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dissesto:italia a orologeria



da modus novembre 2000

L'ITALIA A OROLOGERIA
di gianfranco raffaelli e marcello volpato

milioni di persone in italia rischiano ogni giorno di perdere la vita per
la possibilita' di terremoti, eruzioni vulcaniche e alluvioni. Mentre le
mappe della pericolosita' sono ormai disponibili e i sistemi di allarme
forse iniziano a funzionare, nessuno ha il coraggio di affrontare le
profonde e impopolari modificazioni della gestione del territorio che
sarebbero necessarie. In queste pagine la situazione dei rischi geologici
del nostro paese e le zono sorvegliate speciali.

Le immagini televisive della volta della chiesa di San Francesco ad Assisi,
che cade inghiottendo anche un frate, molti le ricordano ancora. Era
mattina presto, le 2 e 33 del 26 settembre 1997 , quando la terra unmbra
comincio' a tremare. L'epicentro delle due scosse piu' intense che misero
in ginocchio interi paesi , fu in prossimita' di Colfiorito, una frazione
di Foligno. Ne seguirono altre 70. Le scosse piu' micidiali, tra il 7° e il
9° grado della scala Mercalli, si registrarono alle 2 e 33, alle 11 e 46. I
terremoti in Italia, sono una possibilita' concreta, con la quale bisogna
convivere dandosi da fare soprattutto sui terreni della previsione e della
prevenzione. Il servizio sismico nazionale ha recentemente elaborato la
mappa della sismicita' del territorio nazionale delineando anche la scala
di pericolosita', che aiuta a definire dove e con quale intensita' possano
avvenire i terremoti. In base a questa ricerca emerge che le aree piu' a
rischio sono quella friulana, l'intera catena appenninica centro
meridionale,l'arco calabrese. Grazie a studi e rilevazioni, comincia a
emergere la sismicita' in altre aree come la Garfagnana-Lunigiana, in
Toscana, e la sicilia orientale.

