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assicurazioni:la tentazione dell'apartheid genetico
LE MONDE diplomatique - Maggio 2000
GRANDI MANOVRE DEGLI ASSICURATORI
La tentazione
dell'apartheid genetico
Il 6 aprile, la società americana Celera Genomics ha
annunciato di avere decodificato i 3 miliardi di
"caratteri" che compongono il genoma di ogni essere
umano. Una simile conquista scientifica potrebbe
favorire, a breve termine, nuove cure per malattie
molto diffuse come cancro, diabete, affezioni
cardiovascolari, ecc. Ma le nuove prospettive
scatenano anche grandi appetiti. Con il pretesto di
inventare i farmaci del futuro, aumenta la tentazione
di brevettare i geni, privatizzarli e controllarne l'uso.
Il "caso Axa", emerso nel febbraio scorso, è in
questo senso esemplare. Questa assicurazione, poi
costretta a fare marcia indietro sotto la pressione
dell'opinione pubblica, aveva deciso di aumentare del
180% le mensilità versate dai genitori di ragazzi
handicappati! Conoscere i segreti del Dna potrebbe
permettere domani ad altri assicuratori di
selezionare, eliminare o penalizzare i loro clienti in
funzione dei rischi genetici. Da qui nasce l'urgenza di
legiferare, per conservare al genoma il suo carattere
di bene comune dell'umanità.
di DOROTHÉE BENOIT BROWAEYS e JEAN
CLAUDE KAPLAN *
Conoscere il futuro è un sogno ostinato... Una
fascinazione che può condurre all'esclusione. La
medicina predittiva, con i suoi test genetici capaci di
svelare il segno di una futura malattia - probabile o
ineluttabile, trattabile o no - , ci getta brutalmente
nel futuro.
Con la spaventosa responsabilità che ne deriva per
coloro che sanno.
Le conseguenze si annunciano gravi se ogni
informazione genetica diventa obbligatoria.
Esemplare in questo senso la storia della signora Y.
Q. Nel 1997, a seguito di un esame genetico da lei
richiesto, scopriva di essere portatrice di una
mutazione responsabile della malattia di Huntington.
Di conseguenza, verso i quarant'anni sarebbe stata
inevitabilmente colpita da demenza devastante. La
signora ignorava gli effetti a catena di questa
rivelazione sulla sua polizza di assicurazione.
Al sopraggiungere dei primi sintomi, fu costretta ad
interrompere l'attività professionale. E il Crédit
mutuel minacciò di annullare la sua assicurazione
sulla vita, sottoscritta a garanzia di prestiti
immobiliari. In una lettera accusatoria del 26 maggio
1997 se ne apprende il motivo: non aveva "dato
notizia del test, prima di sottoscrivere il contratto".
Rapidamente mobilitata, l'associazione
Huntington-Francia reagiva: "In nessun caso gli
assicuratori, i datori di lavoro... devono essere
portati a conoscenza di test presintomatici richiesti
di propria iniziativa da una persona", scrive
Louise-Marie Marton, del comitato
Huntington-Francia, in una lettera dell'11 febbraio
1998, perché "la legge sulla bioetica protegge i
candidati ad un test genetico: questi test devono
rimanere assolutamente confidenziali. I risultati
vengono dati a voce dai medici al candidato".
È stata dunque necessaria la pressione delle famiglie
dei malati, per evitare il peggio. Un altro caso simile,
sempre legato alla malattia di Huntington, ha
coinvolto nello stesso periodo la Cassa nazionale di
previdenza (Cnp). È vero che gli assicuratori francesi
si sono mobilitati per vietare l'utilizzo dei test
genetici, ma questo scontro ha dimostrato che le
regole non sono affatto chiare. Ne deriva un tale
vuoto giuridico che, il 3 aprile 1998, il presidente
della corte d'appello di Tolosa, Marcel Foulon, ha
invitato i rappresentanti delle associazioni dei malati
a "fare di tutto per difendersi nelle situazioni
ambigue".
