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biotech:i comandamenti di una morale della vita che dimentica la storia



dal manifesto  27 Giugno 2000 
  
   I comandamenti di una morale della vita che  dimentica la storia 
 Le tecnologie avanzate della medicina contemporanea ci dicono che cosa
possiamo
 fare, ma non quello che dobbiamo fare, perché l'etica è anche questione di
scelte sulle  priorità relazionali e sociali da perseguire e delle
conseguenti responsabilità che esse  comportano. Una lettura critica del
volume "Ripensare la vita" del bioeticista e  animalista Peter Singer edito
da Il Saggiatore 
 FRANCO VOLTAGGIO 


 " Così come la si pratica oggi, la bioetica non è legata a nessun modo
 particolare di far filosofia, giacché la sola condizione che deve rispettare
 è quella di adottare un approccio che faccia leva sul ragionamento e
 sull'argomentazione, limitando al minimo i preconcetti. Questo
 approccio è così libero da essere aperto a tutti, tranne forse ai pochi
 marxisti vecchio stampo, ammesso che ne esistano ancora, così
 intransigenti da sottrarsi ad ogni discussione etica, e ai pensatori
 religiosi decisi ad evitare ogni argomentazione razionale e a derivare le
 proprie conclusioni etiche dalle credenze della loro religione di
 appartenenza". Così Peter Singer presenta il suo Ripensare la vita (trad.
 it. di S. Nini, Il Saggiatore, pp. 239, L. . 29.000) nella prefazione
 all'edizione italiana del libro. La prefazione ci sembra tutto sommato
 "mirata", intesa com'è, a ben vedere, a segnalare un certo ritardo della
 nostra cultura speculativa a misurarsi con i problemi scaturiti dai
 progressi della biomedicina e dall'evoluzione del costume.
 Singer, nativo di Melbourne, Australia, bioeticista e animalista di fama
 mondiale, dall'anno scorso docente di filosofia morale nella prestigiosa
 università americana di Princeton, è, come avrebbe detto Shakespeare,
 un "uomo d'onore". Dunque, quanto sostiene andrebbe preso sul serio.
 Solo che, detto con franchezza, lo studioso australiano non ci facilita le
 cose. In primo luogo, non crediamo sia ragionevole, e neppure lecito,
 voler impedire a un teologo di dedurre conclusioni di indole generale
 dalla propria confessione e cercare di entrare in discussione con gli atei
 sul significato generale della vita e della morte. Certamente, risposte
 tagliate sull'assoluto sono pericolose perché veicolano il
 fondamentalismo, ma è anche vero che sovente il teologo dà voce a
 domande "prime" che comunque milioni di uomini e di donne continuano
 da sempre a porsi. Ha senso allora cacciare via dalla porta la teologia,
 quando essa è comunque destinata a rientrare da una finestra lasciata
 aperta da malati terminali, da donne alle prese con il difficile problema
 dell'aborto, da genitori disperati di bambini affetti da guasti cerebrali
 irreversibili o comunque destinati a un futuro drammatico?
 In secondo luogo, non comprendiamo a quali marxisti Singer si riferisca
 e sospettiamo, per esser noi stessi marxisti di vecchio stampo, che egli
 scambi per intransigenza un appassionato impegno morale e civile che
 dura ormai da 150 anni. Potremmo ingoiare l'amarezza che, ancora una
 volta, ci viene dall'essere implicitamente accusati di oscurantismo ed
 evitare di farci, proprio noi, paladini dei diritti della religione, se con
 questo atteggiamento Singer non preparasse a se stesso e alla bioetica
 una trappola pericolosa consistente nel confondere l'etica - una
 disciplina che aiuta a trovare, di volta in volta, risposte tagliate sul
 bisogno - con la morale, vale a dire con lo sforzo di mettere a punto
 principî e norme senza cui le soluzioni provvisorie restano quelle che
 sono, per l'appunto provvisorie, e assumono, per medici e pubblico, il
 carattere di vere e proprie imposizioni, piuttosto che di imperativi della
 condotta, in una parola costrizioni e non doveri.
 I materiali con i quali Singer costruisce, forse senza rendersene conto,
 la sua trappola, si riassumono in: a) l'assoluta irrilevanza del
 "biografico"; b) il fraintendimento di contenuti cruciali di momenti alti
 della filosofia occidentale e della stessa scienza.

