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italia,un futuro sostenibile
- Subject: italia,un futuro sostenibile
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Thu, 10 Oct 2002 06:53:35 +0200
da boiler.it 2 - 10 2002 Italia, un futuro sostenibile Un paese ricco e in crescita, ma con un livello di istruzione e una spesa per la salute e la cultura al di sotto della media europea. Migliora la tutela ambientale, anche se l’uso delle risorse naturali non è dei più efficienti. La situazione, infatti, è abbastanza positiva solo nei consumi di energia rispetto alla produzione di ricchezza, nella crescita delle fonti rinnovabili e nello sviluppo della raccolta differenziata. Molti altri indicatori, invece, sono negativi: dai consumi di materiali, ai consumi idrici, dal prelievo di risorse biologiche marine, alla nuova superficie costruita, alla produzione di rifiuti in continuo aumento. È questo il quadro che esce da un nuovo rapporto, realizzato dall’Istituto sviluppo sostenibile Italia, che per la prima volta “fotografa” lo stato della sostenibilità attraverso i suoi tre pilastri: economia, società e ambiente. Economia, ambiente, risorse: gli indicatori chiave di Ivano Bollitore L’ITALIA È UN PAESE RICCO e in crescita: aumenta sia il reddito, sia l’aspettativa di vita media, tra le più elevate nel mondo. È in testa alle classifiche mondiali per numero di auto, di telefoni cellulari e di uso della televisione, ma ha un livello di istruzione e una spesa per la salute, la sicurezza e la cultura al di sotto della media europea. Per quel che riguarda la tutela ambientale sembra esserci stato un miglioramento, anche se non si può dire si sia raggiunto né un buono stato né una buona gestione e il quadro potrebbe rapidamente peggiorare se il ciclo riformatore degli anni Novanta fosse interrotto. Nell’uso delle risorse naturali l’Italia è poco efficiente. Registra, infatti, una situazione abbastanza positiva solo nell’andamento dei consumi di energia rispetto alla produzione di ricchezza economica, nella crescita delle fonti energetiche rinnovabili e nello sviluppo della raccolta differenziata e, quindi, del riciclo dei rifiuti urbani. Molti altri indicatori sono, invece, negativi: dai consumi di materiali, ai consumi idrici; dal prelievo di risorse biologiche marine, alla nuova superficie costruita, alla produzione di rifiuti in continuo aumento. La situazione peggiore si registra nel settore dei trasporti stradali, principale responsabile del peggioramento della qualità ambientale delle città e dell’aumento delle emissioni di gas serra. In conclusione, dieci anni dopo Rio, all’indomani di Johannesburg, l’Italia non si è ancora incamminata sulla via di uno sviluppo sostenibile, benché disponga di risorse e capacità per poterla percorrere. Di questo si occupa Un futuro sostenibile (Editori Riuniti 2002, 15 euro), il primo rapporto dell’Istituto sviluppo sostenibile Italia, un nuovo think tank di esperti di problemi ambientali e globali presieduto dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi. Il rapporto è suddiviso in due parti: l’analisi statistica di 30 indicatori chiave (10 socio-economici, 10 ambientali e 10 di uso delle risorse) e da monografie su temi cruciali per la sostenibilità (cambiamenti climatici, politiche europee e globali, mobilità). La scelta degli indicatori-chiave e degli obiettivi da raggiungere è stata effettuata cercando di definire la qualità dello sviluppo economico: livelli di benessere socioeconomico e relativo andamento del carico sull’ambiente e dell’uso di risorse (materia, acqua, energia, territorio). Ma ecco, in sintesi, i risultati del rapporto. Economia e società Degli indicatori socioeconomici, tre risultano in evoluzione positiva (aspettativa di vita, tasso nazionale di disoccupazione, e reddito procapite), mentre gli indicatori legati alla distribuzione della ricchezza (indice Dini di distribuzione del reddito, tasso di disoccupazione nel Sud e tasso di attività femminile) risultano in tendenza negativa e comunque lontani dagli obiettivi. Un indice integrato per definire benessere, salute e sicurezza, mostra un livello qualitativo inferiore alla media europea anche se in lieve