[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

bioeconomia la via del futuro



dal manifesto di giovedi 7 settembre 2000
 Bioeconomia, la via del futuro 
 GIORGIO NEBBIA - 

 Nella "lettera agli economisti" Carla Ravaioli e altri (il manifesto, 15
 giugno 2000), suggeriscono la necessità che la scienza economica tenga
 conto dei problemi della scarsità delle risorse naturali e dei rapporti fra
 crescita economica, cioè aumento delle merci e dei beni materiali
 prodotti e consumati, e disponibilità, oggi e in futuro, di risorse naturali
 già oggi scarse e in diminuzione. La "lettera" è un esplicito invito agli
 "economisti dei soldi" a prestare maggiore attenzione alla "economia"
 della materia.
 Il mondo, infatti, nel suo cammino, richiede una crescente quantità di
 beni materiali, di "cose" fisiche, le uniche veramente necessarie per
 soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale in continuo aumento.
 Qualsiasi fenomeno economico e sociale, qualsiasi attività di
 produzione e "consumo" di beni materiali e di servizi, comporta un
 flusso di materie e di energia che comincia nell'ambiente naturale,
 passa attraverso la singola abitazione, la fabbrica, il campo coltivato, la
 città, il territorio antropizzato - la tecnosfera - e ritorna, più o meno
 presto, nei corpi riceventi naturali sotto forma di materia gassosa,
 liquida o solida, delle scorie delle attività di produzione e consumo.
 Siamo, insomma, di fronte ad una circolazione:
 natura-produzione-merci-"consumo"-natura, una vera e propria storia
 naturale delle merci, tanto che si deve ormai parlare di produzione di
 merci a mezzo di natura.
 L'affermazione vale anche per i servizi, i quali sono sempre,
 direttamente o indirettamente, legati ad una circolazione di materia: la
 nota immagine di un mondo immateriale o virtuale è abbastanza
 ingannevole, se tende a far credere che la società del futuro non avrà
 bisogno (o avrà meno bisogno) di materiali. Così come è ingannevole il
 termine "consumo", perché in realtà ciascuna persona non "consuma" gli
 oggetti che usa, ma ne trasforma la materia e l'energia in altre forme,
 dissipate nell'ambiente naturale circostante.
 A differenza degli ecologi, che misurano in unità fisiche i flussi di
 materia e di energia attraverso i processi vitali, i contabili
 dell'economia, per descrivere i flussi di materia e di energia che
 attraversano la vita sociale ed umana, non hanno trovato niente di
 meglio, né di più comodo, del misurare la quantità di denaro che
 accompagna tali flussi. Le unità monetarie sono omogenee e si
 prestano ad essere sommate fra loro - mentre non è possibile, a meno
 di artifizi, avere informazioni ragionevoli se si somma un kilogrammo di
 patate con un kilogrammo di ferro - e si prestano perciò bene come
 indicatori di grandezze come il prodotto interno lordo, il benessere; il, si
 fa per dire, progresso.
 Da qualche tempo a questa parte, peraltro, l'umanità, e pertanto anche
 la scienza economica, devono fare i conti con fenomeni che coinvolgono
 flussi di materia e di energia finora sfuggiti alla contabilità monetaria.
 Un esempio è offerto dal dibattito in corso a proposito delle
 modificazioni climatiche provocate dai gas immessi nell'atmosfera in
 seguito alle attività di produzione e di consumo dei beni materiali.
 La contabilità monetaria si occupa di quanti euro di energia entrano in
 ciascun processo di produzione e consumo, ma finora è stato trascurato
 il fatto che il "consumo" di un kilogrammo di combustibile (per cui si
 paga un prezzo) richiede il prelievo (gratis) dall'atmosfera di circa 18
 kilogrammi di aria, il cui ossigeno è necessario per liberare l'energia, il
 servizio economico, "contenuta" nel combustibile stesso.
 Inoltre durante il processo di combustione del kilogrammo del nostro
 combustibile, ritornano nell'atmosfera una ventina di kilogrammi di gas,
 di cui quattro sono diversi da quelli entrati nel processo, e sono
 costituiti da anidride carbonica, ossido di carbonio, idrocarburi, ossidi di
 azoto, vapore acqueo e altre sostanze ancora.
