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http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/ambiente/energie-pulite/rubbia-solare/rubbia-solare.html?ref=search
Sì al nucleare innovativo con piccole centrali senza uranio
Ma non esiste un nucleare sicuro o a bassa produzione di scorie
Rubbia: "Né petrolio né carbone
soltanto il sole può darci energia"
di
GIOVANNI VALENTINI
Carlo Rubbia in un disegno di Riccardo Mannelli
GINEVRA
- Petrolio alle stelle? Voglia di nucleare? Ritorno al carbone? Fonti
rinnovabili? Andiamo a lezione di Energia da un docente d'eccezione
come Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica: a Ginevra, dove ha sede
il Cern, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Qui, a
cavallo della frontiera franco-svizzera, nel più grande laboratorio del
mondo, il professore s'è ritirato a studiare e lavorare, dopo l'indegna
estromissione dalla presidenza dell'Enea, il nostro ente nazionale per
l'energia avviluppato dalle pastoie della burocrazia e della politica
romana.
Da qualche mese, Rubbia è stato nominato presidente di una task-force
per la promozione e la diffusione delle nuove fonti rinnovabili, "con
particolare riferimento - come si legge nel decreto del ministro
dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio - al solare termodinamico a
concentrazione". Un progetto affascinante, a cui il premio Nobel si è
dedicato intensamente in questi ultimi anni, che si richiama agli
specchi ustori di Archimede per catturare l'energia infinita del sole,
come lo specchio concavo usato tuttora per accendere la fiaccola
olimpica. E proprio mentre parliamo, arriva da Roma la notizia che il
governo uscente, su iniziativa dello stesso ministro dell'Ambiente e
d'intesa con quello dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, ha
approvato in extremis un piano nazionale per avviare anche in Italia
questa rivoluzione energetica.
Prima di rispondere alle domande dell'intervistatore, da buon maestro
Rubbia inizia la sua lezione con un prologo introduttivo. E mette
subito le carte in tavola, con tanto di dati, grafici e tabelle.
Il primo documento che il professore squaderna preoccupato sul tavolo è
un rapporto dell'Energy Watch Group, istituito da un gruppo di
parlamentari tedeschi con la partecipazione di scienziati ed
economisti, come osservatori indipendenti. Contiene un confronto
impietoso con le previsioni elaborate finora dagli esperti della IEA,
l'Agenzia internazionale per l'energia. Un "outlook", come si dice in
gergo, sull'andamento del prezzo del petrolio e sulla produzione di
energia a livello mondiale. Balzano agli occhi i clamorosi scostamenti
tra ciò che era stato previsto e la realtà.
Dalla fine degli anni Novanta a oggi, la forbice tra l'outlook della
IEA e l'effettiva dinamica del prezzo del petrolio è andata sempre più
allargandosi, nonostante tutte le correzioni apportate dall'Agenzia nel
corso del tempo. In pratica, dal 2000 in poi, l'oro nero s'è impennato
fino a sfondare la quota di cento dollari al barile, mentre sulla carta
le previsioni al 2030 continuavano imperterrite a salire
progressivamente di circa dieci dollari di anno in anno. "Il messaggio
dell'Agenzia - si legge a pagina 71 del rapporto tedesco - lancia un
falso segnale agli uomini politici, all'industria e ai consumatori,
senza dimenticare i mass media".
Analogo discorso per la produzione mondiale di petrolio. Mentre la IEA
prevede che questa possa continuare a crescere da qui al 2025, lo
scenario dell'Energy Watch Group annuncia invece un calo in tutte le
aree del pianeta: in totale, 40 milioni di barili contro i 120
pronosticati dall'Agenzia. E anche qui, "i risultati per lo scenario
peggiore - scrivono i tedeschi - sono molto vicini ai risultati
dell'EWG: al momento, guardando allo sviluppo attuale, sembra che
questi siano i più realistici". C'è stata, insomma, una ingannevole
sottovalutazione dell'andamento del prezzo e c'è una sopravvalutazione
altrettanto insidiosa della capacità produttiva.