Anche i datori di lavoro potrebbero volersi servire di
questo tipo di diagnosi per conoscere il "profilo
genetico" di un candidato ed eliminare coloro che
risultassero "inadatti" a posti a rischio. In alcuni casi,
tuttavia, questa prassi è giustificata. Alcune
compagnie aeree americane, per esempio, fanno
individuare i soggetti colpiti da anemia
drepanocitaria tra i neri - la malattia dei globuli rossi
colpisce infatti una persona su dodici in questa
categoria della popolazione americana -- per evitare
che in volo si manifestino malori dovuti ad anossia
(1).
L'importante è che gli interessati siano a conoscenza
della ricerca.
Il che non è avvenuto per sette lavoratori del
Laboratorio nazionale di Berkeley, i quali hanno
sporto querela contro il loro datore di lavoro per
"violazione dei diritti civili e del diritto alla privacy",
dopo avere scoperto che a loro insaputa erano stati
sottoposti a test genetici di individuazione
dell'anemia drepanocitaria.
Negli Stati uniti queste indagini sono condotte per
scopi sempre meno confessabili. Si calcola che il 30%
delle assunzioni sia preceduto da ricerche di
informazioni genetiche. Le associazioni ebraiche
americane si sono mobilitate, per mettere in guardia
contro le discriminazioni che banche o assicurazioni
potrebbero essere tentate di attuare dopo
l'identificazione nella popolazione ebrea ashkenazita
di parecchie mutazioni predisponenti al cancro del
seno. Un sesto degli ebrei dell'Europa dell'Est colpito
da cancro sarebbe portatore di queste "mutazioni
caratteristiche". Ragion per cui l'ascendenza ebrea
potrebbe diventare sospetta agli occhi degli
"stimatori di rischio".
Di fronte a queste minacce, come proteggersi? In
Francia, fin dal 1995, il Comité consultatif national
d'ethique ha dichiarato che "l'uso di informazioni
genetiche a scopo di selezione o discriminazione
nella vita sociale ed economica (...) porterebbe a
varcare un limite di estrema gravità, che
consentirebbe di rimettere in discussione i principi di
eguaglianza per quanto concerne diritti e dignità", e
raccomandava la proibizione totale dei test genetici.
Ma questa posizione di principio viene
progressivamente erosa da un "effetto di contiguità".
Lo studio del genoma, per esempio, non
introdurrebbe alcuna novità, secondo quanto afferma
il Consiglio di stato, la cui assemblea generale ha
adottato, il 25 novembre 1999, uno studio sulla
revisione delle leggi riguardanti la bioetica (2).
I relatori spiegano che, "già da tempo vengono
praticate discriminazioni lecite, fondate sullo stato di
salute. Le informazioni mediche (precedenti familiari,
ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa) che gli
assicuratori hanno diritto di sollecitare, rinviano
indirettamente a caratteristiche genetiche. Non è
dunque affatto vero che i test genetici rappresentino
una tappa radicalmente nuova, come viene
correntemente sostenuto".
In quanto a sapere se il legislatore debba
intervenire, il Consiglio di stato sentenzia in senso
negativo: "Eliminando ogni discriminazione basata
sul patrimonio genetico, si renderebbe illegale la
pratica dei questionari sulla salute richiesti dagli
assicuratori". In conclusione, l'alta corte esclude che
un assicurato "possa nascondere all'assicuratore il
risultato di un test genetico eseguito prima della
stipula del suo contratto". Sarebbe dunque
obbligatorio dire tutto, dal momento che si è voluto
sapere...
Se gli assicuratori hanno le loro buone ragioni per
voler valutare i rischi e pretendere lealtà
contrattuale, rimane il fatto che il sistema porta
inesorabilmente a tassare i perseguitati dalla
sfortuna e a privilegiare i "fortunati biologici". I
medici genetisti lo sanno bene e si circondano di
mille precauzioni per evitare fughe di notizie verso le
mutue.
