Il mantenimento in vita non può essere funzionale alla politica od alla religione - Esiste una dignità per la vita e per la morte, aldilà di ogni etica e morale…. - Riflessione aperta e sincera -



Etica e morale, due concetti cangianti e relativi, i cinesi antichi avevano la faccia tosta di ammettere che queste due qualità fossero solo una convenienza sociale. Nel Confucianesimo venivano elevate allo stato di "regola" per il buon governo mentre nel Taoismo erano considerate due forme ipocrite di asservimento alle consuetudini. La morale e l'etica sono state usate da tutte le religioni monoteiste come bandierine simboliche per giustificare il bene programmato a sistema, mentre l'amoralità e il "difetto" di contegno sono indicati come grave carenza sociale e religiosa. Ma ora lasciamo da parte questi aspetti che riguardano specificatamente il comportamento ed i costumi nella società dei viventi e vediamo invece come viene interpretata la morale correlata alla morte.

Già in passato mi sono occupato di questo aspetto (vedi URL http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/11/16/eutanasia-suicidio-predazione-degli-organi-tortura-cosa-significa-dal-punto-di-vista-etico-e-filologico-il-lasciare-questa-valle-di-lacrime-in-volontaria-dipartita-oppure-in-comodato-medico/ ) ma oggi in seguito alla polemica incentrata sul caso di Eluana Englaro sento lo stimolo di riprendere il discorso approfondendolo.

Ricordate le sofferenze degli eroi mitologici di tutte le epoche, in tutte quelle storie la sofferenza volontaria od espiativa viene descritta come una forma di emancipazione, ad esempio come nella storia di Odino o Prometeo. Ma di esempi del genere, senza andare tanto in là e troppo lontano nel tempo sono pieni i nostri libri ecclesiastici, pieni di martiri e santi che subirono torture e morte pur di non rinnegare la fede. In tutti quei casi la morte volontaria viene presa ad esempio di "morale" cristiana e dal punto di vista dell'etica religiosa è perfettamente accettata come cosa buona, anzi sinonimo di santità…

Socrate stesso, che era un laico, accettò di morire volontariamente pur di non rinnegare i valori della democrazia. Questi esempi gloriosi sono descritti in ogni parte del mondo ed in ogni civiltà. Presso i popoli meso-americani la vita sul pianeta nacque per mezzo dell'auto sacrificio di due dei, uno bello ed uno brutto. Cristo e Dioniso anch'essi morirono volontariamente per la salvezza altrui, ma di esempi possono essercene a migliaia, ivi compresi episodi sul genere nazionalistico, come il caso di Enrico Toti ed altri…. Insomma nella morale e nell'etica si accetta tranquillamente che il sacrificio di sé sia un bene supremo se rivolto ad una causa ritenuta nobile e degna… ma dal punto di vista della vita dov'è la differenza fra un suicida per disperazione ed un Pietro Micca? Oppure dal punto di vista medico qual è la qualità morale dell'uccidere un infortunato, ancora vivo ed a cuore battente, per privarlo di organi da donare ad un quasi morto ricevente? Insomma quel che voglio dire è che la morale e l'etica vengono aggiustate sulla base delle convenzioni sociali del momento e spesso sono usate solo per ragioni di speculazione politica da questa o quella fazione.

Alcuni giorni fa mi trovavo a pranzo presso una famiglia amica di Ronciglione, una famiglia molto "cristiana" tant'è che i due coniugi hanno nove figli. Ero stato invitato per conoscere la suocera paterna, una signora francese di 68 anni che ha subito una paralisi e da qualche mese vive lì assieme a tutti gli altri. Questa signora è pressoché immobilizzata a letto ed abbisogna di continua assistenza. Mentre sulla sedie a rotelle stava con noi a tavola e dopo alcuni convenevoli e scambio di simpatiche battute solidali improvvisamente mi chiese cosa ne pensassi dell'eutanasia. Io compresi il suo problema, forse la sua domanda era anche influenzata dal gran parlare che si stava facendo sul caso Englaro e le risposi del tutto sinceramente: "Occorre sempre rispettare la vita finché siamo coscientemente in grado di portarla avanti, questo è un dovere per tutti i viventi… ma che dire quando il mantenimento in vita è indipendente da questa consapevolezza? Io personalmente se dovessi sentire che la morte per me si avvicina non vorrei mai e poi mai essere portato in un ospedale per diventare oggetto di sperimentazione scientifica, per esser trapanato e siringato senza speranza e senza nessuna pietà umana. Ma finché posso provvedere a me stesso coscientemente (vedi il caso del grande fisico Steven Hawkins), sia pur con un aiuto amorevole da parte dei miei cari, ritengo doveroso restare in vita, anzi farei di tutto per essere il più possibile corresponsabile della mia esistenza in modo gioioso e attivo".

La mia risposta aveva lo scopo di dimostrare la sacralità della vita considerando il nostro dovere "mantenerla" anche nelle condizioni più disagevoli, con coraggio e costanza e rispetto per noi stessi e per gli altri, ciò ovviamente nello stato di autocoscienza… ma che dire, ad esempio del mantenimento artificiale in vita –come avvenne per Breznev o Komeini- solo finché serve ad aggiustare gli interessi politici di un governo?

Paolo D'Arpini
www.circolovegetarianocalcata.it