Fwd: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"



Anche se il forum si è svolto, è interessante leggere il documento in coda.
A.M.

From: "Maurizio Portaluri" <maporta at libero.it>
To: "Identità principale" <portaluri at hotmail.com>
Subject: Brindisi: "PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
Date: Fri, 16 May 2003 11:10:52 +0200
X-Mailer: Microsoft Outlook Express 5.50.4522.1200

Si allega anche il documento che verrà presentato

FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO

in collaborazione con Acli, Legambiente e Medicina Democratica

BRINDISI



promuove il  CONVEGNO

"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"

BRINDISI Venerdì 16 maggio 2003 ore 17
presso la “Casa del Turista” – Lungomare Regina Margherita
(nei pressi dell’Hotel Internazionale)



Introduce e conclude

Avv. Carlo DE CARLO

Coordinatore del Forum



Intervengono

Maurizio PORTALURI

Medicina Democratica



Grigio ASSENNATO

Docente Universitario Medicina del Lavoro



Carlo BRACCI

Medico Legale Patronato Nazionale ACLI



Francesco FERRANTE

Direttore Generale Legambiente



Modera

Michele DI SCHIENA

Magistrato



Durante l’incontro verrà presentato un documento con alcune annotazioni critiche sulla vicenda



Seguirà dibattito











(Nel rispetto della legge 675/96 e quindi nelle misure di sicurezza e riservatezza previste, secondo quanto previsto dall'art. 13, potete richiedere la cancellazione mandando un e-mail all' indirizzo <mailto:giancanuto at libero.it>giancanuto at libero.it con oggetto CANCELLAZIONE.