 Il primo caso esaminato da Singer è quello di Trisha Marshall. Trisha,
 una ragazza americana di 28 anni, la notte del 19 aprile 1993, a North
 Oackland (San Francisco), irrompe nell'abitazione di un disabile
 sessantenne e lo minaccia con una mannaia da macellaio. Il malcapitato
 reagisce e le spara colpendola alla testa. La ragazza viene ricoverata
 nel reparto di terapia intensiva della Highland General Hospital. Il suo
 stato, prontamente diagnosticato, è quello di morte cerebrale. E'
 mantenuta in vita con le strategie terapeutiche del caso, giacché, pur
 essendo il suo cervello "spento", le funzioni vitali si mantengono
 intatte. La donna è incinta da 17 settimane. Come osserva Singer "per
 tre mesi e mezzo il cuore della Marshall continuò a battere, mentre il
 respiratore spingeva aria nei suoi polmoni e un tubo inserito attraverso
 il naso portava sostanze nutritive nello stomaco. Le infermiere
 provvedevano a muoverle gli arti perché non si irrigidissero, a cambiare
 posizione alla malata per impedire la formazione di piaghe da decubito
 e a tenerla pulita. Il 3 agosto nacque con parto cesareo un bambino un
 po' prematuro ma sano... Il bambino trascorse tre settimane e mezza in
 un'unità di cure intensive, poi fu dimesso. Dove sarebbe potuto andare?
 La famiglia della madre chiese che le venisse affidato. Lo stesso fece il
 ragazzo della Marshall. Sul problema della custodia del bambino
 incominciò così una lunga disputa che finì quando le analisi
 ematologiche dimostrarono che il giovane non era il padre".
 Ricostruendo la storia di Trisha, Singer pone sul tappeto diverse
 questioni: avevano ragione i cittadini di Oackland ad essere irritati
 perché il mantenimento in vita della giovane, finalizzato alla nascita del
 bambino, e la complessità delle operazioni associate al parto e alla
 sopravvivenza del feto avevano comportato per l'ospedale una spesa
 complessiva di 400.000 dollari? Una somma, sostenevano i più, che
 avrebbe potuto essere meglio impiegata per le tossicodipendenze,
 l'approvigionamento di farmaci e strumenti indispensabili per l'attività
 sanitaria, i trapianti di organi? A queste domande Singer risponde così:
 le tecnologie avanzate della medicina contemporanea ci dicono che cosa
 possiamo fare, ma dobbiamo fare quel che possiamo fare? No, perché
 l'etica non investe quel che si può fare, ma quel che si deve fare. Le
 cose stanno così perché l'etica è questione di scelte e di responsabilità.
 Bene, Singer, uomo d'onore , ha perfettamente ragione. Ma la scelta
 non implica la necessità di ancorarsi a un preciso referente? Quale era
 questo referente? A nostro parere, una toccante storia d'amore tra due
 ragazzi dell'inferno metropolitano: Trisha e il suo compagno. Il fatto
 stesso che il ragazzo non fosse il padre "naturale" del bambino innalza
 il valore morale della storia: la genitorialità non è solo un fatto
 naturale, è anche e soprattutto l'esito di un coinvolgimento di affetti e
 di sfide, in una parola, un momento insopprimibile non già della vita in
 sé, ma del biografico, in cui quel che veramente conta non è la natura,
 ma l'insieme delle relazioni umane, la storia. Il ragazzo di Trisha si
 muoveva all'interno di una biografia, la sua e quella della giovane, in
 cui subentrava il momento alto dei doveri associati all'amore tra un
 uomo e una donna. Il medico di Trisha, che definì il bambino "molto
 carino", e che, con i colleghi aveva cooperato alla sopravvivenza fisica
 della ragazza, aveva fatto quello che, a nostro parere, a Singer è
 sfuggito: usato la tecnica come strategia lungimirante della scienza
 medica al servizio della morale.
 In questa prospettiva si ribaltano le preoccupazioni costi-benefici. Non
 ci si deve chiedere perché un ospedale spenda centinaia di milioni di lire
 - che non ha - distogliendo da altre le emergenze, le sempre
 insufficienti risorse finanziarie. Occorre piuttosto chiedersi perché, in
 generale, un ospedale, anche nel paese più ricco del mondo, non
 disponga dei fondi necessari. La cronica povertà delle istituzioni
 sanitarie non rinvia, forse, inevitabilmente, a una visione critica della
 società postmoderna in cui il primato dell'equazione costi-benefici
 nasconde costantemente la realtà: la realtà di un contesto umano
 appiattito all'insieme di utenti di un astratto, il denaro? Siamo solo
 poveri vetero-marxisti perché abbiamo ancora la forza di denunciare
 questo stato di cose?