Genetisti contro industrie private "Siamo costretti ad
agire fuori della legalità", spiega il dottor Patrick
Calvas, specialista della malattia di Huntington
presso l'ospedale Purpan di Tolosa, e aggiunge: "Le
persone che ci consultano sono individui sani che, a
causa della malattia ereditaria di un parente,
vogliono conoscere la propria situazione, per esempio
in vista di un progetto matrimoniale. Per evitare una
qualsiasi traccia che faccia sospettare il tipo di
richiesta, diamo il risultato a voce, e dichiariamo che
la visita concerne disturbi funzionali benigni. Quindi,
per proteggere un atto legittimo, dobbiamo mentire
per omissione".
I medici si ritrovano in situazioni così ambigue che il
malessere è evidente in tutti i settanta laboratori di
genetica molecolare esistenti in Francia. La
mancanza di chiarezza per quanto riguarda i
finanziamenti complica ulteriormente il loro lavoro.
Concepita nell'ambito di progetti legati alla
procreazione, la diagnosi genetica non ha uno
statuto definito e si effettua secondo le tabelle dei
test prenatali. Tuttavia, dal 1996 ad oggi, quasi
10.000 analisi genetiche sono state praticate su
adulti al di fuori di prospettive legate alla
riproduzione, per un costo di 10 milioni di franchi (3
miliardi di lire). Alcuni genetisti clinici hanno esposto
le difficoltà della propria attività in un Libro bianco
(3), scritto nel 1998.
Ma i pubblici poteri, sollecitati a classificare queste
procedure nella nomenclatura della biologia medica,
sono rimasti sordi. "Non si è mosso niente", afferma
uno degli autori del documento, il professor Michel
Goossens, dell'ospedale Henri Mondor di Créteil, che
si è rivolto a "tutti i referenti possibili, i quali si sono
palleggiati la "patata bollente". I laboratori privati
bloccano il sistema, per evitare che queste procedure
siano riservate al sistema ospedaliero", aggiunge.
Così il costo di questi esami continua ad essere
sostenuto globalmente dagli ospedali o talvolta dai
pazienti. Ad eccezione dei test per l'individuazione
del cancro. Nel febbraio 2000 il governo ha lanciato
un programma il cui costo, circa 750 milioni di franchi
annui (225 miliardi di lire), sarà sostenuto dalla
Cassa nazionale di assicurazione malattia (Cnam) e
dallo stato, per "permettere a tutte le persone
interessate un accesso a consultazioni oncogenetiche
di qualità", secondo le parole di Dominique Gillot,
segretario di stato per la sanità. Il progetto tende a
"preparare l'uso clinico" di test genetici per stabilire
la predisposizione del cancro al seno, alle ovaie e al
colon. "È una decisione sorprendente, visto che si sa
che i test genetici legati al cancro sono ancora ai
primi passi, considera Goossens: La maggior parte
dei geni correlati al cancro sono stati brevettati da
società americane. Questo finanziamento sembra
frutto di una lobby dei centri anti-cancro." Al
contrario, il disinteresse dei pubblici poteri per le
malattie ereditarie monogeniche - i cui test sono
invece ampiamente convalidati - provoca una forte
diseguaglianza nella possibilità da parte delle
famiglie di accedere alle cure. "Poiché i nostri mezzi
sono limitati, rifiutiamo le richieste troppo costose,
in particolare le malattie orfane", ammette con
rammarico Goossens. "Ma la diagnosi è fondamentale
per adeguare le terapie, sostiene Éric Molinié,
direttore dell'Associazione francese contro le
miopatie (Afm). L'esempio della miopatia di
Duchenne, che conta 95 possibili mutazioni, dimostra
l'importanza della ricerca molecolare".