FORUM AMBIENTE SALUTE E SVILUPPO

CONVEGNO

"PETROLCHIMICO: MORTI SENZA COLPEVOLI?"
BRINDISI 16 maggio 2003

CONSIDERAZIONI GENERALI

Abbiamo appreso che lo scorso anno è stata depositata presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Brindisi una Consulenza Tecnica in merito ai decessi di alcuni dipendenti del petrolchimico esposti a cloruro di vinile monomero (CVM). Le risultanze di tale consulenza tecnica, secondo quanto si ritiene in alcuni ambienti interessati al caso e secondo le notizie ripetutamente diffuse dalla stampa locale, potrebbero indurre la magistratura (vi sarebbe già una richiesta in tal senso) a decidere l'archiviazione del procedimento per i reati di omicidio colposo con conseguente preclusione del passaggio alla fase dibattimentale che la legge destina, quando sussistano le condizioni per accedervi, ad ogni possibile approfondimento in piena pubblicità e nel massimo dispiegamento del contraddittorio fra gli assunti accusatori e le tesi difensive. Il decesso di molti lavoratori del Petrolchimico professionalmente esposti a sostanze tossiche, che ha dato luogo qualche anno addietro all'apertura di una inchiesta penale, non pone solo una ineludibile questione di giustizia ma, col suo carico di sofferenze e di drammi umani, costituisce anche una rilevantissima questione morale e sociale. E la questione etico-sociale finisce per essere in qualche modo collegata alla questione penale dal momento che è necessario affrontare lo sconcertante problema in tutta la sua complessità, ovviamente con le dovute distinzioni degli ambiti di competenza ma senza improprie separazioni, per cercare di capire quale delle possibili verità sia quella "vera" e per rispondere così agli inquietanti interrogativi che turbano l'opinione pubblica locale ed angosciano i lavoratori. E gli interrogativi sono appunto i seguenti. I dipendenti del Petrolchimico esposti negli ambienti di lavoro a CVM e negli anni scorsi deceduti chiamano in causa precise responsabilità penali e, conseguentemente, anche civili? Un eventuale provvedimento di archiviazione dell'inchiesta penale sarebbe del tutto rassicurante alla luce dell'esito degli accertamenti sinora effettuati o potrebbe essere il frutto di inesatte valutazioni peritali e forse anche di difficoltà d'indagine dovute ad oggettive inadeguatezze organizzative ed operative? Ed in ogni caso sono ravvisabili per quanto è accaduto precise responsabilità sociali e politiche? Da qui il senso dell' "incontro" promosso dal Forum non certo per portare "in piazza" un processo ma per fare in modo che la tragica vicenda non sia solo affrontata, e malauguratamente chiusa senza rassicuranti esiti, nelle aule di giustizia ma divenga sempre di più oggetto di attenzioni, di analisi, di approfondimenti, di denunce e di stimoli da parte dell'intera comunità brindisina in un dolorante collegamento con le consimili tragedie avvenute a Porto Marghera, Manfredonia ed in altre analoghe realtà. Una partecipazione dei cittadini ed un coinvolgimento delle espressioni sociali che non siano solo episodici ma divengano "permanenti" e durino fino a quando non sarà fatta vera luce su quanto è accaduto e fino a quando - per dirla con parole mutuate dalla Carta Costituzionale - non saranno rimossi gli ostacoli che impediscono alle famiglie delle vittime e , più in generale, ai lavoratori che reclamano una maggiore sicurezza di poter far valere le loro ragioni ed i loro diritti in condizioni di sostanziale uguaglianza rispetto ai soggetti forti con i quali purtroppo rischiano di venire spesso in perdente rapporto. Ed allora, nell'assoluto rispetto dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, valore nel quale pienamente ci riconosciamo nella radicata convinzione che la giustizia deve essere amministrata "in nome del popolo" da giudici che siano "soggetti soltanto alla legge", ci sia consentito esprimere alcune opinioni in merito ai criteri che, sulla base delle informazioni disponibili, riteniamo abbiano potuto guidare le conclusioni del citato accertamento tecnico che potrebbe portare all'archiviazione dell'inchiesta. Opinioni che manifestiamo non tanto criticando quei criteri, scelta che potrebbe comportare il rischio di collocarci fuori dall'ambito che ci è proprio, quanto richiamando l'attenzione di tutte le realtà interessate e dell'intera opinione pubblica sui seguenti principi di ordine generale che confidiamo siano tenuti presenti nella vicenda giudiziaria in questione: 1. nel processo penale gli accertamenti peritali sono certo in alcuni casi necessari ma l'ultima parola spetta sempre al giudice ("peritus peritorum") che non può meccanicamente assumerne le risultanze senza sottoporle ad una attenta ed articolata valutazione che può portare anche a disattendere tali esiti o a disporre, quando se ne ravvisino le condizioni, il rinnovo dell'indagine tecnica; 2. nell'esperienza giuridica "causa" è ogni circostanza che si inserisce nel corso normale degli eventi provocando un cambiamento nel loro usuale succedersi sicchè, con riferimento all'esperienza umana, va considerata causale quella condotta alla quale segue sempre, o - quando la certezza è impossibile come può ritenersi talvolta in materia di tumori - con un significativo grado di probabilità, il verificarsi dell'evento dannoso o pericoloso; 3. nell'affrontare il problema dell'imputabilità causale la ricerca delle fasi causali necessarie e la spiegazione dell'evento, con elevato grado di credibilità razionale, si presenta agevole ove si consideri che nessun modello di esperienza è spiegabile nella sua integrità e che non si può pretendere di rendere intelligibile l'intero meccanismo di produzione dell'evento lesivo; 4. in tema di nesso di causalità la legge penale accoglie il principio della equivalenza delle cause riconoscendo il valore interrutivo della serie causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente e svincolate dal comportamento del soggetto agente; 5. in materia di rapporto eziologico, di cui all'art. 41 c.p., tutti gli antecendenti in mancanza dei quali l'evento dannoso non si sarebbe verificato ( con certezza o, come nel caso di alcune patologie, con elevato grado di probabilità ) devono considerarsi cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima od in via indiretta e remota, salvo il temperamento per il quale la causa prossima sufficiente da sola a produrre l'evento esclude il nesso causale tra questo e le altre cause antecedenti facendole scadere a rango di mere occasioni. Con la conseguenza che per escludere che un determinato fatto abbia concorso a determinare un danno non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel fatto ma occorre dimostrare, avendo riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell'antecedente.

