cifre assolute
 e le proiezioni: e qui lo faremo con l'International Energy Agency (Iea,
 Agenzia internazionale per l'energia), che ha diffuso una sintesi
 esecutiva del suo rapporto biennale World Energy Outlook 2000 in
 occasione della fallita conferenza mondiale sul clima all'Aja, lo scorso
 novembre. L'Agenzia prevede che da qui al 2020 il consumo mondiale di
 energia aumenti al ritmo del 2% annuo (e si basa sull'ipotesi che la
 crescita economica mondiale si mantenga sul 3% annuo, circa come
 negli anni '90, che la crescita della popolazione rallenti, e che il prezzo
 del petrolio resti invariato in termini reali per i prossimi dieci anni (e
poi
 salga fino a 28 dollari per barile a denaro costante).
 Nel quadro dipinto dall'Agenzia che ha sede a Parigi, per i prossimi
 vent'anni i combustibili fossili continueranno a rappresentare il 90% del
 "mix" dell'energia primaria mondiale, cioè un po' più che nel 1997. In
 particolare, il petrolio mantiene una quota del 40%, circa pari a quella
 attuale, con una domanda mondiale di 115 milioni di barili al giorno nel
 2020, contro 75 nel 1997. Aumenta invece l'uso del gas naturale, a
 scapito del carbone: la prevedibile domanda di gas aumenta del 2,7%
 annuo, e la sua quota del "mix" passerà dal 22% di oggi al 26% nel
 2020. Tra dieci anni il gas avrà superato il carbone, la cui quota
 complessiva sarà scesa nel 2020 al 24% (contro il 26% attuale).
 Anche l'Agenzia mondiale per l'energia nota un rapido aumento delle
 fonti di energia rinnovabili: escludendo l'energia idroelettrica, fonti
 come il solare, geotermale, le biomasse, il vento o l'energia delle onde
 cresceranno in media attorno al 2,8% annuo nel prossimo ventennio. Ma
 questo le porterà a coprire appena tra il 2 e il 3% della domanda totale
 - secondo le previsioni dell'Iea. Naturalmente queste, come tutte le
 proiezioni, sono confutabili. Intanto però è su previsioni come queste
 che si basano le scelte presenti di politica energetica. L'Agenzia
 parigina fa notare, ad esempio, che è assai prevedibile un brusco
 aumento nel commercio internazionale di petrolio e gas, e che l'insieme
 del paesi Ocse (quelli industrializzati), insieme alle economie più
 dinamiche dell'Asia, devono aspettarsi una maggiore dipendenza da
 petrolio e gas importati.
 Per metterla nei termini di Lester Brown, insomma, la "transizione
 energetica" è da considerare una linea di tendenza, ma assai lenta.
 Guardiamo ad esempio l'Unione europea. Un documento di discussione
 (Green paper) diffuso dalla Commissione europea alla fine di novembre
 è passato per lo più inosservato: eppure parla proprio di previsioni e di
 politiche energetiche da qui al 2030, ed è tanto più importante perché
 rappresenta la prima revisione delle politiche energetiche europee dagli
 anni '70.
 L'Unione europea, prevede il documento della Commissione, continuerà
 nei prossimi trent'anni a dipendere da combustibili fossili; vedrà però
 scendere leggermente la parte del petrolio (dal 41 al 38%) e salire il
 gas naturale (al 29%, contro il 22% attuale). La Commissione considera
 anche l'energia nucleare (che scenderà al 6% dell'energia prodotta,
 contro il 15% attuale). E prevede per le fonti rinnovabili come il solare o
 l'eolico una quota dell'8%, contro il 6% attuale - a meno di interventi
 attivi per promuoverle. Le previsioni in questo caso sono anche una
 indicazione di volontà politica.
 Il Green paper descrive un'Europa in cui i trasporti restano la maggiore
 voce del consumo di petrolio: oggi il trasporto su strada in particolare
 rappresenta quasi la metà (47%) del consumo petrolifero, contro il 18%
 nel 1973. Ovviamente è questa anche la fonte di emissioni di anidride
 carbonica in crescita più rapida (oggi il 26%, cioè oltre un quarto delle
 emissioni di gas di serra dell'Unione viene dai trasporti).
 La commissaria europea all'energia e trasporti, Loyola de Palacio,
 sottolinea due priorità urgenti: tagliare le emissioni di gas di serra
 responsabili del riscaldamento dell'atmosfera terrestre (né potrebbe
 essere altrimenti, dopo aver fatto la parte dei paladini del clima alla
 conferenza dell'Aja) e affrontare la prevedibile maggiore dipendenza da
 gas e petrolio importati.
 La battaglia per il clima si gioca sui combustibili fossili, e qui il
 documento europeo propone: a) politiche attive per promuovere il
 risparmio e l'efficienza energetica dal lato del consumo, e incentivi per
 l'uso di fonti "pulite"; b) politiche dei trasporti per "razionalizzare"
l'uso
 dell'auto privata e incentivare i trasporti collettivi e i mezzi su
rotaie; c)
 investimenti nelle fonti rinnovabili (solare, eolico, onde etc), per farle
 passare dal 6 al 12% del bilancio attuale (e dal 14 al 22% della
 produzione di energia elettrica) entro il 2010: un obiettivo ambizioso,
 per come stanno le cose oggi.
 Quanto alla dipendenza da combustibili importati, il Green paper si
 preoccupa soprattutto di ridurre i rischi collegati. Va notato che la
 dipendenza da importazioni di petrolio e gas, per l'insieme dell'Unione,
 è scesa dal 60% del 1973 al 50% dell'anno scorso, ma la Commissione
 prevede ora una tendenza opposta: e potrebbe arrivare al 70% nel
 2030. Il principale motivo è la graduale sostituzione del carbone (e del
 nucleare) con il gas, che tra trent'anni dovrebbe produrre quasi metà
 dell'energia elettrica europea. Anche per questo, la Commissione spera
 di sganciare il prezzo del gas da quello del petrolio (finora sono stati
 legati soprattutto perché le due fonti sono sostituibili). Il primo e
 maggiore rischio legato alla dipendenza infatti è ben quello delle
 oscillazioni del prezzo. Dunque la Commissione propone di aumentare le
 riserve petrolifere (attualmente calcolate in 90 giorni di fabbrisogno)
 con stock aggiuntivi da mettere sul mercato all'occorrenza in funzione
 "anti-speculativa". E spera di tenere il suo principale fornitore di gas,
 cioè la Russia (che assicura il 41% delle importazioni europee di gas e il
 18% di quelle di petrolio), ben ancorata all'"amichevole abbraccio" di
 una politica di cooperazione e scambi a lungo termine. Per questo è
 stato creato un "gruppo di lavoro" comune presieduto dal direttore
 generale dell'Ue per l'energia e i trasporti, François Lamoureux, e da un
 vicepremier russo.
 Tra le raccomandazioni del documento europeo una è destinata a
 suscitare polemiche: quella di mantenere aperta l'opzione nucleare per
 tagliare le emissioni di gas di serra. Eppure cinque degli 8 stati europei
 che hanno capacità nucleare hanno adottato la moratoria sulla sua
 espansione, e degli altri tre solo la Finlandia discute di costruire un
 nuovo reattore nei prossimi anni. E sembra ridicolo che la Commissione
 europea suggerisca di non poter rispettare il suo obiettivo di riduzione
 delle emissioni senza risuscitare una fonte d'energia moribonda...