A Genova l'Ilva "pulita", a Taranto quella "sporca"



Ilva: Genova-Taranto due realtà opposte

Per lo stabilimento genovese il gruppo industriale ha investito oltre 700 milioni di euro

Non c'è bisogno di andare fino ad Hamilton, la città canadese tanto caro al presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, per assistere al miracolo di una grande industria che tenta di ridurre (seriamente) il proprio peso in termini di impatto ambientale attraverso un patto con gli enti locali e nazionali. Un patto che prevede cospicui investimenti sia pubblici che privati, interventi radicali all'interno dello stabilimento oggetto della metamorfosi, applicazione di criteri che puntano a coniugare siderurgia e vivibilità. Chi a Taranto è abituato a convivere con il mostro “buttafuoco” che sparge le sue polveri minerali direttamente sui quartieri insieme a quantità spaventose di agenti inquinanti provenienti dai camini (l'area industriale di Taranto ne conta ben 150) penserà che si tratta della solita bufala. Del solito esempio proveniente da chissà quale realtà di chissà quale Paese lontano mille miglia dalla nostra piccola ma amabile città dove si respira sempre più a fatica. Invece non è così. Hamilton è lontana ma Genova no. Anzi. Genova è la cugina emancipata di Taranto, quella del nord, più vicina al Paese che conta. A Genova c'è l'Ilva esattamente come a Taranto. E' l'Ilva di Cornigliano, ormai diventato un quartiere del capoluogo ligure. Ed è qui che Emilio (presidente del gruppo) e Claudio Riva (consigliere delegato dell'azienda), padre e figlio, hanno siglato il patto per un'industria che inquina meno. Con implicazioni positive anche sotto il profilo occupazionale. La ricetta è talmente semplice da sembrare ovvia: chiusura dell'altoforno, fine del ciclo a caldo, ampliamento delle lavorazioni a freddo. Più facile di così. Come ha ampiamente riferito la stampa nazionale, che non ha mancato di riportare gli entusiastici commenti del ministro Scajola, del presidente della Regione Liguria Carlo Burlando, a siglare l'accordo che segna la fine di un periodo di incertezza durato dieci anni, sono stati Comune e Provincia di Genova, Regione Liguria, sindacati, ministero delle Attività Produttive. E non fa niente se a Genova hanno aspettato dieci anni, leggendo i contenuti dell'accordo, non si può che concludere che ne valeva la pena. L'intesa, oltre allo smantellamento dell'altoforno, prevede il potenziamento dell'area a freddo in cui sarà lavorato l'acciaio per lo più destinato al settore automobilistico. L'area sarà realizzata in cinque anni con un investimento da parte del gruppo Riva pari a 770 milioni di euro, un aumento dei livelli occupazionali ( si parla di 2.700 nuove assunzioni), e la restituzione alla città di 300mila metri quadrati di terreno di cui 144mila destinati al distripark, il resto ad un parco urbano e a una strada di collegamento con il centro della città. La bonifica delle aree determinerà un investimento da parte del governo centrale di 15 milioni di euro. A completare il quadro ci sono i 662 milioni di euro che la Rete ferroviaria italiana spenderà per ridisegnare il nodo ferroviario genovese migliorando i collegamenti. L'intesa è impeccabile. Il confronto con l'accordo firmato per Taranto (senza il ministro) fa emergere più di qualche perplessità perchè è come se si fossero usati due pesi e due misure. A parte i 56 milioni di euro stanziati dalla Regione, non ci pare che nell'atto sottoscritto alla Regione Puglia ci sia una sola frase in cui si fa esplicito riferimento a investimenti previsti dal gruppo Riva per migliorare la qualità della vita dei tarantini riducendo l'inquinamento. Addirittura, la chiusura dell'area a caldo di Cornigliano sta già penalizzando Taranto sotto il profilo ambientale. Nello stabilimento ionico sono già state trasferite le quote di produzione cancellate a Genova. E altre ne arriveranno man mano che il processo di riconversione andrà avanti. Morale della favola: a Cornigliano si sta creando il siderurgico “pulito”, a Taranto si sta consolidando quello “sporco” degli altoforni che sputano veleno 24 ore su 24 (fatevi raccontare da qualche operaio in che condizioni è l'Acciaieria 1). E' ovvio che alla luce di quanto è stato deciso per lo stabilimento ligure l'ipotesi che nello stabilimento tarantino si possa verificare un ridimensionamento dell'area a caldo è impensabile. Al contrario, il piano industriale, non ancora discusso, che Riva ha despositato alla Regione Puglia (1.000 milioni di euro da investire) prevede un aumento della produzione e, quindi, un aumento delle emissioni inquinanti. Rendere gli impianti meno invasivi e più sicuri costa, ma a fronte degli utili garantiti dallo stabilimento tarantino ci sembra venuto il momento di considerare ambiente e sicurezza priorità assolute. Tra i commenti che abbiamo letto sulla stampa nazionale ci sembra doveroso portare all'attenzione dell'opinione pubblica tarantina quello fatto da Claudio Riva durante la cerimonia della firma. “Le istituzioni- ha detto l'impenditore lombardo- sono riuscite a convincere un imprenditore a investire su Genova più di 700 milioni di euro. Vi garantisco che non è cosa da poco”. Più chiaro di così.

Luisa Campatelli
luisa.campatelli at corgiorno.it
Corriere del Giorno 9-11-2005