 Adesso gli studiosi della natura hanno spiegato agli studiosi
 dell'economia che i gas generati dalle macchine, dalle abitazioni, dalle
 città, e di cui finora si sono liberati cedendoli, senza alcuna spesa,
 all'atmosfera, modificano il clima planetario e il loro flusso
 nell'atmosfera deve essere rallentato. E i governi hanno deciso di
 applicare una imposta, la "carbon tax", proporzionale alla quantità di
 gas responsabili dell'effetto serra, prodotti da ciascun soggetto
 economico: se aumenta il costo dell'energia, è sperabile che se ne
 consumi di meno, o che vengano inventati altri processi meno
 inquinanti, o che si ricorra ad altre fonti di energia.
 Gli economisti si sono così trovati costretti a misurare non solo il flusso
 di denaro che accompagna, per esempio, il commercio e l'uso di un
 combustibile, ma anche il suo peso, la quantità di ossigeno prelevata
 dall'atmosfera, la massa dei vari gas immessi nell'aria. E, sempre più
 spesso, vengono applicate imposte sulla quantità fisica delle scorie
 immesse nei fiumi, sulla massa dei rifiuti solidi, e spesso l'entità
 dell'imposta dipende anche dalla composizione delle scorie buttate
 nell'ambiente circostante.
 Gli economisti dovranno perciò chiedere a ingegneri, chimici e
 merceologi di ricostruire il bilancio materiale completo di ciascun
 processo di produzione e di consumo e di riconoscere i caratteri e la
 composizione di tutta quella massa di materia che finora era stata
 chiamata genericamente "rifiuto", di misurare, insomma, il metabolismo
 dei processi e materiali di importanza economica.
 Nuovi compiti giganteschi, se si pensa che, per la sola Italia, il flusso di
 materiali in entrata (minerali, combustibili, prodotti agricoli, forestali),
 in circolazione e in uscita (scorie e rifiuti gassosi, liquidi e solidi),
 ammonta a circa 4.500 milioni di tonnellate all'anno (aria ed acqua
 escluse). Una parte dei materiali in entrata (il cemento e il vetro negli
 edifici, i frigoriferi dentro le case, le automobili nelle autorimesse, i
libri
 nelle biblioteche), resta immobilizzata a lungo e fa continuamente
 "rigonfiare" la tecnosfera.
 Gli specialisti di econometria, statistica e informatica avrebbero, se
 volessero dar retta alla "lettera" pubblicata su il manifesto, il loro bel
 da fare per elaborare una contabilità intersettoriale che, in parallelo e
 "sopra" la contabilità economica monetaria tradizionale, fosse in grado
 di descrivere come la materia e l'energia prelevate dalla natura passano
 in ciascun settore economico - produzione, consumi, servizi - e poi
 circolano in tutti gli altri e alla fine come e dove le molteplici scorie
 delle attività economiche ritornano nei corpi riceventi naturali. Una vera
 contabilità economico-ecologica aspetta ancora che salti fuori qualche
 idea geniale simile a quella che il diciannovenne Leontief ebbe nella
 Russia sovietica e che fornì la base per le tavole intersettoriali
 dell'economia monetaria moderna - e fruttò il premio Nobel al loro
 inventore.
 Un cammino pieno di insidie statistiche e metodologiche che dovrebbe
 permettere di misurare un "prodotto interno materiale lordo", in unità di
 massa: stimato in circa 650 milioni di tonnellate all'anno per i 58 milioni
 di abitanti dell'Italia, in corrispondenza ai mille miliardi di euro del
 prodotto interno lordo annuo in unità monetarie.
 E non si tratta soltanto di fare i conti con i bilanci materiali degli scambi
 e traffici umani: in un mondo di dimensioni limitate, l'economia deve
 fare i conti anche con la scarsità sia dei beni economici forniti dalla
 natura (minerali, fonti energetiche, acqua, fertilità dei suoli, risorse
 forestali, pesci), sia della capacità dei corpi naturali di ricevere,
 trasformare, neutralizzare, disintossicare, le scorie e i rifiuti. Anche la
 tecnosfera, come qualsiasi territorio della biosfera, e come anche il
 mercato, hanno una capacità ricettiva - una carrying capacity - limitata
 per gli oggetti materiali che vi entrano e per le loro scorie.
