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roma:il mistero del piano regolatore
dal manifesto del 1 luglio 2000
Il mistero del piano regolatore
VEZIO DE LUCIA
Nei prossimi giorni si svolgerà a Roma la quarta conferenza urbanistica.
La prima fu presieduta da Giulio Carlo Argan nel 1977, la seconda da
Luigi Petroselli nel 1981, la terza da Nicola Signorello nel 1986. Adesso
sarà Francesco Rutelli a fare il bilancio delle cose fatte e da fare.
In passato, le conferenze sono state precedute da molte discussioni.
Stavolta sembra che si tratti di un'iniziativa clandestina. A una
settimana dall'inizio non se ne sa quasi niente, non mi pare che ci siano
documenti predisposti per la circostanza, la stampa non ha dato quasi
notizie. In realtà, l'amministrazione non aveva alcuna voglia di aprire
una discussione sull'urbanistica, se lo fa, per rispettare l'impegno
assunto con Rifondazione comunista, e in particolare con Sandro Medici,
è per rispondere alle sollecitazioni di Italia nostra e delle altre
associazioni che da qualche tempo reclamano la conferenza. L'occasione
è comunque importante, e spero che sia ben utilizzata. Per questo
vorrei sottolineare alcuni punti particolari.
1. In primo luogo, mi pare utile inquadrare le cose di Roma in un
panorama delle tendenze più recenti dell'urbanistica nazionale. Non si
può non cominciare da Milano, dove si sta dispiegando un inedito e
micidiale aggiornamento del cosiddetto rito ambrosiano: la disinvolta
procedura edilizia praticata nel capoluogo lombardo nel primo
dopoguerra. Un recente documento della giunta Albertini contesta alla
radice l'ordinamento giuridico in materia di governo del territorio. In un
intervento su Il sole-24 ore, l'assessore all'urbanistica milanese ha
innocentemente dichiarato che non devono essere i progetti a
uniformarsi alle prescrizioni dei piani ma, al contrario, si devono
adeguare i piani regolatori ai progetti. La chiamano flessibilità. I
presupposti per l'attuazione di questo disegno sono forniti dai nuovi
istituti introdotti dal legislatore (accordo di programma, patto
territoriale, contratto d'area, eccetera), che consentono di scardinare i
piani regolatori. Edoardo Salzano ha scritto che le forme "consensuali"
di decisione esaltate dalla linea milanese sono utilizzate "proprio per
facilitare quelle pratiche di perverso intreccio tra poteri pubblici e
interessi privati cui è stato dato il nome di Tangentopoli".
La milanese si esporta in tutta Italia. Nel Mezzogiorno, quasi dovunque,
le speranze di rinnovamento delle prime amministrazioni elette dopo
Tangentopoli sono in via di estinzione. Il nuovo piano regolatore di
Napoli sta da due anni in attesa. Demolito il mostro di Fuenti, se ne
costruisce un altro nella penisola Sorrentina, nel comune di
Castellamare di Stabia, ancora più brutto e ingombrante. Si cede al
vento del nord.
In alternativa, sopravvive la tradizionale buona amministrazione della
Toscana, dell'Emilia Romagna, dell'Umbria, e di pochi altri luoghi, dove -
anche se con qualche affanno - leggi e piani urbanistici continuano a
funzionare. Ma l'egemonia politica e culturale è in stato d'assedio.
Finora non è stata assunta alcuna iniziativa che denunci l'esasperazione
contrattualistica e il privatismo a oltranza.
2) E a Roma? A Roma si segue il rito ambrosiano, anzi lo si è
anticipato. Senza dirlo, forse senza saperlo. Talvolta dichiarando il
contrario. In effetti, che cos'è il "pianificar facendo" se non il liberismo
milanese presentato come una necessità transitoria, in attesa del nuovo
piano? Ma siamo a quasi sette anni dalla prima amministrazione Rutelli,
e del nuovo piano regolatore, che il programma del sindaco indicava fra
gli impegni prioritari, non c'è traccia. Se ne conoscono solo sintesi e
brandelli. Il nuovo piano, se mai arriverà, sarà a giochi ormai fatti. Una
specie di perfido regalo per quelli che verranno dopo. Intanto si
continua come se la sua elaborazione fosse eterna. In un recente
documento Ds si propongono ancora interventi "che anticipano il nuovo
piano".
Almeno sui tempi del piano la conferenza urbanistica dovrebbe fornire
informazioni sicure. Un punto però va chiarito subito. E' inaudito
pensare che ci vogliano sette anni e più per fare un piano regolatore.
