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ignatio ramonet:pokemon
LE MONDE diplomatique - Settembre 2000
Pokémon
Di IGNACIO RAMONET
Pokémon, chi non lo conosce? Videogioco della
Nintendo, cartone animato e figurina da collezione,
Pokémon e la miriade di suoi sottoprodotti
commerciali hanno invaso il mondo alla velocità della
luce.
Formato dalla contrazione delle parole pocket e
monster (mostro tascabile), il termine Pokémon
designa una specie di elfi transgenici, folletti dell'era
biotech, «creature che vivono nei prati, nel
sottobosco, nelle foreste, nelle caverne, nei laghi
(1)». Ce ne sono 150 tipi diversi. Tutti esemplari
unici, ognuno con il proprio patrimonio genetico.
Alcuni sono molto rari, altri difficili da afferrare. Il
gioco consiste nell'impadronirsi dei Pokémon e, dopo
averli catturati, nell'addomesticarli, addestrarli e far
compiere loro una particolare mutazione. Possono
allora cambiare aspetto, metamorfizzarsi, insomma
«evolvere» (è proprio questo concetto darwiniano
che viene utilizzato nel gioco) e assumere nuove
attitudini e nuovi poteri...
Ma, nell'epoca della rivoluzione delle biotecnologie,
della clonazione e dell'invasione degli organismi
geneticamente modificati (Ogm), dobbiamo forse
sorprenderci che i bambini siano affascinati da
questa epopea dei «mutanti gentili»?
Le capacità di intervento sul patrimonio genetico
crescono incessantemente.
E la produzione di animali transgenici, la clonazione,
la mappatura del genoma umano, la terapia genica,
la brevettabilità del vivente, la diagnosi genetica
delle malattie ereditarie e i test genetici sollevano
profonde inquietudini (2).
Si ricorderà che, già negli anni 60 e 70, alcuni
ricercatori statunitensi, come il dottor José Delgado,
sostenitore tra i più convinti del controllo della
mente in funzione di una società «psico-civilizzata»,
affermavano che il quesito fondamentale della
filosofia non era più: «Cos'è l'uomo?», ma «Che tipo
d'uomo dobbiamo creare?» Il professor Marvin
Minsky, uno dei padri del computer, ha pronosticato:
«Nel 2035, grazie alla nanotecnologia, l'equivalente
elettronico del cervello sarà probabilmente più
piccolo della punta di un dito.
Il che vuol dire che, all'interno del cranio, ci sarà
tutto lo spazio per installare sistemi e memorie
addizionali. A poco a poco, potremo potenziare le
nostre capacità di apprendimento, inserire nuovi tipi
di percezioni, nuovi procedimenti di ragionamento,
nuovi modi di pensare e immaginare (3)».
L'americano Francis Fukuyama ha poi affermato che
«nello spazio di due generazioni, le biotecnologie ci
daranno gli strumenti per portare a compimento ciò
che non sono riusciti a fare gli esperti di ingegneria
sociale. A questo punto, la storia dell'uomo potrà
considerarsi conclusa, perché non esisteranno più gli
uomini in quanto tali. Comincerà allora una nuova
storia, che andrà al di là dell'essere umano (4)».
Dopo la clonazione della pecora Dolly, nel febbraio
1997, sappiamo che quella dell'uomo è a portata di
provetta. La scienza ha superato la fantascienza,
nella misura in cui è riuscita a fare meglio del
«metodo Bokanosky» immaginato da Aldous Huxley
ne Il mondo nuovo.
Dolly infatti non ha bisogno di alcuna fecondazione:
il suo embrione è stato creato grazie alla semplice
fusione del nucleo di una cellula adulta con l'ovulo
enucleato di una pecora donatrice. Da allora, sono
stati clonati topi alle Hawai, agnelli in Nuova
Zelanda e in Giappone, capre in Nordamerica, ecc.
Nel 1998, la rivista scientifica britannica The Lancet
valutava che, malgrado i moniti morali lanciati in
tutto il mondo, la creazione di esseri umani per
clonazione era ormai «ineluttabile» e invitava perciò
la comunità medica «ad ammetterlo senza
reticenze».
È con questo spirito che i media hanno annunciato
l'inizio di una nuova era il 26 giugno scorso, giorno
in cui sono state decriptate le circa tre miliardi di
coppie di basi incatenate nei ventitre cromosomi che
compongono il nostro patrimonio ereditario. Ciò
permetterà infatti di determinare la sequenza dei
geni responsabili delle malattie.
Con vantaggi potenzialmente enormi per l'umanità,
perché l'identificazione di un gene responsabile di
una malattia ereditaria apre la via alla possibile
scoperta di una cura e all'eventuale guarigione.
Non abbiamo tuttavia valutato esattamente le reali
conseguenze di tale scoperta, che potrebbe portare a
pericolose derive. La genetica permette ormai
all'uomo di realizzare, oggi più che mai, «una
conquista selvaggia del mondo, versione moderna
dello schiavismo o del saccheggio di risorse naturali
già messi in atto nelle imprese coloniali (5)».
Brevettare i geni equivale infatti a privatizzare un
patrimonio comune dell'umanità. E la vendita di
queste informazioni alle industrie farmaceutiche -
che le riserverebbero poi a pochi privilegiati - rischia
di trasformare questo decisivo progresso scientifico
in una nuova fonte di discriminazione (6).
L'ingegneria genetica può poi far da presupposto ad
un'eugenetica di tipo nuovo, aperta ad ogni forma di
transumanità. Non vediamo forse riemergere il
fantasma del «bambino perfetto», selezionato in
funzione dell'eccellenza del suo patrimonio genetico?
Le nostre società esitano ad ammetterlo. Un
indescrivibile timore comincia a ossessionarle: la
specie umana sarà forse sottoposta ad un processo
di lavorazione industriale in piena regola, in cui l'uso
massiccio delle biotecnologie più spinte servirà a
fabbricare Pokémon umani o transumani? Stiamo
forse andando verso l'invasione degli Ugm: uomini
geneticamente modificati?
note:
(1) Cfr. il sito http://www.pokemon.tm.fr/
(2) Cfr. Transversales Science Culture, gennaio-febbraio 1999.
(3) Le Temps, Ginevra, 24 novembre 1999.
(4) Le Monde, 17 giugno 1999.
(5) Jean-Yves Nau, «Brevetti industriali per materiale umano?», Le
Monde, 22 luglio 2000.
(6) Cfr. The Economist, 1° luglio 2000. (Traduzione di S.L.)