È evidente lo iato tra la prudenza dei genetisti -
preoccupati di effettuare test affidabili e
interpretazioni rigorose - e la pressione delle
industrie private, che puntano al grande mercato
genetico.
È facile prevedere l'interesse e la richiesta del
pubblico per uno strumento falsamente capace di
chiarire il "destino biologico" (4).
D'altronde, "per determinare il profilo di rischio
genetico, poco importa che il pericolo sia reale o no;
ciò che conta è il modo in cui questo pericolo è
percepito", si legge in un documento diffuso dal
riassicuratore Swiss-Re, intitolato "L'ingegneria
genetica e l'assicurazione. Il peso dell'opinione
pubblica". Cioè, la pertinenza dei test interessa poco
alle imprese: vendere una "briciola di
chiaroveggenza" potrà bastare! Con gli strumenti
genetici, il vaglio si effettuerà su tutta la
popolazione, le cui differenze invisibili saranno a quel
punto svelate. "Queste cernite permetteranno di
individuare le persone più minacciate da certe
affezioni. Alcuni individui subiranno una
penalizzazione fin dalla nascita, sotto forma di premi
assicurativi maggiorati", denuncia Pierre-André
Chiappori, economista dell'Università di Chicago (5).
Il "gene buono", carta vincente La ricerca genetica
scardina così l'ignoranza simmetrica tra assicuratori e
assicurati, indispensabile alla ripartizione dei rischi
sui grandi numeri. L'incertezza ha un vantaggio:
lascia aperta la possibilità di assicurarsi. "La felicità,
in questo caso, sta nell'ignoranza.
Quando si sa ... è troppo tardi!" afferma Chiappori. E
conclude: "Supponiamo che l'indagine si limiti a
constatare l'irreparabile: nessuna prevenzione, né
terapia. In questo caso, la messa a punto del test
non può che essere nociva al benessere collettivo".
Tanto più che non mancheranno di comparire
fenomeni di anti-selezione: le persone dotate di
"geni buoni" potrebbero giocare la loro carta vincente
e, come dice il professore Axel Kahn (6), costituirsi
in "Associazione di persone geneticamente valide",
con tanto di mutua e "passaporto" per il lavoro.
Ma anche le compagnie di assicurazione sono in
pericolo. Precisare il rischio, infatti, non giova né
all'assicurato né all'assicuratore, perché le tariffe
aumentano così tanto (per l'aumento dei rischi) da
diventare esorbitanti e quindi i contratti non vengono
firmati.
"Bisogna escludere l'uso dei dati genetici per la
sottoscrizione dei contratti e perfino diminuire le
richieste attuali, come per esempio le indagini sui
precedenti familiari", sostiene Claude Henry, del
laboratorio di econometria del Politecnico di Parigi. E
afferma: "È l'unica soluzione per salvare
l'assicurazione, oggi minacciata da totale
disorganizzazione".
André Chuffart, vicepresidente medico-attuariale
della compagnia Swiss-Re e presidente del gruppo
bioetico del Comitato europeo delle assicurazioni
(Cea) si dichiara invece ottimista di fronte ad alcuni
recenti sviluppi piuttosto positivi: "Attualmente,
l'assicurazione sulla vita viene rifiutata solo all'1%
delle persone e sono richiesti premi aggiuntivi per il
3-4% dei contratti. Alcune compagnie poi si
specializzano nella copertura di malati come gli
oncologici in remissione. Il vero problema non è
tecnologico: è piuttosto sapere fin dove si può
entrare nella vita privata. Tutte le ricerche funzionali
(ecografia, celioscopia, scanner...) sono coinvolte
(7)".
Questa constatazione ignora altre evoluzioni,
peraltro inquietanti.