LO STIVALE CHE TREMA

La situazione complessiva dell'Italia indica che nel 64% dei comuni
italiani piu' del 10% del patrimonio abitativo appartiene alla classe di
vulnerabilita' piu' elevata. Nel 31% dei comuni italiani piu' del 10% delle
abitazioni per ciascun comune potrebbero essere distrutte o danneggiate da
terremoti nei prossimi 100 anni. Infine, in circa il 22% dei comuni
italiani piu' di 50 persone, per ogni comune, potrebbero essere coinvolte,
sempre nei prossimi cento anni, in crolli di abitazioni prodotti da eventi
sismici. Umbria, Irpinia,Calabria e Sicilia orientale sono comunque le tre
macro aree dove si concentrano le citta' piu' a rischio, non solo per la
sismicita' del terreno ma anche per la densita' abitativa e per il fragile
patrimonio edilizio, spesso abusivo.
E' qui che , avendo a disposizione un cospicuo gruzzoletto , bisognerebbe
intervenire urgentemente per realizzare quegli interventi di adeguamento
previsti dalla legge ma poco applicati finora nel nostro paese. Per
adeguamento si intendono le misure che devono portare la resistenza di
edifici vecchi o antichi - si pensi ai borghi medievali distrutti in Umbria
nel '97 - uguale a quella delle nuove costruzioni. Interventi necessari
soprattutto nelle aree dell'Appennino centrale continuamente sottoposte a
scosse sismiche frequenti anche se spesso di intensita' non tanto elevata
come invece e' piu' provabile che accada in Irpinia, in Calabria e nella
Sicilia orientale, dove gli ultimi terremoti sono sempre attestati intorno
al decimo grado della scala Mercalli. L'area dell'Appennino
umbro-marchigiano e' caratterizzata da una sismicita' frequente e diffusa,
che si manifesta in periodi di intensa attivita' che possono durare anche
molte settimane.-La mappa della sismicita' dell'area e' consultabile al
sito www.ingrm.it/rms/umbmar-.
E' questa una delle aree in cui l'attenzione e' molto alta. Tra gli eventi
da ricordare, quello a cavallo tra il 1831 e 1832 nella Valle del Topino,
che fece registrare scosse fino al 9° grado della scala Mercalli e quello
di Gubbio, nel 1984, caratterizzato da una sequenza di scosse che duro' due
mesi e che arrivo' a toccare l'8° grado della scala Mercalli. Nonostante i
rischi, le leggi, gli orientamenti comunitari, sono pero' ancora pochi i
soldi spesi per interventi che possano permettere di contenere i danni
economici - cioe' alle cose - ma soprattutto alle persone. Qualche passo in
avanti si sta facendo, ma si puo' ricordare che per la ricostruzione della
Sicilia orientale, in seguito al terremoto della Val di Noto del 1990, sono
stati stanziati solo poche settimane fa i primi 230 miliardi.
E i migliori rimedi,sarebbero, come al solito, la prevenzione e una piu'
puntuale informazione ai cittadini e alle amministrazioni locali:" In
Italia non mancano le leggi - dice Fabio Sabetta del Servizio Sismico
Nazionale, organismo che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri
- devono fare breccia i criteri di adeguamento e miglioramento degli
edifici a rischio, cosi' come prevede la normativa. Spesso si bada piu'
all'estetica degli edifici e non ai criteri di costruzione, di resistenza".
L'atteggiamento piu' frequente e' quello insomma di disinteressarsi
dell'aspetto sicurezza; tanto poi, se c'e' il terremoto e se lo si scampa,
arrivano dallo stato i soliti finanziamenti. Una tendenza che sarebbe bene
invertire: "Serve piu' informazione e come servizio ci siamo gia' attivati
in questo senso realizzando diverse campagne di sesibilizzazione".
Un importante elemento di valutazione riguarda la comprensione e la
previsione dei danni a uomini e beni. Si tratta di una stima del rischio
atteso nelle zone piu' sensibili. La stima dei danni medi annui alle
abitazioni e' complessivamente di 1358 crolli totali, di 13 mila danni
gravi e di 115mila danni medi. In base ad un costo medio di ricostruzione
il Servizio sismico nazionale calcola una stima delle perdite di circa
2mila miliardi l'anno. Previsioni sono state fatte anche per capire il
numero di vittime che ci si deve attendere dai terremoti. La metodologia
adottata fa concludere ai ricercatori che sarebbero 3300 all'anno le
persone coinvolte in crolli di abitazioni in seguito a scosse e eventi
sismici, cifra da cui si desume un numero di circa 800-1000 decessi/anno.
Una previsione che non si discosta molto dalla realta'. Dall'analisi dei
decessi avvenuti in Italia per terremoti dai primi dell'Ottocento fino al
1980 si rileva un totale di 149mila morti in 175 anni, cifra complessiva
che corrisponde ad una media di 850 decessi all'anno. Il numero di morti
atteso e' funzione anche della densita' abitativa e in base a questa
considerazione risultano piu' a rischio i comuni del centro e alcune grandi
citta' del sud, nelle quali nei prossimi 100 anni si attendono valori
massimi di 2-5mila persone coinvolte in crolli di abitazioni provocate da
scosse telluriche.
Il numero delle vittime stimate dipende anche dai criteri di ricostruzione
in occasione di eventi sismici: ad esempio nella zona di Reggio Calabria e
Messina in occasione di un terremoto del decimo grado della scala Mercalli
si avrebbero dalle 20 alle 40mila vittime. Nel 1908 furono invece 85mila.
Sostanzialmente identica, invece, la situazione in Irpinia. Se si dovesse
ripetere il terremoto il numero delle vittime atteso oscillerebbe tra le
2mila e le 4mila. Nel 1980 furono 2600 circa.
Fare previsioni, studiare sismicita' e vulnerabilita' delle aree risulta
indispensabile per poter sapere a che cosa si va in contro in occasione di
eventi drammatici come i terremoti. Il confronto tra i danni previsti dal
governo in occasione del terremoto dell'Irpinia e i danni effettivamente
avvenuti, e'una dimostrazione di come sia urgente un monitoraggio piu'
preciso. Allora risulto' combaciare solo il numero di morti e feriti. Ben
piu' alto fu invece il numero dei senzatetto: 104mila previsti contro i
quasi 400mila rimasti effettivamente senza casa; e delle abitazioni
crollate o danneggiate: 235mila la cifra attesa contro il quasi mezzo
milione di case distrutte. Il lavoro condotto dal Servizio sismico
nazionale risulta insomma indispensabile per migliorare sempre piu' un
sistema di previsione e di interventi in caso di necessita'. I sistemi di
analisi oggi hanno confinato l'errore o l'approssimazione all'interno del
40%, "valore che risulta accettabile per una prima stima nazionale", si
legge nei documenti del Servizio.
Cero, bisogna fare di piu:Per tracciare una prima mappa della
vulnerabilita' delle abitazioni - dice ancora Fabetta - abbiamo fatto
riferimento ai dati Istat del'91, poco esaurienti. Per averli piu' precisi
stiamo costruendo un campione significativo di comuni italiani nei quali
abbiamo awiato la rilevazione edificio per edificio delle caratteristiche
degli immobili. Un lavoro importante finanziato nell'ambito dei lavori
socialmente utili che ci permetterà di migliorare stime e previsioni".