Ciò premesso, noi riteniamo che nel caso delle morti dei lavoratori del Petrolchimico esposti a CVM debba ovviamente essere rigorosamente accertato per ogni singolo caso se vi è stata tale esposizione e , nell'ipotesi positiva, quale ne sia stata la durata e l'intensità. E debba essere accertato altresì se i decessi sono avvenuti per patologie tumorali o altre gravi malattie legate da rapporto di causalità alla suddetta esposizione nociva, sempre che vi sia assenza di concause "sopravvenute…da sole sufficienti a determinare l'evento". Per quanto attiene, in particolare, alle concause riteniamo poi - alla luce del principio giurisprudenziale dianzi ricordato al punto 5 e di recente ribadito dalla Suprema Corte (Cass Civ Sez III, 13 novembre 2000, n 12103) - che per attribuire ad una concausa la forza di privare l'esposizione a CVM del ruolo di "causa" occorre accertare che l'evento-morte si sarebbe verificato ugualmente senza l'antecedente costituito appunto dall'esposizione alla sostanza tossica. Argomento questo che sottolineiamo con determinazione avendo motivo di ritenere, almeno fino a documentate informazioni di segno diverso, che la menzionata consulenza tecnica ha ribaltato l'indicato ordine di idee utilizzando l'esistenza di semplici concause, prive del connotato della assoluta eccezionalità e perciò non "da sole sufficienti a determinare l'evento", per conferire di fatto ed impropriamente ad esse forza autonoma ed esclusiva nella produzione dell'evento medesimo con conseguente esclusione del rapporto causale tra l'esposizione dei lavoratori al CVM e l'insorgere delle malattie che ne hanno determinato la morte.

Le considerazioni che precedono ci portano ora a dire qualcosa sulla questione centrale e cioè sulla sussistenza di un rapporto di causalità tra l'esposizione dei lavoratori al CVM ed i loro decessi. Ed a riguardo riteniamo, in linea generale e senza riferimento ai casi specifici, che sia utile richiamare le più autorevoli acquisizioni scientifiche in materia.