Non può che essere questo il punto di partenza per qualunque seria
riflessione sull'urbanistica (romana e nazionale). La linea milanese
parte dalla critica all'inadeguatezza dell'attuale strumentazione
urbanistica per proporne l'obliterazione, a favore dell'immediata
attuazione delle operazioni immobiliari. I banditori della destra
lombarda se la prendono astutamente con il piano regolatore e con le
sue procedure. E' una trappola. L'imbroglio sta nel confondere lo
strumento con le politiche. Dove l'amministrazione dell'urbanistica
funziona, per fare e rifare piani e strumenti urbanistici bastano pochi
mesi, non esiste l'emergenza (n il ricatto dell'emergenza) delle
procedure urbanistiche.
Certamente il piano regolatore non può più essere quello del 1942,
strumento unico e onnipotente per il governo del territorio, ormai
incompatibile con il sistema giuridico e istituzionale. Nella nuova legge
urbanistica del Lazio, la strumentazione urbanistica è del tutto nuova.
Proviamo a utilizzarla.
3. A Roma, aspettando il nuovo piano, è successo di tutto. Nel bene e
nel male. Non sono poche le cose buone: la sistemazione di strade e
piazze nel centro storico (il percorso pedonale sull'antico viadotto
ferroviario dalla stazione di San Pietro al Vaticano una meraviglia), la
politica dei parchi e del verde, la definitiva approvazione della variante
di salvaguardia che sottrae al cemento ben 50 mila ettari in agro. Ma è
pesante il bilancio degli errori e delle inadempienze: la menomazione
del progetto Fori e dello Sdo; l'abbandono del piano delle periferie; le
lottizzazioni di Tormarancia e Bufalotta; il polo della Magliana,
Fonopoli, il parcheggio del Gianicolo, eccetera.
Nel libro sul Giubileo, Paolo Berdini ricorda che negli ultimi sette anni
sono stati autorizzati a Roma ben 52 milioni di metri cubi (pi o meno
una citt come Verona), e documenta con accuratezza la pratica della
contrattazione con la propriet fondiaria. Qualche settimana fa,
nell'apertura della cronaca romana, la Repubblica denunciava a tutta
pagina, con stupore, "cemento nel parco di Decima". Fra boschi di
sughere e querce, dove vivono barbagianni, allocchi, nibbi, saettoni,
istrici, tassi e orchidee erano iniziati i lavori per realizzare due
lottizzazioni per un totale di 55 ettari, 173 mila metri cubi, 1.500 nuovi
abitanti, strade, parcheggi, c'è anche un centro commerciale. Un'altra
Tormarancia, un po' più piccola. Com'è possibile uno scempio del
genere?, si indignava il cronista. Per poi riconoscere che, ahimè, è tutto
legittimo, non c'è niente da eccepire. Si tratta del famigerato articolo 18
della cosiddetta legge Prandini. Uno dei più ignobili provvedimenti
dell'ultimo decennio che, con il pretesto della lotta alla criminalità, apre
spazi altrimenti inconcepibili alla speculazione fondiaria. Peccato che
quando in pochissimi si opposero all'utilizzazione a Roma della legge
Prandini, furono ignorati dalla grande stampa e dai partiti, di destra e di
sinistra.
4. In effetti, a Roma, da sette anni non si discute più di urbanistica. Ma
una città può fare a meno di ragionare intorno al suo futuro? Non rischia
di perdere l'anima? La prassi tradizionale di formazione dei piani
regolatori presentava tanti inconvenienti, l'ho appena ricordato,
determinava però l'occasione irrinunciabile per discutere in ogni sede, e
in ogni modo, della città, del suo territorio, del suo passato, del suo
avvenire, grazie anche alle osservazioni consentite a tutti i cittadini
(non previste invece dai nuovi strumenti derogatori). Berdini ricorda che
ai tempi della giunta di sinistra presieduta da Ugo Vetere, quando fu
portato a conoscenza della città il piano di edilizia economica e
popolare, che prevedeva circa dieci milioni di metri cubi, si scatenò
l'opposizione delle associazioni ambientaliste, che obbligarono a
rivedere quel provvedimento, e cominciò così la crisi
dell'amministrazione di sinistra. Oggi, di fronte a decisioni che
consentono interventi cinque volte più grandi, tutto tace. Segno dei
tempi, della sfiducia nella politica, eccetera. Ma non può durare.
5. Torno al confronto con Milano. Credo che l'amministrazione capitolina
non possa continuare per la strada ipocrita del pianificar facendo e
debba infine decidere se proseguire secondo il rito ambrosiano, senza
camuffarlo, o, viceversa, riprendere la strada maestra della
pianificazione. Aggiornandola, ovviamente, e facendo tesoro delle
migliori esperienze italiane. Non è una scelta facile, e non so se chi
finora si è mosso per piani obliqui sia capace di rimettersi in
discussione. Certo sarebbe magnifico se l'urbanistica di Roma si
presentasse in alternativa a quella della destra lombarda.