L'Italia dei crateri

"Sulla terra ci sono 5-600 vulcani attivi. Si tratta di un fenomeno
normale, che caratterizza la storia del pianeta e anche quella dell'uomo.
L'uomo però sbaglia di grosso e mette a rischio la sua stessa sopravvivenza
quando non tiene conto dei vulcani, costruendo intere città in aree a
rischio". Queste le parole di Enzo Boschi, direttore dell'Istituto
nazionale di Geofisica. Parole severe che mettono sotto accusa decenni di
menefreghismo di fronte al rischio possibile e concreto che nel nostro
paese corrono milioni di persone. "Intorno al Vesuvio e ai Campi Flegrei
più di un milione di persone sono a rischio, - ammonisce Boschi -
bisognerebbe togliere tutte le case e fare un grande parco. Solo così
saremmo sicuri. Si tratta di una scelta forte e non so chi avrebbe il
coraggio di prenderla". Lo sviluppo del tessuto urbano di Napoli -
caratterizzato da una dissennata attività edilizia, spesso, ma non sempre,
abusiva - si è esteso senza soluzione di continuità fino alle pendici del
complesso vulcanico, ripetendo così 1'errore fatale degli abitanti di
Ercolano, Pompei e Stabia, sepolti nel 79 d.C. dai prodotti di ricaduta del
Vesuvio.
Dopo 1'area vesuviana, viene sicuramente 1'isola di Vulcano. "È poco
popolata-continua Boschi-ma in estate ci sono tra i 20 e i 30mila turisti.
Il rischio di esplosione esiste ed è concreto. I piani di evacuazione della
popolazione sono pronti ma è difficile evacuare dall'oggi al domanì così
tante personé'. In eFfetti soprattutto per i problemi di collegamento
l'operazione potrebbe essere quasi una missione impossibile. Oggi i tecnici
che tengono sotto controllo i vulcani sono in grado di dare 1'allarme con
15/20 giorni di anticipo, assicura Boschi, anche se c'è il rischio di venir
smentiti dopo pochi giorni. La Protezione civile è comunque impegnata in un
monitoraggio 24 ore su 24.
L'altro grande gigante da tenere in debita considerazione è 1'Etna. Qui il
rischio per le popolazionì esiste ma è molto minore rispetto ai vulcani
esplosivi dell'area vesuviana e dell'isola di Vulcano. Le colate di lava,
che formano quei lunghi serpentoni roventi che spesso si vedono in tv, sono
fenomeni prevedibili con largo anticìpo e le persone che abitano nella
zona, in caso di allarme, hanno di solito il tempo per potersi mettere al
sicuro.