EVIDENZE SCIENTIFICHE

Va innanzitutto osservato che nel petrolchimico di Brindisi sono stati accertati decessi e malattie correlabili ad esposizioni lavorative al cloruro di vinile monomero (CVM). E’ noto che è stata condotta su disposizione dei magistrati una indagine epidemiologica sul gruppo di lavoratori esposti che avrebbe evidenziato un eccesso statisticamente significativo di due tipi particolari di tumori, l’epatocarcinoma (CE) e i tumori del sistema emolinfopoietico. · Si sa anche il riscontro di un eccesso statistico di una particolare neoplasia in un gruppo operaio rispetto alla popolazione normale consente di attribuire alle esposizioni professionali di quel gruppo di lavoratori un ruolo causale nell’insorgenza di quella neoplasia. · Circa la relazione tra esposizione a CVM e patologie tumorali epatiche è stato sostenuto da coloro che si oppongono al riconoscimento del rapporto tra CVM e CE che la letteratura scientifica esaminata fornisce evidenze ampiamente sufficienti a supportare l'ipotesi che l'esposizione prolungata a CVM può provocare l'insorgenza di angiosarcoma epatico (ASF). A loro dire non altrettanto si può affermare per altre forme tumorali a carico del fegato ed in particolare per CE. Tale ipotesi - sempre a loro dire - può essere ragionevolmente sostenuta esclusivamente nei casi in cui un ruolo di principali fattori di rischio per il CE (per esempio un'infezione da virus epatico B o C) può essere escluso. A conclusioni opposte giungono però gli studi dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro (IARC), istituzione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che già nel 1987 oltre a riconoscere la relazione tra ASF e CVM concludeva : "diversi studi confermano che l'esposizione a CVM causa altre forme tumorali, vale a dire epatocarcinomi, tumori al cervello e al polmone e neoplasie del sistema emopoietico". Alle conclusioni dell'autorevole agenzia dell'OMS - che prima di rilasciare rapporti sulla cancerogenicità di una sostanza procede lungo una metodologia rigorosa e dichiarata e che negli anni successivi al 1987 non ha mai corretto queste conclusioni, come pure poteva fare dal momento che aggiorna continuamente il suo “data base” di evidenze viene contrapposta una metanalisi (ossia una analisi di studi compiuti da più istituzioni) condotta da R. Doll (1988), noto epidemiologo e consulente Enichem, che concorderebbe sul nesso causale tra CVM e ASF ma che evidenzierebbe "la mancanza di evidenza di rischio per altre forme tumorali con un'unica eccezione per il cancro del polmone, nel caso del quale fu riscontrato, per esposizione a dosi elevate, un rischio minimo". Secondo coloro che non riconoscono un rapporto eziologico tra CVM e CE, quindi, i singoli studi avrebbero maggior credito dei rapporti dello IARC e ciò non è sostenibile. Essi inoltre citano uno studio multicentrico europeo coordinato dalla IARC, pubblicato nel 1991, noto come studio Simonato (dal primo autore che lo firma) per il quale non vi sarebbe eccesso di tumori epatici diversi dall' ASF e sul quale si ritornerà in modo specifico. · Lo studio europeo (Simonato 1991) è stato recentemente oggetto di un aggiornamento (Ward 2001) nel quale si riporta che “per i 10 casi istologicamente confermati come carcinoma epatocellulare (il nostro CE , ndr) si osserva una marcata relazione dose-risposta sia con la durata dell’esposizione che con l’esposizione cumulativa, suggerendo che l’esposizione a CVM può essere associata anche con questo tumore ”. Non è corretto quindi escludere il nesso di causalità tra CVM e CE non solo perché non si può contrapporre - come si è fatto anche nel caso di Porto Marghera - uno studio singolo alle conclusioni IARC ma anche perché allo stesso studio (Ward 2001), aggiornamento di quello di Simonato, non si può attribuire una simile conclusione. · Sono forse necessarie alcune precisazioni riguardo al valore dei pronunciamenti IARC. I nuovi studi, per quanto ampi, sono una parte del tutto e si inseriscono nell’alveo degli studi precedenti; devono essere valutati da IARC nell’insieme e per cambiare una valutazione di IARC è necessario porre in essere tutto quel complesso meccanismo di approfondimento ai fini della classificazione ( o riclassificazione) di una sostanza, che costituisce proprio la garanzia della serietà e della affidabilità dei pronunciamenti di IARC. Va ribadito, invece, che i risultati di singoli studi non mettono in discussione le suddette valutazioni; bensì essi contribuiscono all’insieme delle conoscenze in modo commisurato alla loro qualità. Quando IARC si è pronunciata sul CVM, a partire dal 1975, non si è mai contraddetto e non è mai tornato sui suoi passi, pur avendo avuto modo e occasione di riaffrontare il problema-CVM; le sue valutazioni complessive sul CVM sono il frutto del lavoro di molti studiosi e ricercatori, a livello mondiale, di varia origine scientifica, compresi quelli di origine industriale; IARC non ha mai incaricato l’uno o l’altro studioso di compiere autonomi accertamenti o verifiche quasi a delegare ad un singolo un’attività di conferma (o meno) di se stesso. · Quanti sostengono la mancanza di relazione tra epatocarcinoma e CVM citano, a Brindisi come a Marghera, due studi: quello di Mundt (2000) del quale riportano lo stretto rapporto tra CVM e ASF ma che nulla riferisce sul nesso di causalità con l'altro tipo di tumore epatico e il già citato studio multicentrico europeo di Simonato (1991). · E' necessario precisare che lo studio multicentrico europeo coordinato da IARC e condotto da Simonato (1991) e lo studio sulle coorti americane condotto da Wong (1991) sono stati successivamente aggiornati rispettivamente da Ward (2001) e da Mundt (2000). · A riguardo dello studio Simonato si è già detto che è stato aggiornato nel 2001 con pubblicazione a primo nome di Ward. Tale studio è sintetizzato dal dott. Pietro Comba, Direttore del Laboratorio di Igiene Ambientale dell'Istituto Superiore di Sanità e consulente della Procura della Repubblica di Venezia, che in una revisione della letteratura, nella parte riguardante gli epatocarcinomi così espone: "Per quanto riguarda il carcinoma epatocellulare l'osservazione