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l'aja: la vittoria del business sull'ambiente



dalla repubblica di domenica 26 novembre 2000

                      LA VITTORIA DEL BUSINESS 

                               di ANTONIO POLITO 

                     CI sono due sostanze che volano sul globo
                     senza curarsi delle frontiere: i soldi e i gas. I
                     soldi viaggiano lungo i cavi telefonici che
                     collegano le Borse, i gas attraverso l'atmosfera.
                     Il flusso dei soldi può essere governato dalla
                     mano invisibile del mercato. Il flusso dei gas no.
                     Il fallimento della conferenza dell'Aja è il
                     suggello più eloquente alla grande
                     contraddizione del secolo che si è appena
                     aperto. 

                     VIVIAMO in un mondo globalizzato, ne traiamo
                     benefici e disastri globali, ma non esiste un
                     governo globale in grado di distribuire i primi e
                     limitare i secondi. Sappiamo - perché ce lo
                     dicono gli scienziati - che di questo passo
                     anidride carbonica, metano e ossido di azoto
                     formeranno una cappa capace di imprigionare il
                     calore e di elevare la temperatura della Terra tra i
                     3,4 e i 6,7 gradi centigradi per la fine del secolo.
                     Immaginiamo gli effetti disastrosi che ne
                     possono derivare: tempeste di pioggia,
                     innalzamento dei mari, scioglimento dei ghiacci
                     polari. Crediamo perfino di avere assistito a una
                     prova generale del clima prossimo venturo in
                     questo autunno "horribilis" dell'Europa, passato
                     con l'acqua alla gola. Ma se l'Onu mette 180
                     nazioni intorno a un tavolo per cominciare ad
                     affrontare concretamente il problema, il risultato
                     non è la nascita di un governo globale
                     dell'ambiente, ma la lite, l'ostinato egoismo degli
                     interessi nazionali, e il fallimento.
                     Il cuore del problema, come spesso accade di
                     questi tempi, è l'America. Con il 4% della
                     popolazione mondiale, emette nell'atmosfera il
                     25% dei gas dell'effetto serra. Come ha
                     ricordato con un certo compiacimento Chirac,
                     ogni cittadino statunitense inquina tre volte di
                     più di un cittadino francese.
                     Per cultura liberista e per rispetto sacrale del
                     business, il governo di Washington non intende
                     imporre alla sua industria e ai suoi cittadini una
                     riconversione del modello di sviluppo e delle
                     fonti di energia, che sarebbe costosa e faticosa.
                     Trascinati da Clinton e soprattutto da Gore a
                     firmare il patto di Kyoto, gli americani
                     vorrebbero ora cavarsela con un compromesso,
                     pragmatico e di mercato. Non calcolate solo
                     quanti gas emettiamo - hanno chiesto agli
                     europei - ma sottraete tutta l'anidride carbonica
                     che le nostre foreste e il verde della nostra
                     agricoltura assorbono, come un gigantesco
                     lavandino. E, visto che si tratta di raggiungere
                     una riduzione globale delle emissioni del 5%,
                     consentiteci di commerciare i veleni: compriamo
                     noi le quote di anidride carbonica dai paesi che
                     le riducono, così cambiando l'ordine degli
                     addendi la somma non cambia. Se fosse passata
                     questa proposta, gli Stati Uniti sarebbero restati
                     nei limiti previsti dagli accordi senza intaccare
                     sostanzialmente il loro modo di produrre e di
                     consumare. L'Italia, molto meno inquinante,
                     invece no. L'Europa non è stata al gioco e,
                     dopo una notte drammatica di trattative, quando
                     un'intesa sembrava a portata di mano, ha fatto
                     saltare il tavolo.
                     C'è stato sicuramente un eccesso di zelo
                     europeo. E' chiaro che la Francia, che ha la
                     presidenza semestrale della Ue, è andata all'Aja