L'area vesuviana

La ricerca vulcanologica italiana ha consentito negli ultimi anni di
determinare nell'area del wlcano del Vesuvio "1'evento massimo possibile'
al quale uniformare i piani di sviluppo territoriale a lungo termine e
"1'evento massimo atteso a breve - medio termine" (nei prossimi 10-20
anni), sul cui scenario basare i piani di protezione civile . Attraverso
complessi modelli matematici, oggi sono prevedibili i possibili effetti
dell'evento vvlcanico, come l'intensità dell'eruzione, la sequenza degli
eventi, le dimensioni delle zone colpite e gli effetti sulle popolazioni e
sugli edifici. Secondo caute stime del Gruppo nazionale per la  wlcanologia
del Cnr, nel Napoletano oltre un milione di persone sono esposte al rischio
vulcanico, principale rischio geologico in tutta la regione.
Il Vesuvio e i Campi Flegrei sono vulcani ad attivita'esplosiva e le
eruzioni sono caratterizzate da esplosioni violente di nubi di vapore e di
gas cariche di frammenti incandescenti e di materiali solidi.Rispetto ai
vulcani effusivi, come 1'Etna, che emettono colate laviche che che
producono danni ingenti ma che non mettono in  pericolo le popolazioni, nei
wlcani esplosivi I'unica difesa possibile è 1'immediata evacuazione delle
popolazioni. Il Vesuvio è considerato dai wlcanoloai come il vulcano piu' a
rischio d'Europa, anche se attualmente in fase di riposo. Negli ultimi tre
secoli 1'attività è stata molto modesta.L'evento più recente risale al
1944. Attualmente 1'elemento che crea più preoccupazione è 1'ostruzione del
condotto, condizione in cui il magma si gas acquistando maggior capacità
esplosiva. L'attuale fase di riposo  veIrà prima o poi interrotta da
un'ecuzione che sara' tanto più volenta quanto più si farà attendere.

I Campi Flegrei

La zona vulcanica dei Campi Flegrei ha una storia complessa. L'ultima
erurione del 1538, a Monte Nuovo, e' avvenuta dopo circa 3000 anni di
quiete del vulcano. L'area storicamente è stata interessata da decine di
cicli eruttivi il più celebre dei quali è stato 1'enorme espansione
dell'ignimbrite campana di 35.000 anni fà. Negli ultimi 20 anni si sono
registrati due eventi preoccupanti nel 1970 1983-84. I Campi Flegrei hanno
le stesse caratteristiche vulcanismo esplosivo e di pericolosita del Vesuvio.
La pericolosità attuale è legata alla persistente attivitas' del vulcano
testimoniata dalle vistose manifestazioni termali, dai terremoti e
soprattutto dal bradisismo, fenomeno di sollevamento e abbassamento del
suolo. Quest'ultimo fenomeno dal 1968 al 1985 ha comportato un innalzamento
di oltre tre metri, Dal gennaio 1985 il movimento si è invertito e la crisi
è regredita. Ora la situazione è tranquilla, ma in caso di risveglio si
potrebbe verificare un evento simile a quello del 1538 che metterebbe in
serio pericolo oltre 200mi1a persone. Negli ultimi tempi la sorveglianza
sta migliorando. Dopo I'84 le autorità pubbliche hanno deciso di sfoltire
il centro storico di Pozzuoli, creando nuovi alloggi in zone più sicure

Un vulcano marino

Marsili, di fronte alla Campania, nelle profondità del	Tirreno, nel tratto
di mare tra Salerno a Cefalù, si innalza	per tremila metri un altro wlcano
attivo: si chiama Marsili ed è stato oggetto di studio del Cnr per diverso
tempo. II	 wlcano è attivo, di tipo esplosivo e imprevedibile come i
vulcani colleghi di superficie. I'unica differenza è che la cima	di Marsili
dista 500 metri dalla superFicie, Il vulcano è lungo 65 chilometri, largo
40 e ha due vulcani satelliti, Alcione e Lametini
Un' eventuale esplosione del Marsili potrebbe causare	per le popolazioni.
un maremoto, un'onda d'urto capace di raggiungere le coste delle Eolie,
della Calabria, della Campania. Un po' come awiene con lo tsunami,1'immensa
onda anomala	che ogni tanto flagella le coste del Giappone e
dell'indonesia. Il Cnr assicura però che non è il caso di allarmarsi più di
tanto ma conferma che il livello di pericolosità e di imprevedibilità è
identico a quello del Vesuvio o di Vulcano. I'attività del Marsili è stata
rilevata dal Cnr nell'ambito di un progetto che sta passando al setaccio le
acque del Tirreno, un mare geologicamente giovane e che per questo è molto
instabile, in continua evoluzione.

