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la terra e' di tutti



da  liberazione di sabato 7 ottobre 2000

In libreria “Narciso e l’automobile”, saggio del filoso Giuseppe Prestipino
sulla questione  ambientale
             La Terra è di tutti
             Dal comunismo dei mezzi di produzione a quello della
             conoscenza e dell’ambiente

Narciso e l’automobile” di Giuseppe Prestipino è il libro di uno studioso
di filosofia  “doc”, e per un orecchiante come il sottoscritto provare a
commentarlo è un po’ un azzardo. Ma è anche il libro (edito da “La città
del sole”, pp. 217, £. 32.000) di uno che della questione ambientale sembra
aver capito praticamente tutto: come incide sul presente e sul futuro, i
suoi rapporti con le prospettive di             resurrezione dell’idea di
sinistra nel mondo… E qui come ambientalista della vecchia guardia mi
ritrovo più sul mio terreno. Con la soddisfazione di veder confermate - e
dette meglio di quanto io sappia dire - cose che penso da tanto tempo.
        Oggi, peggio di ieri Ero rimasto un po’ sconcertato alle prime
pagine per la distinzione kantiana cui si riallaccia tra sfere della
razionalità e dell’etica (per chi ragiona da evoluzionista l’etica è
razionalità a uno stadio più avanzato, è la logica della sopravvivenza come
si manifesta in questa fase dell’evoluzione mentale umana), mentre
Prestipino si riferisce più direttamente alla razionalità che trova sbocco
negli avanzamenti scientifico-tecnologici e nei comportamenti
economici. E m’aveva lasciato perplesso la sua diagnosi del passaggio in
atto, da parte del capitale, dello sfruttamento prevalente della
forza-lavoro umana a quello sempre maggiore delle risorse naturali… Ma non
era stata quella paleotecnica, mi domandavo, la fase storica delle
aggressioni peggiori all’ambiente? Le grandi distruzioni di boschi,
l’abbandono delle campagne, le ciminiere fumiganti, Coketown? Ma basta un
attimo di riflessione per capire che è lui a vederci chiaro. Gli
sfruttamenti di risorse e i guasti ambientali d’oggi sono forse meno
appariscenti e brutali, ma incomparabilmente più estesi. Tanto da metterci
nei guai giganti che sappiamo: ozono, effetto-serra e il resto. Mai si è
disboscato tanto, mai s’è estratto e bruciato  tanto petrolio… E dunque
direi che il primo pregio del libro è questo, di smantellare fin dalle
prime battute l’illusione che le cose, tutto sommato, vadano meglio. Non è
così. E c’è dell’altro: proprio da quel passaggio - dal vecchio
sfruttamento della forza-lavoro alle produzioni basate su nuove tecniche e
nuovi usi di energia e di risorse - si snoda il filo conduttore del
ragionamento             che segue. Di chi sono le risorse? Provo a ridurlo
all’osso. Quando il capitale impiega nella produzione conoscenze e tecniche
che sono frutto della scienza e della cultura accumulate attraverso il
tempo dell’umanità intera (dall’“intelletto generale”), si appropria di
cose che non sono sue, ma di tutti. A maggior ragione: quando per i suoi
fini di profitto si appropria di risorse terrestri che sono patrimonio
comune dell’umanità presente e futura - e le manomette, le dissipa, le
       distrugge a suo piacimento - agisce contro il senso stesso della
presenza umana su questa Terra. La prima conseguenza è che per le sinistre
d’oggi, nella misura in cui allo sfruttamento del lavoro s’è sostituito lo
sfruttamento delle risorse, l’obiettivo non è più tanto la lotta di classe
di una volta ma quella contro il capitale in quanto guastatore della
natura, e per strappare dalle sue mani il controllo dell’“intelletto
generale”: cultura, scienza, tecnologie,            informazione. Ne
discendono parecchie conseguenze. Una è la dimensione ormai planetaria
dello scontro. L’obiettivo di «sottrarre al mercato le nuove tecnologie e
circoscriverle in ambiti innocui» deve valere necessariamente per tutti. Ed
è di tutti il bisogno di ricomporre il contrasto fra natura umanizzata e
natura naturale dando spazio alla prima soltanto a patto che la seconda sia
conservata gelosamente. Così come la necessità di creare per i grandi
problemi planetari (clima, energia, risorse…) strutture di governo e di
controllo elette con procedure        democratiche al posto degli organismi
che decidono oggi dall’alto i destini del mondo più o meno sotto-regia
statunitense: Fondo monetario, Banca mondiale, Wto. Ma poi…
Saper produrre La tesi conclusiva del libro - quella dove mi sono ritrovato
di più - è che mentre fino a ieri abbiamo inteso il comunismo soprattutto
come controllo pubblico dei vecchi mezzi di produzione, oggi che i mezzi di
produzione includono sempre più largamente l’“intelletto generale”
(l’accumulo storico di scienza e cultura) e le risorse naturali, viene
avanti nel mondo con più forza l’esigenza di socializzazione tanto del
produrre sapere quanto del saper produrre quanto della disponibilità delle
risorse terrestri. «Solo la comunità nella sua interezza», dice
Prestipino, «dovrebbe potersi appropriare dei grandi mezzi di produzione
intellettuale… e delle grandi risorse naturali ed energetiche necessarie
alla produzione». Ne deriva evidentemente il NO a brevetti, monopoli o
esclusive che riguardino in qualunque modo fonti energetiche e beni
ambientali. Insieme a una concezione dell’ambientalismo inteso «tanto come
equa distribuzione dei beni collettivi quanto come limitazione dei diritti
individuali su di essi». Il             che significa né più né meno che il
futuro dell’umanità, e le sue possibilità di salvezza dallo sfascio
ambientale e conseguentemente imbarbarimento ulteriore a distanze
ravvicinate, stanno oggi nel «dar vita nel mondo - con la messa in comune
dell’“intelletto generale” e della risorsa-ambientale - a una nuova
esperienza democratica di società comunista». Di fronte alla quale
l’esperienza storica del socialismo reale ci apparirà «nient’altro che una
controfigura del capitalismo di mercato…». C’è molto altro in questo libro,
naturalmente: altre chiavi di             comprensione per le questioni del
lavoro, della società, dell’ambiente… Chi avrà voglia di scavarci dentro si
ritroverà poi con le idee più chiare su parecchi punti. A me preme
soprattutto mettere in luce l’obiettivo di fondo che ne possiamo ricavare:
la scelta di «batterci perché il patrimonio intellettuale dell’umanità e le
risorse della Terra diventino patrimonio comune di noi tutti, e nostra
comune responsabilità: verso le altre forme di vita e verso le generazioni
future». Ho proprio idea che, per chi ha scelto di chiamarsi Rifondazione
comunista, trovare lungo la strada cartelli indicatori come questo possa
essere d’aiuto.
    Fabrizio Giovenale