                     determinata a fare del clima il terreno di una
                     battaglia culturale e politica più ampia, diretta
                     contro l'egemonia globale americana. Chirac ha
                     usato parole di fuoco, accusando esplicitamente
                     gli Stati Uniti di essere i responsabili dell'effetto
                     serra. Il suo intervento non ha certo
                     ammorbidito Washington. Nella notte, quando
                     gli inglesi e gli ospiti olandesi erano convinti di
                     aver moderato la posizione americana, è stata la
                     Francia a radicalizzare la posizione europea e a
                     respingere il compromesso. Si può certamente
                     discutere della tattica negoziale, ma stavolta
                     l'Europa ha avuto ragione.
                     Se fossero passati gli "sconti" proposti dagli
                     americani, la riduzione globale di emissione di
                     gas-serra sarebbe stata intorno al tre per cento.
                     Per capire la scala del problema, basta dire che
                     gli esperti dell'Onu ritengono essenziale un
                     risultato finale del 60%. Il danno arrecato
                     all'ambiente è infatti già immane: c'è già oggi
                     nell'atmosfera "una quantità di anidride
                     carbonica superiore a quante ce ne sia stata
                     negli ultimi 420mila anni". I paesi del Terzo
                     Mondo ne pagano le conseguenze in misura ben
                     più drammatica di noi occidentali, perché non
                     hanno i mezzi per fronteggiare un'emergenza
                     causata da altri. Un'inondazione nel Bangladesh
                     fa più danni e più morti che un'alluvione in Val
                     d'Aosta. Come ha detto il ministro della Nigeria,
                     portaparola del gruppo dei 77 paesi in via di
                     sviluppo, "loro hanno i soldi, loro hanno creato
                     il prolema, loro devono risolverlo".
                     Da questo punto di vista, molti avrebbero
                     preferito un accordo di basso profilo piuttosto
                     che nessun accordo. In fin dei conti, in materie
                     così delicate, meglio cominciare un po' alla
                     volta che non cominciare affatto. Se non si
                     riesce a chiudere un accordo ora, con
                     l'ambientalista Gore ancora alla Casa Bianca,
                     che succederà se vince il petroliere Bush?
                     Ma il fallimento dell'Aja non si lascia dietro solo
                     macerie. La consapevolezza delle opinioni
                     pubbliche sta crescendo. La democrazia dei
                     consumatori comincia a funzionare. Le grandi
                     "corporation" americane, che dopo Kyoto
                     spesero tredici milioni di dollari in una
                     campagna di lobbying tesa a sostenere che gli
                     scienziati esageravano e che avrebbero avuto il
                     solo risultato di far schizzare il prezzo della
                     benzina, stanno cambiando tattica.
                     Per difendere i profitti, si vestono di verde,
                     riconvertono le loro produzioni. La Bp, British
                     Petroleum, ha cambiato nome nei manifesti
                     pubblicitari: si chiama sempre Bp, ma sta per
                     "beyond petroleum", oltre il petrolio. La Du
                     Pont ha dimezzato le sue emissioni di anidride
                     carbonica in dieci anni.
                     Il grande nodo del Duemila è la solitudine della
                     superpotenza americana. Perché ci sono cose
                     che neanche l'America può fare da sola. E'
                     significativo che la presidenza Clinton si chiuda
                     con il fallimento di due grandi utopie: la pace in
                     Medio Oriente e l'accordo sull'ambiente.
                     L'insuccesso dell'Aja è forse il primo effetto
                     globale del vuoto di potere alla Casa Bianca.
                     L'Europa ha il dovere di aiutare l'America a
                     essere un po' meno sola. Il pianeta Terra, in fin
                     dei conti, è il condominio dove viviamo tutti. Il
                     battito d'ali di una farfalla in Florida, può
                     trasformarsi in una catastrofe ecologica nel
                     Sussex. Esiste un diritto globale all'ambiente.
                     Serve un governo globale dell'ambiente.