Vulcano

Fu nel 1891 che Mercalli definì per la prima volta 1'eruzione di tipo
vulcaniano rifacendosi proprio alle caratteristiche dell'eruzione di
Vulcano del 1888-1890. Come descritto da Mercalli 1'eruzione di tipo
"vulcaniano" è caratterizzata soltanto dalla rimozione, in seguito ad
un'esplosione, del tappo craterico e della conseguente emissione di bombe e
scorie, accompagnata dalla formazione di una scura nube piena di cenere.
Potrebbe accadere ancora? I tecnici dicono di sì e la prova è recente.
Una perforazione eseguita dall'Agip per la ricerca geotermica, ha rilevato
infatti la presenza di un corpo alla temperatura di oltre 400 gradi
centigradi alla profondità di circa 1000 metri sotto il cratere de La
Fossa. Questa scoperta, associata ai terremoti di origine molto
superficiale che si verificano spesso sull'isola, fanno supporre ai
vulcanologi 1'esistenza di un corpo magmatico molto superFiciale pronto ad
uscire con un'esplosione, anche se al momento i tecnici assicurano che
1'energia non è ancora sufficiente per spingere fuori "il tappo". Ma se
all'interno si verificasse un aumento di pressione causato ad esempio dal
contatto con acqua marina, o se l'ostruzione del condotto si indebolisse a
causa anche dell'attività delle fumarole; allora potrebbe verificarsi una
nuova eruzione esplosiva. In questo caso, affermano i tecnici, il rischio
sarebbe altissimo, soprattutto nel periodo turistico. Il centro urbano di
Porto è infatti molto vicino. Il territorio in seguito ad eventi vulcanici
potrebbe inoltre franare: in questo modo dal terreno si sprigionerebbero
gas tossici.

L'Etna

I'Etna, a differenza dei wlcani esplosivi, è caratterizzato da colate di
lava molto fluida che fuoriesce dai lati e dai crateri situati in alta e
bassa quota. I crateri sono i più pericolosi perché più vicini ai centri
abitati, soprattutto nei settori meridionale e orientale dell'Etna. La
colata di solito procede ad alte velocità. II Rischio consiste nella
possibilità di certe colate di arrivare ai centri abitati e alle campagne
coltivate. Si conosce 1'invasione delle lave a Catania del XVII secolo.
Il controllo dell'Etna al momento è affidato all'Istituto Internazionale di
vulcanologia di Catania. Questo in attesa che parta il "Poseidori', un
sistema di sorveglianza dei vulcani attivi e della sismicità della Sicilia
orientale, istituito dal Dipartimento della protezione civile. Nel 1983 e
nel 1992 sono stati realizzati degli interventi per deviare le colate
laviche per evitare 1'impatto in zone abitate o coltivate. I risultati sono
stati abbastanza confortanti. Imponendo alle colate percorsi più lunghi è
stata diminuita la velocità ed è stata aumentata la capacità di
raffreddamento delle colate.