più recente è quella dell'aggiornamento dello studio multicentrico europeo (Ward et al 2001) che, per i 10 casi osservati, mostra una relazione dose-risposta sia per durata dell'esposizione che per esposizione cumulativa a CVM con un rischio circa triplo a partire dalla categoria di esposizione cumulativa 735-2379 ppm-anno. Tale risultato è in accordo con segnalazioni di casi pubblicate a partire dalla metà degli anni '70 e con analoghe osservazioni nell'ambito delle coorti italiane (Pirastu et al 1990), con il follow up di lavoratori tedeschi esposti ad elevati livelli di CVM (Lelbach 1996) e con le più recenti indagini condotte a Taiwan precisamente uno studio caso controllo (Du & Wang 1998) ed uno studio retrospettivo di mortalità (Wong et al 2002). La plausibilità biologica dello sviluppo di epatocarcinomi è sostenuta da osservazioni su roditori (Drew 1983, Maltoni & Cotti 1988); inoltre in 11 di 18 casi esposti a CVM sono state rilevate mutazioni del gene p53 (Weihrauch et al 2000). La persuasività scientifica dell'evidenza epidemiologica relativa all'associazione tra CVM ed epatocarcinoma, integrata da considerazioni sulla congruità della durata dell'esposizione, può essere pertanto considerata molto elevata e consente di sostenere che il cloruro di vinile monomero ha svolto un ruolo eziologico determinante nell'insorgenza di casi di neoplasia epatica insorti nei soggetti esposti ". · Risulta poi davvero apodittica l'affermazione di chi sostiene che non è mai stato dimostrato con certezza che il CVM induca nella specie umana tumori extraepatici. Questa affermazione è smentita ancora una volta dalla IARC fin dal 1987. A questo riguardo viene incontro la citata sintesi del dott Comba sulla evidenza e sulla probabilità d'insorgenza di differenti tipi di tumore negli esposti al CVM. "L'evidenza epidemiologica relativa all'associazione tra esposizione a CVM e tumore del polmone può essere così riassunta. Nelle coorti che hanno condotto un'analisi specifica per gli insaccatori definiti come "solo addetti all'insacco" e "addetti all'insacco" esposti a elevati livelli di polvere di PVC si sono identificati incrementi di mortalità. Pertanto sulla base dei dati epidemiologici la persuasività scientifica della relazione causale fra l'attività lavorativa che comporta esposizione a polveri di PVC è elevata seppur gli studi non permettono di distinguere se tale effetto sia dovuto a CVM come tale o alla polvere di PVC". E ancora "La mortalità osservata per tumore dell'encefalo supera l'attesa pressocché nella totalità degli studi che riportano i risultati per questa causa. L'aggiornamento dello studio europeo (Ward 2001) non rileva tendenze della mortalità per durata, latenza ed esposizione cumulativa, lo studio USA (Mundt 2000) non osserva tendenze per decade di follow up ma la mortalità nel decennio 1970-1979 mostra un picco analogamente a quanto si verifica per il tumore del fegato. L'assenza per il tumore dell'encefalo di andamenti per variabili temporali e di esposizione insieme al fatto che il numero degli osservati è spesso esiguo sono i principali limiti dei dati epidemiologici disponibili ai fini dell'attribuzione di un ruolo causale dell'esposizione a CVM nello sviluppo di questo tumore. Si può pertanto concludere che l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore dell'encefalo in relazione all'esposizione a CVM… Per quanto concerne la mortalità per tumori del sistema linfoemopoietico, l'eterogeneità clinica e patologica di questa categoria di neoplasie può contribuire alla scarsa riproducibilità di risultati di studi diversi…Si può pertanto concludere che l'evidenza epidemiologica suggerisce un aumento di rischio per tumore del sistema emolinfopoietico in relazione all'esposizione al CVM". · Sempre i sostenitori della mancanza di causalità tra CVM e CE asseriscono che sia anche da escludere che tale esposizione (CVM) possa indurre la cirrosi e la successiva evoluzione in senso neoplastico. Tale affermazione è scientificamente infondata. E' proprio nell'aggiornamento dello studio europeo di Ward che si rinviene la risposta a tale questione. Infatti scopo dell'aggiornamento era anche di verificare il potenziale collegamento tra l'esposizione al CVM e i decessi per malattie epatiche non maligne e in particolar modo la cirrosi. Lo studio ha accertato un aumento di mortalità a causa di cirrosi epatica associata a livelli di esposizione da moderati ad alti riscontrato nel gruppo ad alto rischio nei vari paesi e in particolare tra i lavoratori che avevano lavorato per un certo periodo come autoclavisti. Nella coorte di Porto Marghera, collezionata ed esaminata dai periti del dott Casson a Venezia ed aggiornata al 1999, risulta una mortalità per cirrosi superiore all’attesa fra gli autoclavisti (SMR 139, 6 oss, IC 90% 60.6-274.6). · Si deve inoltre rilevare che il ruolo del CVM e dell'alcool nella genesi dell'epatocarcinoma è completamente differente. Secondo il classico modello della cancerogenesi a stadi (iniziazione-promozione), il CVM è da ritenersi con tutta verosimiglianza un “iniziante”, vale a dire una sostanza genotossica, in grado di indurre mutazioni nel DNA. L’etanolo è invece interpretato come co-cancerogeno, o sostanza che facilita l’insorgenza di tumori in associazione con agenti inizianti come il virus dell’epatite B o il CVM. Queste conoscenze indicano: (a) che etanolo e CVM hanno diversi meccanismi d’azione, e che difficilmente il primo interferisce direttamente con l’azione del secondo; (b) un’eventuale interferenza è da interpretarsi come una modificazione d’effetto, o potenziamento, dell’attività cancerogena del CVM da parte dell’etanolo. · Esiste una variabilità genetica tra gli esposti a CVM, che condiziona la risposta ad esso; in particolare, è verosimile che tale variabilità condizioni la sensibilità alle basse dosi di esposizione. Questo è uno degli argomenti che consentono di escludere l’esistenza di una soglia per l’azione cancerogena del CVM: poiché esiste uno spettro di suscettibilità all’azione della sostanza, si può ipotizzare che vi siano individui con una propensione a sviluppare un tumore anche a livelli molto bassi di esposizione.





