Biotecnologie: Attenzione, esiste una scienza diversa



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FOCUS.Biotecnologie
Attenzione, esiste una scienza diversa

intervista con RICCARDO BOCCI di LUCA TANCREDI BARONE 
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 «LA CRITICA a una scienza troppo riduzionista, che interpreta la malattia su base prevalentemente genetica, e la necessità di ritrovare un rapporto anche con le sue cause socio-economiche mi trova perfettamente d'accordo». Lo dice Riccardo Bocci, ricercatore dell'Istituto agronomico d'oltremare di Firenze commentando l'articolo uscito su Trends in biotecnology. «E credo», continua Bocci, «che questa critica si applichi perfettamente anche al campo dell'agroalimentare e quindi alle piante». 

Lei collabora con l'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione, sotto le dirette dipendenze del ministero delle Politiche agricole retto da Alemanno. Fa parte dunque del gruppo di scienziati accusati da Veronesi di essere "oscurantisti" e "antistorici" perché contro gli Ogm. 

Per la verità credo che il mio campo di ricerca, l'agronomia, sia molto più "avanzato" per tanti versi rispetto alla ricerca biotecnologica. Gli agroecosistemi sono dei sistemi biologici molto complessi. Non basta il laboratorio di biologia molecolare per ottimizzare la resa di un campo. Oltre alla biologia e alla genetica ci sono fattori economici, sociali, antropologici che giocano un ruolo. 

Cerchiamo di dare un peso a questi diversi fattori. 

Quando studiavo all'università i miei professori ci ripetevano continuamente che era sempre meglio, in un campo coltivato, ricercare resistenze poligeniche piuttosto che resistenze monogeniche. È una questione darwinistica: la natura reagisce molto in fretta a una pressione selettiva. Diversificare le armi di attacco contro i parassiti rende il lavoro di selezione più difficile. Nella pratica biotech invece è molto difficile costruire un transgene con una resistenza poligenica: riuscire a inserire una o due modifiche genetiche è già molto. Di più non riusciamo, semplicemente perché non riusciamo a controllare gli effetti delle modifiche tutte insieme: non ne sappiamo abbastanza. Per esempio, il cotone Bt (dal bacillus thurigiensis, il batterio da cui proviene il gene che produce la tossina utile a tenere a bada uno dei peggiori parassiti della pianta, ndr). Riusciamo a inserire solo due varietà di geni del batterio. Davvero nulla rispetto alla complessità che la natura riesce ad esprimere. 

Questo limite sulle conoscenze potrebbe però essere superato con il tempo. 

Guardiamo la ricerca svolta sinora, soprattutto negli Usa. La maggior parte dei transgeni prodotti e utilizzati sulle piante non ha nulla ha che fare con le tecniche agricole. I maggiori passi in avanti provengono da due ambiti. La "nutriceutica" (farmacologia applicata all'agricoltura), per produrre sostanze biologiche utili all'uomo (come i batteri geneticamente modificati per produrre l'insulina, un risultato importante, che peraltro risale a prima dell'esplosione della ricerca biotech). E la produzione di piante con valore nutritivo modificato: il golden rice, il mito di qualche anno fa, avrebbe dovuto prevenire malattie gravi in gran parte del mondo grazie a un gene per la provitamina A inserito artificialmente. Peccato che l'idea non sia mai decollata: per vincere la fame e le malattie nel mondo ci vogliono, soprattutto, volontà politica e soldi. Non pallottole d'argento. 

 Perché è scettico sulla ricerca "nutriceutica"? 

Tutta la ricerca è utile. Ma questa sperimentazione può essere potenzialmente pericolosa. Se viene disperso nell'ambiente il gene Bt (e succede, perché il polline non si può fermare, e oltretutto alcune piante come la colza hanno una percentuale di fecondazione incrociata altissima) dal punto di vista della salute non succede nulla. E la natura, comunque, in qualche modo "riassorbirà" la mutazione. Ma se va in giro un gene che produce un vaccino, tanto per fare un esempio, entrando nel patrimonio genetico di una pianta non modificata e che magari viene utilizzata per l'alimentazione, il risultato potrebbe essere che venga espresso anche quando non lo vogliamo: "vaccinando" anche le persone che consumano la pianta normale. Come è successo negli Usa, dove il Dipartimento dell'agricoltura ha fatto distruggere campi di mais ogm alla ProdiGene per questa ragione. Questi Ogm devono essere controllati ancora più severamente. 

E se invece parliamo delle applicazioni prettamente agronomiche? 

Le faccio un esempio realmente accaduto in Canada con la coltivazione della colza resistente a un erbicida commercializzato dalla Novartis. Per le ragioni che dicevo prima, in una monocoltura dopo 3 o 4 anni di uso massiccio di un unico erbicida le piante infestanti prima o poi si adattano: e nascerà l'erbaccia resistente che fatalmente renderà l'erbicida inutilizzabile. Con grande danno per il contadino, oltre che per l'ambiente. Non siamo più capaci di un approccio globale agli agro-ecosistemi, è questa la mia principale critica all'industria del biotech e al modello di sistema agroindustriale. Queste cose venivano studiate in agronomia già vent'anni fa: abbiamo smarrito il senso comune. 

Non lascia scampo all'approccio delle scienze biotecnologiche. 

Purtroppo la ricerca oggi si occupa troppo poco di sociologia della scienza e non studia come si produce la conoscenza: vive spesso di un modello positivista e riduzionista, superato dai fatti. In un campo è molto più utile studiare quale sia la soglia di tolleranza per un determinato parassita, la relazione fra gli insetti utili e dannosi, le dinamiche di popolazione. A quel punto si decide di agire con lo strumento opportuno, ma solo nel caso limite. Il dogma della scienza agricola di oggi è che per ottenere l'optimum agricolo nel mio campo non devo avere null'altro che la pianta che mi interessa. Ma questo è falso, e non funziona. Esiste anche una scienza diversa. È il nostro modello di scienza che va cambiato. 
 




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