L'ultima alluvione

L'alluvione di ottobre, la più grave di sempre per la portata d'acqua,
sicuramente una delle più estese della storia (in pratica un terzo della
penisola) è solo 1'ultima, mostruosa "reazione allergica" di un territorio
sempre più malato. "Pioggia eccezionale, ma 1'emergenza è scattata a tempo"
è, in sintesi, la posizione del Governo. Ma se i fenomeni atmosferici
estremi, come ripetono molti meteorologi, diventeranno la regola, sotto il
cielo del buco nell'ozono senza più "mezze stagioni"? E se nessuno si
preoccupa di un territorio sempre più compromesso, come evitare che alla
prossima alluvione bastino per scattare anche la metà, o un quarto
dell'acqua piovuta nell'ottobre "nero"? Poco tempo fa il ministero
dell'Ambiente ha stanziato "per la messa in sicurezza delle aree a rischio
idrogeologico" poco più di 800 miliardi.
Solo per "risistemare" il Po, il ministro dei lavori pubblici Nesi, stimava
a fine ottobre una spesa di centomila miliardi. 317 sono invece i miliardi
stanziati per un programma degli interventi idroviari che piace a
pochissime associazioni ambientaliste. Infine,1'88% dei 3.890 miliardi
investiti sul Po finivano in "interventi straordinari a seguito di eventi
calamitosi"; alla "programmazione ordinaria" (manutenzione e prevenzione
insomma), solo briciole. In questa serie di inconguenze c'è tutta
1'emergenza di una scarsa politica ambientale. In un'Italia in cui il 45%
dei comuni- 3671 -è a rischio idrogeologico ( 14,5% "rischio molto
elevato", 30,8% "elevato") e dove negli ultimi 80 anni ci sono state oltre
5.400 alluvioni e 11.000 frane (30.000 miliardi di danni dal 1980 al 99).
In cui ogni anno vengono urbanizzati 50.000 nuovi ettari di terreno. In cui
i prelievi abusivi di inerti nei fiumi - ricordava il verde Sauro Turroni -
sono 10 volte di più di quelli autorizzati. In cui i fiumi continuano ad
essere canalizzati, cementificati, inscatolati ("tra 1985 e `88, solo in
Val D'Aosta, ci furono oltre 200 intementi di disalveo, arginatura,
selciatura, anche ad altissima quota", ricorda ancora Turroni).
Nella mappa dei fenomeni erosivi dell'Agenzia europea per 1'ambiente
1'Italia è cosparsa di macchie nere: la pianura Padana, la Liguria, il nord
Sicilia,1'appennino centrale, la Calabria... Tutte zone in cui il fenomeno,
dicono gli esperti di Bruxelles, è destinato ad aumentare ulteriormente. Un
fenomeno dalle molte cause, diverse e antiche. Una ricerca di
Legambiente-Confcommercio, ultimamente, ne ha citata una mai abbastanza
sottolineata:1'abbandono delle montagne, 2.830 piccole comunità montane a
rischio d'estinzione per calo demografico. Un'altra 1'ha sottolineata,
all'indomani di un'alluvione che ha messo in ginocchio il settore, la
Coldiretti: in Italia continua a diminuire il territorio coltivato. Il
risultato è sempre quello, scarso controllo del territorio, fiumi intasati
di detriti, boschi mal tenuti sempre più a rischio incendi e un generale
"vuotó" territoriale che diventa far west dell'abusivismo edilizio, le
discariche e le cave irregolari, il fenomeno della diga selvaggia. E tutto
quello che awiene in Italia in uno spazio abbandonato a sé stesso. Tra i
tanti epicentri del degrado del territorio nazionale, ne abbiamo scelti, a
titolo puramente esemplificativo, due.
~/ CALABRIA . La regione Calabria-un sistema prevalentemente montuoso con
violente pendenze dirette al mare-è un compendio di tutti i più gravi
problemi del territorio. Una situazione ben rappresentata dalla tragedia di
Soverato. Suo è sicuramente il record nel deficit di pianificazione. La
Regione è stata commissariata nel 1999 per non aver ancora definito il
piano paesistico regionale a 14 anni dalla Legge Galasso. Nessuna delle
province ha ancora un piano territoriale di coordinamento approvato, solo
122 comuni su 410 hanno un piano regolatore. Risultato: 168 comuni sono a
rischio idrogeologico, 26 ad elevato rischio ambientale, equivalenti
all'82,5% del territorio. Una mappa comunque incompleta, tanto che, ad
esempio, Soverato non c'era. Campania e Calabria sono le due regioni
italiane che hanno subito il maggior numero di frane e alluvioni con 1.773
aree colpite. Il 4,27 % del territorio è stato interessato più volte da
fenomeni idrogeologici. La Calabria è anche il cuore dell'Italia abusiva.
462.000 metri quadri di immobili irregolari, per un valore di 416 miliardi
(quarto posto nazionale). E poi gli incendi: nel 2000 sono stati 1.540,
13.439 ettari in fumo, di cui 8.472 di bosco. La prossima catastrofe? Un
rapporto di Legambiente nomina la foce del fiume Novito, dove due enormi
discariche ostruiscono buona parte dell'alveo in una zona indicata come
area di esondazione. Poco lontano, sorgono Locri e Siderno. Ma è solo un
possibile esempio tra i tanti.
t~ GENOVA . Resta a lei, tra le grandi città, la maglia nera per la
sicurezza ambientale. 750 mila abitanti (un milione la provincia, 512 per
chilometro quadro), è 1'unica metropoli in cui I'alluvione è in pratica una
ricorrenza stagionale. E in cui le amministrazioni vivono in perenne stato
d'allerta. Il problema è quello di un'eccessiva urbanizzazione, su una
striscia ripidissima fra il mare la collina, flagellata da tipiche
precipitazioni tanto violente quanto concentrate nel tempo, con alle spalle
un territorio devastato da decenni di abusivismo e di incendi, rigata
infine da torrenti e torrentelli (Bisagno, Sturla, Leira, Polcevera).
Bastano poche ore di pioggia per trasformarli in altrettante "bombe
d'acqua", puntate soprattutto sui quartieri Voltri e Pegli. Nella provincia
sono già stati spesi decine di miliardi per il riassetto del territorio (se
ne trova ampia documentazione al sito della Regione, www.liguria.it) ma lo
stesso comune della Lanterna, in un sito sulle emergenze alluvionali
(www.comune.genova.itlufFicio stampalcampagnalalluv) ammette in pratica che
le alluvioni genovesi ci sono sempre state e sempre ci saranno. Tra gli
ultimi episodi, nel 1970 a Genova si hanno 25 morti per un'alluvione, nel
92 i morti sono 2. Tanto per concludere, la provincia di Genova ha il 42%
di comuni a rischio, la Liguria il 72% (quarta regione in Italia). ·