Nel febbraio scorso, ad esempio, la compagnia
assicuratrice Axa ha annunciato il raddoppio delle
quote di assicurazione decessi sottoscritte da circa
7.000 genitori di ragazzi handicappati. Di fronte alla
ferma protesta dell'opinione pubblica, la compagnia
ha dovuto fare marcia indietro. Si fa strada quindi
l'idea di una colpa legata alla presenza del "cattivo
gene". In Francia, il fenomeno potrebbe ampliarsi
pericolosamente se la copertura sanitaria passasse al
settore privato, come negli Stati uniti. Non sarebbe
possibile conciliare una medicina accessibile a tutti
con la ricerca del profitto.
Malati di cancro, sieropositivi, persone in via di
guarigione conoscono già enormi pressioni
finanziarie. "Solo una riflessione di ordine politico
permetterà di evitare che alle disuguaglianze
biologiche si aggiungano quelle sociali ed
economiche", scrive Fabienne Daull, del Centro di
bioetica dell'università cattolica di Lione (8).
Ma il Consiglio di stato, come si è visto, è
rassegnato al primato delle logiche economiche. Una
tale rinuncia rischia di accelerare i meccanismi di
normalizzazione e l'esclusione, per tassazione, dei
più deboli. Già vengono intentati processi per "vita o
nascita inaccettabile" a medici responsabili di errati
pronostici genetici su nascituri.
Per alcuni medici specialisti in biologia, come il
dottor Thomas Tursz, direttore dell'Istituto Gustave
Roussy, "questi processi costituiscono un nuovo
rischio che spiega le notevoli provvigioni, a livello di
miliardi di dollari, richieste oggi dai riassicuratori per
coprire i rischi delle biotecnologie".
Bisogna arrendersi all'evidenza: le regole del gioco
non le dettano i ricercatori che sviluppano le
applicazioni della genetica: "Le loro tecniche sono
pesantemente condizionate dai finanziatori", osserva
Michel Tibon-Cornillot, filosofo e biologo alla Ecole
des hautes études en sciences sociales (Ehess) di
Parigi: "Cosa resta della loro autonomia, di fronte a
chi detiene il potere economico?". Declinare ogni
responsabilità in materia di uso dei test genetici
significherebbe, per politici e scienziati, negare il
primato della solidarietà, del rispetto della vita
privata e della protezione dei più deboli. Lasciare
cioè che le biotecnologie impongano una "biocrazia"
sulle origini e le relazioni.
note:
(1) Diminuzione della quantità di ossigeno contenuta nel sangue.
(2) Les Lois de bioéthique: cinq ans après. Rapport du Conseil d'Etat,
La Documentation française, Parigi, novembre 1999.
(3) La Génétique moléculaire médicale en France. Réflexion critique et
prospective, Livre blanc de l'Association nationale des praticiens
degénétique moléculaire (Anpgm), dicembre 1998.
(4) È sorprendente che il Consiglio di stato consideri i test medici come
strumenti per "conoscere o meno il destino biologico". Infatti, nel suo
rapporto del dicembre 1987, intitolato Recherche biomédicale et respect
de la personne humaine, Il Comité consultatif national d'éthique ha ben
chiarito che l'identità biologica umana è "irrinunciabilmente radicata nel
genoma, ma non è interamente gestita da quest'ultimo in modo univoco e
meccanico... Ciò che caratterizza l'individuo umano è la sua formidabile
capacità di darsi stimoli evolutivi".
(5) Pierre-André Chiappori, Risque et assurance, Coll. "Dominos",
Flammarion, Parigi, 1996.
(6) Axel Kahn, Et l'Homme dans tout ça?, Nil Editions, Parigi, 2000.
(7) André Chuffart, "Genetics and life insurance. A few thoughts", 27
febbraio 1997, Compagnie suisse de réassurance, Zurigo (testo interno).
(8) Fabienne Daull, in Oncogénétique. Vers une médecine de
présomption/prédiction (a cura di Yves-Jean Bignon), Lavoisier (coll.
"Technique & Documentation") e Edition médicales internationales, Parigi,
1997.
(Traduzione di G.P.)