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biotech: cosa c'e' nella scatola?



da alias manifesto di sabato 24 giugno 2000

CHE COSA C'E' NELLA SCATOLA?
di giorgio nebbia*
* professore di merceologia all'universita' di bari


Che ci piaccia o no, gli alimenti contenenti derivati di piante
geneticamente modificate -ogm - sono ormai fra noi e lo saranno in
quantita' sempre maggiore in futuro . In tali piante le proteine sono state
modificate " ad arte " in modo da rendere le piante piu' resistenti
all'attacco dei parassiti, o di pesticidi, o da rendere i frutti o i semi
piu' facilmente conservabili . E' difficile dire se poi queste proIeine
possono trasferire modificazioni biologiche negli organismi animali ed
umani che le íntroducono con il cibo, e se le modificazioni della qualità
biologica e merceologica degli alimenti avranno effetti negativi sulla
salute dell'attuale e delle future generazioni.
Di certo gli alimenti transgenici sono arrivati in commercio troppo ptesto,
e senza una adeguata sperimentazione sugli effetti a breve e lungo termine.
D'altra parte la fretta è imposta dalle industríe che hanno proceduto, in
sofisticatì e costosi laboratori, a modificare il patrimonio genetico di
numerose piante economiche e che vogliono vendere le relative sementi al
più presto per ricuperare, con adeguati profitti, le spese sostenute. Gli
stessi agricoltori trovano vantaggioso coltivare le nuove piante.
Personalmente rìtengo che 1'immíssione in commercio di «merci» prive di
adeguata sperimentazione e controllo avrebbe dovuto essere evitata, ma
ormai la diffusione delle sementi transgeniche mi sembra difficilmente
fermabile. I governi sono schiacciati dalle pressioni degli interessi
dell'ìndustria chìmìca e deglì agricoltori e di questa lotta di giganti
fanno le spese i cittadini.
Intanto va detto che noi non troviamo in commercio alimenti «Ogm» o
«non-Ogm~~, ma solo alimenti che possono contenere, o non contenere, dei
«derivati» di «organismi geneticamente modificatiu: olio o lecitina dì soia
Gm, farina o olio o amido di mais Gm, pomodori Gm trasformati in
conserve,eccetera.
II consumatore, nel caso migliore, potrà essere ínformato, mediante
etichette, che alcuni degli alimenti che trova in commercio derìvano da, o
contengono derivati di, piante transgeniche~ e al più potrà evitare di
acquistarli se li ritiene nocivi.
Ma che cosa pntrà fare il consumatore quando si trova di fronte ad alimenti
che non portano nessuna etichetta che ne indichi 1'«origine transgenica»?
Che cosa può sapere di quello che compra? Come può un consumatore sapere se
la lecitina presente in una maionese, 0 1'olio di soia o di colza, o la
conserva di pomodoro, o 1'am'sda di mais non derivano da piante GM?
D'altra parte stanno gia' comparendo in commercio alimenti che il venditore
dichiara : che non contengono derivati di piante geneticamente modificate,
una nuova raffinata forma di pubblicita' per attrarre i consumatori piu'
dubbiosi. Quanto puo' fidarsi un consumatore delle dichiarazioni del
venditore? Chi controlla la veridicita' di una dichiarazione di " assenza "
di derivati di piante transgeniche? In quale modo e' possibile accertare
l'esatta origine biologica , la storia naturale dei prodotti che si comprano?
La risposta ovvia a tali domande sarebbe: mediante indagini di laboratorio.
Le modificazioni genetiche praticate sulle sementi lasciano nelle piante e
nei loro derivati delle " tracce ", delle " impronte digitali " si fa per
dire, che consentono - in via di principio - di riconoscere la storia
biologica precedente. In pratica 1'analisi di queste ·<impronte digitali»
richiede laboratori specializzati e personale altamente qualificato ed è
molto costosa, anche se potrebbe offrire occasioni di nuova occupazione per
analisti e specialisti in indagini chimico-biologiche e per la produzione
delle relative apparecchiature. Un bel campo di lavoro anche per gli
studiosi di merceologia.
Purtroppo le «impronte digitali» si sbiadiscono o addirittura scompaiono
nel corso delle manipolazioni dei prodotti agricoli e della loro
trasforsnazione negli alimenti commerciali. Se nelle proteìne della farina
di maìs è ancora possibile riconoscere 1'origine transgenica delle sementi,
I'olio di mais proveniente da semi Gm finisce per essere praticamente non
distinguibile, per via analitica, da quello ottenuto dai comuni semi di
mais. Davanti ad una bottiglia di olio di semi, come fa il consumatore a
sapere se è stato ottenuto da semi di piante geneticamente modificate o no?
Addirittura le industrie «biotecnologiche» sostengono che anche se un olio
deriva da piante Gm non ne deve essere indicata 1'origine perché è
«sostanzialmente equivalente» a quello della stessa pìanta non-Gm. Nei
processi di trasformazione dei pomodori transgenici in conserve, spesso
scompaiono le tracce che ne indicano I'origine.
La tutela della salute, anche in questo campo, richiede 1'intervento dello
stato i cui laboratori soltanto possono (dovrebbero) dare garanzìa di
esattezza e obiettivítà, garanzia di operare «pro bono publico». Ma nel
gran dibattito in corso sulla sanità, 1'attenzione per 1'aumento del numero
e dell'efficienza dei laboracori pubblici capaci di controllare la qualità
degli alimenti é praticamente assente.
Se ne sono viste le conseguenze in occasíone dell'importazione di alimenti
contaminati da sostanze tossiche (bifenili policlorurati, diossine e forse
altre), qaando è stato necessario aspettare settimane, dopo la denuncia del
pericolo, per avere i risultati delle prime analìsi e nel frattempo carne e
uova sono stati distrutti sen2a sapere se erano dannosi o no. Proprio in
quella occasione si è anzi visto che pochissimi laboratori in Italia erano
in grado di.effettuare le analisi delle diossine, benché esse siano
presenti intorno a noi nei fumi del traffico, delle fonderie e degli
inceneritori di rifiuti.
Che garanzia può offrire un servizio pubblico dí analisi degli alímenti che
ha permesso, per anni, che 1'olio di nocciole turco fosse spacciato per
olio di oliva?
Nel caso  del controllo degli alimenti transgenici si tratta di cominciare
tutto di sana pianta con problemi tecnico - scientifici ben piu' grossi di
quelli relativi alle altre frodi alimentari "  abituali ". Vorrei
concludere con la ferma raccomandazione alle autorita' preposte alla difesa
della salute a livello nazionale o locale, perche' vengano creati e
potenziati laboratori pubblici di analisi e venga reclutato e addestrato
personale competente e motivato, in grado di offrire una risposta ai
cittadini sulla origine e sulla innocuita' dei loro alimenti. E' inoltre
necessario che tali laboratori siano diffusi ugualmente nel nord e nel sud
d'Italia, anche per evitare che in alcune regioni del nostro paese il
cittadino finisca per essere meno difeso, e meno sicuro, che in altre.
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