CONCLUSIONI


In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono ci sentiamo di affermare che in linea di principio il CVM è certamente da considerare un fattore causale della morte per tumore epatico tipo epatocarcinoma che ha colpito i lavoratori esposti a tale sostanza. Convinzione questa confermata dai risultati dell'indagine epidemiologica condotta a Brindisi dal prof. Maltoni, indagine che ha documentato un assai significativo incremento di morti per epatocarcinoma. Sulla base delle stesse evidenze scientifiche ci sembra corretta l'opinione che attribuisce al CVM la capacità di provocare epatopatie evolventi in cirrosi. Quanto alle concause, va ribadito che la loro presenza potrebbe far venire meno il ruolo di "causa" (a nostro avviso innegabile) dell'esposizione dei lavoratori a CVM esclusivamente nell'ipotesi che esse siano state "sufficienti da sole a produrre l'evento" con la precisazione che soltanto una tale certezza, rigorosamente indagata e convincentemente dimostrata, può giustificare, in un lavoro peritale, la formulazione di un accoglibile parere di difetto del nesso eziologico nei reati ipotizzati con l'assunto accusatorio messo a base dell'inchiesta in questione.


                        Forum Ambiente Salute Sviluppo
                        presso Studio Avv. Carlo De Carlo
                        Via Casimiro,6 - Brindisi