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bioetica.berlinguer: se il mondo e' in vendita e' giusto ribellarsi



dal manifesto di giovedi 25 maggio 2000
 No al mercato selvaggio
 BIOETICA Intervista a Giovanni Berlinguer: "Chi protesta ha ragione, se il
mondo è in
 vendita, è giusto ribellarsi" 
 MA.FO. - GENOVA 


 Il presidente della Commissione nazionale di Bioetica, Giovanni
 Berlinguer, ringrazia anche chi è venuto a Genova per protestare ("in
 modo pacifico"). Trova convincente il loro slogan: "Se il mondo è in
 vendita è giusto ribellarsi". Sì, dice, "anch'io trovo preoccupante che le
 leggi del mercato si estendano oltre i limiti". Berlinguer parlava così,
 ieri, alla seduta inaugurale del Tebio. Ha fatto notare che la scienza
 biotecnologica porta molte promesse: dalle terapie geniche che
 potrebbero rivoluzionare la concezione della cura, agli xeno trapianti (il
 trapianto di organi animali "umanizzati" sugli esseri umani), alla
 promessa di combattere l'inquinamento con la lotta biologica. "Ma molte
 di queste promesse si rivelano difficili da attuare". E fanno sorgere
 nuovi problemi: la clonazione, dice Berlinguer ad esempio, "può essere
 valutata diversamente, sotto il profilo etico e morale, se riguardi
 animali o umani, e se si tratta di clonare tessuti o embrioni, magari
 nella speranza di creare individui con caratteristiche alterate, la 'super
 specie' - o la 'sub specie'". Berlinguer difende l'impostazione europea su
 questa materia: valutare il rischio, etichettare e indicare ogni organismo
 transgenico immesso sul mercato dopo autorizzazioni specifiche, caso
 per caso.
 La commissione da lui presieduta ha chiesto la moratoria degli xeno
 trapianti: bisogna valutare il rischio di trasmissione alla specie umana
 di malattie di altre specie. La commissione trova aberrante, inoltre, il
 brevetto concesso dall'Ufficio europeo dei brevetti alla clonazione
 sperimentale di embrioni animali, umani inclusi. I principi guida,
 secondo Berlinguer, devono restare quelli della precauzione,
 l'informazione, la trasparenza: "privilegiare la tutela della salute e
 dell'ambiente rispetto al calcolo immediato dei costi e benefici". Ma
 l'opinione pubblica "oscilla tra un'idea di scienza trionfante e
 miracolistica e il catastrofismo. L'informazione stessa è squilibrata. Gli
 scienziati promettono che la biotecnologia curerà il mondo, allontanerà
 la vecchiaia, sfamerà il pianeta... ma le cose non stanno così, la fame
 non dipende da mancanza di raccolti, ma dalla loro distribuzione, e gran
 parte delle malattie non dipendono da un gene ma da fattori
 ambientali, dall'igiene, da comportamenti individuali. D'altro lato, il
 catastrofismo è alimentato da idee antiscientifiche".
 Sta dicendo che i sostenitori delle biotecnologie illudono il pubblico e i
 governi con promesse mirabolanti?

 No, bisogna distinguere. Dalla biotecnologia bisogna aspettarsi molto, e
 diversi successi tecnico-scientifici sono visibili. Ma quando ci dicono che
 risolveranno i mali del mondo, questo è falso. Prenda l'esempio delle
 terapie geniche: sono fallite, per ora, perché basate su una concezione
 della cura come sostituzione di pezzi di ricambio, come se si potesse
 attribuire una specifica malattia a un preciso gene, sostituirlo, ed
 essere certi che questo sostituirà tutti i geni malati. Negli Usa la ricerca
 sulle terapie geniche è stata abbandonata dopo che si erano verificati
 oltre 600 casi di effetti avversi. La realtà è che bisogna lavorare sulla
 complessità. E' spaventoso il riduzionismo che si va affermando in
 questo campo. E, forse esagero, sembra che l'unica forza ad agire sulla
 complessità dei problemi sia proprio il mercato, con la sua cosiddetta
 mano invisibile.

 Spesso la scienza promette più di quello che può mantenere per
 ottenere finanziamenti: c'è un problema sulla ricerca?

 La ricerca è essenziale, e io credo che in Italia ce ne sia troppo poca: gli
 stanziamenti sono metà o un terzo che negli altri paesi europei, e serve
 una forte ricerca pubblica: altrimenti le università dovranno soggiacere
 ai committenti privati. In generale, la ricerca pubblica garantisce un
 controllo. L'esempio delle terapie geniche è tipico: di quei 600 e passa
 effetti avversi, negli Usa, solo 35 sono arrivati a conoscenza del
 National institute of health, ovvero dell'ente che deve esercitare il
 controllo pubblico sulla medicina. Poi ci vogliono anche incentivi alla
 ricerca privata, perché no. Non credo che sia possibile porre limiti alla
 conoscenza. Ma il limite è impedire che la conoscenza si trasformi in
 proprietà privata, e che tutto si trasformi in merce.