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messina: la lobby del ponte
dal manifesto del 30 giugno 2000
La lobby del ponte
Messina, speculazioni e interessi attorno al progetto di un'opera inutile
e dannosa. Che distruggerebbe l'ecosistema tra Scilla e Cariddi
ALBERTO ZIPARO
Da qualche giorno, in Sicilia e in Calabria, contrassegnata da una
forsennata agitazione, è in corso una nuova campagna degli iscritti alla
lobby del ponte sullo stretto di Messina, a partire da quell'autentica
task force che ha letteralmente occupato la massima istituzione
calabrese, dopo la vittoria del Polo alle regionali. Si levano grida
disperate che introducono azioni concitate, non senza risultati anche
esilaranti. Per esempio il finto protocollo d'intesa tra le due regioni (un
documento di nessun valore politico-istituzionale) firmato nel
parcheggio di palazzo Chigi, che bissava quello dell'anno scorso in un
ristorante di Taormina - per la prossima puntata proporremmo i recessi
di un teatro a sottolineare la portata rappresentazionale dell'evento -
con il buon amico Rotella (l'unico disponibile tra gli assessori siciliani)
in qualità di pseudorappresentante della regione Sicilia, in realtà di sé
stesso, presso lobby.
La campagna, orchestrata al solito dal giornale diretto dal Presidente
della "Stretto di Messina" - una circostanza che distorce dibattito,
comportamenti e decisioni -, sarebbe tesa ad accelerare le scelte, in un
processo che invece è bloccato.
Giuliano Amato ha infatti ribadito che il ponte non è nel suo programma
di governo; il ministro dei lavori pubblici Nesi ripete che bisogna
quantomeno attendere il parere degli advisor, che stanno valutando il
progetto; il responsabile dell'ambiente Bordon sottolinea che, se dalla
supervalutazione non giungesse un chiaro "via libera", l'operazione
andrebbe chiusa definitivamente.
In tutto questo anche la "filiale della lobby presso la regione Calabria"
potrebbe serenamente attendere qualche mese e puntare su un
possibile governo nazionale amico, dopo le elezioni generali. Invece si
vuole assolutamente fare prima, perché?
La ragione si coglie dal documento presentato dai pontisti nell'incontro -
dall'esito per loro ovviamente deludente - tenutosi qualche giorno fa a
palazzo Chigi: la messa in liquidazione dell'Iri, azionista di maggioranza
dello "Stretto di Messina" trascinerà con sé la società in questione. La
regione Calabria (e forse anche Rotella) hanno chiesto la acquisizione
delle azioni Iritecna a titolo gratuito. Anche se la liquidazione della
società non presuppone necessariamente la bocciatura del progetto; per
la cui eventuale fase esecutiva servirebbe in ogni caso un nuovo
soggetto pubblico.
L'altra scadenza è l'approvazione del bilancio della regione Calabria e
l'adeguamento dei fondi di Agenda 2000: sembra che gli amici del ponte
vogliano essere legittimati, per una materia di competenza statale, a
usare ancora fondi pubblici - stavolta regionali - per gratificare la lobby,
magari con la scusa degli studi propedeutici al progetto esecutivo (per il
quale c'è una stima di oltre 1400 miliardi di carte, dati, grafici, disegni e
tabelle); i quasi 200 miliardi già spesi non sono evidentemente bastati.
Per affermare le proprie posizioni i pontisti scomodano categorie come
lo sviluppo del Mezzogiorno: ma quale? Nell'era della sostenibilità e
della new economy, si propongono ancora megacantieri, tra l'altro in un
meridione piagato dal fallimento delle politiche delle grandi opere e dei
poli industriali. Ancora, l'occupazione: si prospetta il nuovo bluff del
lavoro temporaneo di cantiere, laddove gli economisti del mercato del
lavoro indicano, per regioni a economia più debole, la necessità di
rispondere al bisogno di occupazione permanente, (quella che invece
verrebbe meno nei traghettamenti con la realizzazione del ponte). Si
cita la necessità dei trasporti e di infrastrutture: che dovrebbero
piuttosto tener conto che l'Alta Velocità si è fermata a Napoli, per
proseguire via mare con la direttissima per Palermo; che il traffico aereo
siciliano è aumentato negli ultimi venti anni di oltre il 2400 per cento;
che le merci useranno sempre più le autostrade del mare - una
portacontainer di medio calibro può trasportare l'equivalente di 1000 Tir-
e che nello Stretto resterà un traffico essenzialmente locale. Ci si
dimentica invece di paesaggio e ambiente dello stretto di Messina: una
delle più grandi opere d'arte naturali del Mediterraneo, pronta a essere
una grande area di sviluppo sostenibile per il terzo millennio, che
verrebbe invece stravolta dalla megastruttura; così come verrebbero
devastati ancora i sistemi di versante e di costa, in cui già stanno
emergendo chiaramente i nefasti effetti delle dissensate politiche
insediative e infrastrutturali del recente passato. Si tralasciano i
problemi urbanistici, per cui le città dello stretto, che hanno tutti i
numeri per una riqualificazione che ne faccia organizzazioni urbane
attraenti, ecologiche e sostenibili, rischiano di diventare un'unica
megalopoli da terzo mondo, come paventato nei documenti preparatori
della Conferenza internazionale delle scuole di pianificazione, in
programma tra qualche giorno a Berlino.
Su questi aspetti si deve riflettere, soprattutto da parte dei
rappresentanti delle massime istituzioni calabresi e siciliane, di due
regioni che hanno mille problemi, ma tante risorse, e non possono
vedere i propri interessi, oltre che le proprie istituzioni posposti,
mortificati, asserviti a quelli della lobby del Ponte.