 In questo appiattimento si inserisce la valutazione che Singer, nella
 seconda parte del libro, fa del pensiero di taluni giganti della filosofia
 occidentale, da Tommaso d'Aquino -cui, di recente, la cultura scientifica
 occidentale ha riconosciuto il merito di aver gettato le basi della
 tradizione biologica francese - a Descartes e soprattutto a Kant.
 Contrariamente a quello che dice Singer, la filosofia kantiana non si
 propone affatto di "porre l'uomo al centro dell'universo" ma, piuttosto,
 cerca di dedurre dalle potenzialità conoscitive proprie della coscienza
 umana le responsabilità cogenti che essa ha nei confronti della natura
 nel suo complesso e del mondo degli animali in particolare. Crede
 davvero Singer che l'animalismo, di cui è campione, sarebbe mai potuto
 decollare se l'uomo, animal sapiens per definizione di Kant, non traesse
 da questa differenza - peraltro innegabile - il dovere di far transitare
 l'intera natura, animali compresi, dal mondo delle forze brute al regno
 della convivenza pacifica universale? Che cosa è la ragione kantiana se
 non la promessa che il mondo vivente, nato dal caso, possa essere
 ricostruito secondo necessità? Lo stesso Darwin, che Singer celebra
 come il primo che abbia ricondotto l'uomo alla sua affiliazione con gli
 animali, sarebbe davvero riuscito a farlo se, studiando il comportamento
 degli animali, non avesse trasferito la storia dei conflitti sociali umani,
 la "lotta per la vita", nell'indagine sul mondo vivente nel suo complesso.

 A poco a poco si chiarisce l'indole della trappola in cui Singer finisce per
 ingabbiare la sua indagine sulle grandi questioni della bioetica
 contemporanea. Una trappola costituita dall'irrilevanza della biografia e
 della storia e dal singolare errore di non vedere nella ragione - ragione
 che non ha nulla a che fare con un calcolo ragionieristico - un luogo
 dove nasce la responsabilità, cioè l'essenza della morale. Smarrendo lo
 spessore di questa tematica, Singer enuncia una nuova serie di
 comandamenti che trarrebbero legittimazione dal ripensamento di che
 cosa sono vita e morte nell'era dei grandi mutamenti apportati dai
 progressi delle scienze bio-mediche. Ma questi comandamenti, proprio
 perché non tengono conto del primato del dovere sull'opportuno,
 finiscono con il volgersi in prescrizioni di una bioetica risolta in non
altro
 che in una delle tante normative veicolate dal capitalismo. Così, a
 dispetto dell'autore, si perdono molte osservazioni fini e
 scientificamente pregevoli di cui pur abbonda Ripensare la vita . Non
 siamo certamente sicuri che le intenzioni di Singer fossero quelle di
 subordinare la bioetica al primato dell'economico. Temiamo tuttavia che
 l'intera argomentazione, poco attenta alle mediazioni speculative, che
 pur sarebbero state necessarie, corra il rischio di trasmettere e
 legittimare un messaggio sinistro.