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il biologico per salvare quel che resta
dal manifesto di giovedi 12 ottobre 2000
Salvezza dai campi
Il 'biologico' per salvare quel che resta dell'ambiente. Intervista con
Vincenzo Vizioli, presidente dell'Aiab
GUGLIELMO RAGOZZINO
Vincenzo Vizioli è il presidente dell'Aiab la maggiore delle associazioni
di agricoltura biologica. Lo abbiamo raggiunto in una pausa di un
convegno di Confcommercio e Legambiente sul Bel Paese e su come
farlo durare ancora un po'.
Come è organizzata l'agricoltura biologica?
Vi sono 50 mila aziende e nove organismi di controllo. L'Aiab, la nostra
associazione, comprende tredicimila aziende, con produttori, ricercatori,
esperti, fornitori di servizi. Noi facciamo da ombrello per tutte le
necessità degli associati. Ma l'Aiab è anche un organismo di controllo.
Una struttura federale e associazioni regionali, sedi di istituti di
controllo locali. D'altro canto non si può essere controllori e controllati.
Per questo abbiamo fatto una scelta coraggiosa, perché il sistema di
controllo è la parte economicamente più interessante, visto che è
obbligatorio e i soldi sono certi. Abbiamo deciso di costituire una
società in cui non siamo neppure in maggioranza, e l'abbiamo costituita
insieme a realtà importanti nel biologico, come l'associazione Demeter,
una scuola di agricoltura, diversa ma molto vicina all'agricoltura
biologica. Poi anche Banca Etica, l'Acu, associazione dei consumatori; e
tanti altri soggetti. L'Aiab è proprietaria del sistema di controllo ma lo
trasferirà a questo nuovo organismo, nel quale, ripeto, non è in
maggioranza.
Cosa vi ripromettete a breve?
Attraverso questa operazione offriremo il nostro marchio a chi vorrà
servirsene. La garanzia Aiab apposta a un prodotto indicherà non solo
che è sano, ma oltre che sano anche buono. Chi non ama l'agricoltura
biologica dice spesso che la qualità si ha anche con l'agricoltura
tradizionale. Allora bisogna essere sinceri e chiari con il consumatore;
dire che il sistema di controllo e di certificazione garantisce che nel
processo produttivo non saranno mai usati prodotti non ammessi: in
sintesi, i concimi chimici e i pesticidi e quindi la differenza è una qualità
di tipo sanitario. Se uno applica correttamente il metodo biologico e
cioè cura la fertilità del terreno e l'equilibrio dei nutrienti, al sano si
aggiunge il buono. E questo è dimostrato da molti studi. Ma girando un
po' nei vari premi di pregio, l'Ercole oleario per l'olio, Vinitaly per il
vino,
Cibus di Parma per altri prodotti, si vedrà che spesso tra i finalisti e
qualche volta tra i vincitori ci sono anche prodotti da agricoltura
biologica il che significa che c'è un segnale importante: non è cresciuto
solo il numero, è cresciuta la qualità.
E per quanto riguarda la resa? E il costo?
C'è una fase che tecnicamente si chiama di riconversione ed è difficile e
lì si possono avere le maggiori diminuzioni nelle rese. Soprattutto in
una fase di assenza totale di servizi all'agricoltura, in cui l'operatore si
è sentito investito di tutti i ruoli: produttore, ricercatore,
sperimentatore, accollandosi costi che altri agricoltori non hanno
sostenuto perché vi è una ricerca al loro servizio. Spesso le rese
possono essere inferiori e i costi superiori, nell'ordine del 20%. E prezzi
molto superiori a questo differenziale poi possono essere giustificati o
da operazioni mercato, quando c'è la scelta di relegare il biologico a
prodotto di nicchia, cosa che noi non condividiamo, perché se c'è un
valore nella sana alimentazione deve essere un valore collettivo e non
solo per chi può permetterselo. E dall'altro lato, c'è effettivamente
un'economia di scala, anche se siamo cresciuti tanto. Il trasporto, la
distribuzione incidono moltissimo.
Quando diceva 20%, intendeva in tutto?
Dobbiamo pensare a un 20% in meno di resa e a un 20/30% in più di
costi, che si sostanziano per lo più in mano d'opera, costi di lavoro. E
qui bisogna dire che se nei piani di sviluppo rurale si fosse dato un
valore a chi dà lavoro, sicuramente l'agricoltura biologica sarebbe
diventata ben più importante. Si devono aumentare poi i servizi alle
imprese: assistenza tecnica, stoccaggio, trasporti: l'agricoltura biologica
ha fame enorme di servizi. Dall'altro lato dobbiamo fare uno sforzo per
cercare soluzioni alternative alla linea commerciale classica. In troppi
dicono: "siete un settore emergente, avete l'interesse dei consumatori;
la grande distribuzione è lì. Se non ci arrivate, vuol dire che non siete
capaci". Io guardo a tredicimila aziende. Se accettassi questo discorso
avrei risolto i problemi di novecento o giù di lì. E alle altre si dovrebbe
dire: voi non siete fatte per l'agricoltura, ma non è così. Il meccanismo
è quello di contrarre il prezzo alla produzione in vista della distribuzione
che deve guadagnarci. Allora occorre un rapporto diretto con i
consumatori, attraverso gruppi d'acquisto, oppure accordi tra aziende in
modo che quella più vicina alla città apra un emporio che serva per tutte
le altre. Aiab dal canto suo vuole che si affermi da un lato una struttura
capace di produrre e di mettere a disposizione del consumatore prodotti
validi. Ma soprattutto chiede che l'agricoltura biologica venga valutata
per la sua capacità di essere gestore del territorio e delle risorse. O si
ridà all'agricoltura il ruolo di cerniera tra produzione e territorio,
alimentazione e salute, lavoro e sviluppo sostenibile, o l'agricoltura
perde, come ha perso fino a oggi, di identità e di significato.