 Ancora peggio: l'economia deve fare i conti, come ha messo in evidenza
 Georgescu-Roegen, anche con la ineluttabile legge del degrado
 entropico dell'energia che spinge a guardare sotto una nuova luce i
 discorsi sui limiti alla crescita, sulla società stazionaria, sullo sviluppo
 sostenibile.
 Altro che stazionaria, altro che sostenibile! La società umana deve fare i
 conti addirittura con un graduale impoverimento delle risorse naturali e
 con un graduale peggioramento della qualità dell'ambiente; non c'è
 neanche da sperare in un riutilizzo e riciclo senza fine dei materiali
 usati, dal momento che vale un "quarto principio" della termodinamica,
 come lo chiama ironicamente Georgescu-Roegen, per cui anche la
 materia si degrada a mano a mano che passa attraverso i processi della
 tecnosfera.
 Insomma, col passare del tempo, la ricchezza materiale di ciascuna
 generazione viene pagata dalle generazioni future che avranno meno
 materia e meno natura a disposizione per la propria vita.
 Chi ci salverà? Soltanto un coraggioso e lungimirante incontro fra le
 scienze economiche e sociali e quelle della vita, l'avvento di una
 bioeconomia che offra l'indicazione di quali materie usare per soddisfare
 i bisogni umani, anche alla luce che può entrare dalle affascinanti
 finestre sulla misteriosa teoria del valore, aperte dalla contabilità
 naturale dei fenomeni economici.
 Per quanto ancora ambigui, e di difficile misura, possano essere questi
 termini, si parla ormai di "costo in materie prime" dei beni materiali, di
 "costo in acqua", di "costo energetico", di "costo ambientale", sulla base
 del "contenuto di natura" di ciascun oggetto. Dando ragione
 all'intuizione di Marx che, nella sua critica al "programma di Gotha" del
 Partito Operaio Tedesco scrisse, nel 1875, che "la natura è la fonte dei
 valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva)".
 Così "valgono di più" i beni materiali che, a parità di servizio reso, di
 "valore d'uso", appunto, richiedono meno materie naturali, meno
 energia, generano meno rifiuti, nel corso del loro intero ciclo di cita - un
 termine, anche questo, che gli economisti hanno preso a prestito dalla
 biologia.
 La lettera agli economisti contiene proprio questo invito ad adottare i
 criteri "naturali" nella progettazione, nelle innovazioni tecniche, nelle
 scelte politiche, nelle decisioni sociali.
 C'è senza dubbio un bel da fare per innovare, progettare e produrre, con
 un minore "costo naturale", i beni materiali per soddisfare i bisogni dei
 1.500 milioni di persone dei paesi ricchi e degli altri 4.500 milioni di
 abitanti dell'Africa, Asia, America meridionale, in via di
 industrializzazione, o poveri, o poverissimi, che chiedono anche loro
 alimenti, case, acqua, strade, servizi igienici, conoscenze, che chiedono
 e chiederanno dignità e lavoro e libertà.
 Da dove prenderanno, tutti questi terrestri che aumentano di settecento
 milioni ogni decennio, i cereali, le proteine, l'acqua potabile, l'energia,
 le abitazioni, il cemento, i metalli? Quali conoscenze vanno
 approfondite per imparare a dipendere sempre di più dalle fonti
 rinnovabili di energia e di materiali, che sono poi quelle legate ai grandi
 cicli biologici?
 Gli ingegneri possono suggerire soluzioni tecniche, gli economisti
 possono indicare dove trovare i capitali necessari, i sociologi possono
 aiutare a distinguere i bisogni essenziali dai puri sprechi imposti dalle
 raffinate arti della pubblicità: ma solo nuove figure di politici e di
 professionisti, dotati di una cultura in grado di "leggere", insieme, le
 realtà economiche, sociali e naturalistiche del mondo, potranno
 sottoporre a valutazione finanziaria, ma anche di impatto biologico, le
 proposte dei tecnici e dei governi.
 Il premio per chi volesse assumersi questo impegno è rappresentato da
 una migliore comprensione di quanto avviene nel mondo reale, da una
 crescita della cultura industriale, ma anche da un miglioramento dei
 rapporti interni e internazionali, da una attenuazione dei conflitti
 attraverso un aumento della solidarietà. Ci guadagnerebbe, insomma, lo
 sviluppo - che deve essere per forza economico ed ecologico insieme -
 della comunità umana.