Passiamo all'uranio, il combustibile per l'energia nucleare. In un
altro studio specifico elaborato dall'Energy Watch Group, si documenta
che fino all'epoca della "guerra fredda" la domanda e la produzione
sono salite in parallelo, per effetto delle riserve accumulate a scopi
militari. Dal '90 in poi, invece, la domanda ha continuato a crescere
mentre ora la produzione tende a calare per mancanza di materia prima.
Anche in questo caso, come dimostra un grafico riassuntivo, le
previsioni della IEA sulla produzione di energia nucleare si sono
fortemente discostate dalla realtà.
Che cosa significa tutto questo, professor Rubbia? Qual è, dunque, la
sua visione sul futuro dell'energia?
"Significa che non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili
sono in via di esaurimento, ma anche l'uranio è destinato a
scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto anche l'oro, il platino o
il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici
sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori
strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la
natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo
zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra".
Eppure, dagli Stati Uniti all'Europa e ancora più nei Paesi emergenti,
c'è una gran voglia di nucleare. Anzi, una corsa al nucleare. Secondo
lei, sbagliano tutti?
"Sa quando è stato costruito l'ultimo reattore in America? Nel 1979,
trent'anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione
energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei
loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo
Stato, per mantenere l'arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire
una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia
proposta si basa su un combustibile, l'uranio appunto, di durata
limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie".
Ma non si parla ormai di "nucleare sicuro"? Quale è la sua opinione in
proposito?
"Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste
un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente
nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero
delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo".
In che cosa consiste?
"Nella possibilità di usare il torio, un elemento largamente
disponibile in natura, per alimentare un amplificatore nucleare. Si
tratta di un acceleratore, un reattore non critico, che non provoca
cioè reazioni a catena. Non produce plutonio. E dal torio, le assicuro,
non si tira fuori una bomba. In questo modo, si taglia definitivamente
il cordone fra il nucleare militare e quello civile".
Lei sarebbe in grado di progettare un impianto di questo tipo?
"E' già stato fatto e la tecnologia sperimentata con successo su
piccola scala. Un prototipo da 500 milioni di euro servirebbe per
bruciare le scorie nucleari ad alta attività del nostro Paese,
producendo allo stesso tempo una discreta quantità di energia".
Ora c'è anche il cosiddetto "carbone pulito". La Gran Bretagna di
Gordon Brown ha riaperto le sue miniere e negli Usa anche Hillary
Clinton s'è detta favorevole...
"Questo mi ricorda la storia della botte piena e della moglie ubriaca.
Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la
salute dell'umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo
l'anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo
debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro
i 22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico,
disastroso".
E allora, professor Rubbia, escluso il petrolio, escluso l'uranio ed
escluso il carbone, quale può essere a suo avviso l'alternativa?
"Guardi questa foto: è un impianto per la produzione di energia solare,
costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200
milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono
solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo
dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi,
oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando
verranno costruiti in gran quantità".
Ma noi, in Italia e in Europa, non abbiamo i deserti...
"E che vuol dire? Noi possiamo sviluppare la tecnologia e costruire
impianti di questo genere nelle nostre regioni meridionali o magari in
Africa, per trasportare poi l'energia nel nostro Paese. Anche gli
antichi romani dicevano che l'uva arrivava da Cartagine. Basti pensare
che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni
lato, potrebbe produrre tutta l'energia necessaria all'intero pianeta.
E un'area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1 per cento delle
zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità
un terzo dell'Italia, un'area equivalente a 15 centrali nucleari da un
gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma".
Il sole, però, non c'è sempre e invece l'energia occorre di giorno e di
notte, d'estate e d'inverno.
"D'accordo. E infatti, i nuovi impianti solari termodinamici a
concentrazione catturano l'energia e la trattengono in speciali
contenitori fino a quando serve. Poi, attraverso uno scambiatore di
calore, si produce il vapore che muove le turbine. Né più né meno come
una diga che, negli impianti idroelettrici, ferma l'acqua e al momento
opportuno la rilascia per alimentare la corrente".
Se è così semplice, perché allora non si fa?
"Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda
questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo
noi, molto presto lo faranno gli americani, com'è accaduto del resto
per il computer vent'anni fa".
(30 marzo 2008)
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