FIUMI A RISCHIO

Un'indagine conoscifiva della Commissione Ambiente

Mentre scriviamo è in corso un'indagine conoscitiva promossa dal presidente
della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati Sauro Turroni. I
ministri Bordon e Bianco, il direttore della Protezione Civile Barberi e
tutte le altre figure interessate dall'alluvione stanno sfilando in
Commissione, comprese le associazioni ambientaliste.
«I piemontesi, valdostani e lombardi devono ringraziare per primo 1'effetto
serra, se hanno ricewto, diciamo, il doppio dell'acqua che sarebbe caduta
altrimenti. - denuncia il Forum nazionale dei Verdi sulla difesa del
suolo-Guardiamo poi il territorio come è stato malamente gestito fino ad
oggi. Questo è difatti sempre stato considerato, con la mentalità
cementificatoria degli anni '60, esclusivamente un condizionamento agli
interessi urbanistici ed infrastrutturali di pochi.» Eppure la lezione di
Sarno se non ha ancora portato alla grande riforma che vede il Ministero
dell'Ambiente e del Territorio 1'organo di coordinamento centrale delle
azioni di governo e difesa del territorio, a qualcosa è servita. «La
mappatura dei Comuni ad alto rischio è stata fatta-afferma il verde
Turroni-ora bisogna passare alla fase operativa e i fondi necessari sono
davvero tanti. Secondo il segretario dell'Autorità di bacino del Po servono
per quell'area 25.000 miliardi per mettere in sicurezza il territorio.
Dei 359 Comuni che sono stati interessati dall'alluvione, ben 231 erano
stati individuati come "ad alto rischio idrogeologico' ed avevano adottato
misure di salvaguardia, 95 anch'essi individuati non avevano colpevolmente
adottato alcuna misura, mentre 33 non erano stati classificati. Le Regioni,
purtroppo, sono anche in questo caso inadempienti e non adottano i poteri
sostitutivi, nonostante il Piemonte sia già stato duramente colpito nel '94
dall'alluvione di Alba. Un territorio
disastrato quello italiano e le alluvioni vengono agevolate
dall'escavazione selvaggia dei fiumi.
Nel Po è autorizzata 1'estrazione di 2,5 milioni di metri cubi di materiale
e 5 potrebbero essere estratti senza provocare troppi danni, ma la
situazione reale è al di là di ogni immaginazione: vengono estratti
abusivamente 25 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia dal letto del
fiume. In questo "paese di montagna che si sente di pianura", come è stato
scritto,1'acqua raccolta viene immediatamente portata a valle dai torrenti
canalizzati, regimati da sembrare opere di architettura. «I controlli sui
prelievi di inerti dai fiumi sono inesistenti o inefFicaci-afferma Sauro
Turroni- non vengono adottate misure di controllo neIla fase di impiego e
sono state persino abolite le bolle di accompagnamento al trasporto».
Mentre le audizioni alla Commissione Ambiente vanno avanti una sola cosa
sembra improcrastinabile: una polizia ambientale che vigili sul territorio
e il commissariamento delle Amministrazioni locali che si dimostrano
inerti, non adottando le misure dovute e non spendendo i fondi che il
Governo mette loro a disposizione.

Gabriele Salari