miglioramento; in tendenza negativa gli aiuti allo sviluppo e in lieve miglioramento gli investimenti nella ricerca scientifica anche se ancora ben distanti dall’obiettivo. Indice migliore: aumento reddito procapite Indice peggiore: distribuzione ricchezza (indice Dini, disoccupazione Sud e attività donne) Ambiente Una tendenza ancora negativa si registra nelle emissioni di gas serra, nell’andamento dell’inquinamento nelle principali città (a causa di benzene e polveri) e all’abusivismo edilizio, un tema questo tutti italiano. Un andamento tendenzialmente positivo – anche se non sempre con un tasso sufficiente - si registra nelle emissioni di diossine e furani, chilometri di costa inquinata, certificazioni ambientali, riduzione del consumo di fitofarmaci in agricoltura, aumento delle aree naturali protette. Un andamento invece oscillante e più incerto riguarda gli incendi boschivi. Indice migliore: aumento aree protette Indice peggiore: aumento emissioni di gas serra Uso di risorse Pochi indicatori in questo campo mostrano andamenti positivi: il consumo di energia per unità di ricchezza prodotta, la lieve ripresa della produzione di energia rinnovabile. Sui rifiuti si registrano due tendenze opposte: a fronte di un deciso aumento della quota di raccolta differenziata (anche se distante dall’obiettivo), il volume totale dei rifiuti prodotti continua a crescere (come del resto in tutt’Europa). Registrano tendenze negative gli altri indicatori di risorse: consumo diretto di materiali in crescita (anche se dal livello migliore in Europa), consumo di acqua dolce, sfruttamento delle risorse ittiche, e molto grave il rapporto tra il trasporto ferroviario e quello su strada. Un andamento incerto ha invece la superficie costruita che ha risentito positivamente delle politiche favorevoli al recupero edilizio avviate negli ultimi anni. Indice migliore: andamento raccolta differenziata rifiuti Indice peggiore: andamento quota trasporto su strada L’indice ISSI consente di integrare i 30 indicatori chiave tenendo conto delle parziali sovrapposizioni e correlazioni statistiche tra i diversi parametri. Ne emerge un andamento oscillante nel decennio, con una lieve tendenza al miglioramento negli ultimi anni Novanta, anche se ancora distante dall’andamento necessario a raggiungere l’obiettivo nel medio periodo (2012). Fatto 100 tale obiettivo, l’Italia mostra un indice di circa 35 nel 1999 anche se in lieve crescita. In conclusione, nel corso del decennio passato si è avviato un percorso verso una maggiore sostenibilità anche se ancora debole e incerto. Il set di indicatori ambientali mostra l’andamento meno negativo, mentre quello di consumo delle risorse mostra la tendenza peggiore. Il blocco delle politiche attive in diversi settori – che danno risultati spesso dopo un certo lasso di tempo – potrebbe far regredire rapidamente la situazione verso una maggiore insostenibilità dello sviluppo in Italia. Un futuro sostenibile per l’Italia.Rapporto Issi 2002 a cura di Edo Ronchi Editori Riuniti 2002 15 euro – 328 pagine Misurare la sostenibilità di Toni Federico (coordinatore Gruppo indicatori Issi) da Un futuro sostenibile per l’Italia. Rapporto Issi 2002 (Editori Riuniti, 15 euro) AMBIENTE E SVILUPPO rappresentano tematiche fortemente conflittuali nella misura in cui le risorse disponibili sul pianeta, un sistema termodinamicamente chiuso che riceve energia soltanto dal sole, sono limitate. Perché il pianeta sopravviva in una situazione di ulteriore aumento della popolazione mondiale, occorre trovare un equilibrio. Lo sviluppo sostenibile è nato nel corso degli anni Ottanta come concetto di sintesi, per stabilire le regole di un possibile equilibrio, ed entra a far parte integrante del dibattito e dei negoziati internazionali sull’ambiente nei primi anni Novanta. Contrariamente al convincimento di molti, si tratta di una nozione di natura scientifica che prefigura una possibile soluzione di un problema sistemico di stabilità intertemporale (durabilità) per il sistema planetario, regolato da un insieme complesso di relazioni e di leggi, in presenza del vincolo dell’esauribilità delle risorse. Come in tutti i sistemi complessi, le soluzioni sono molteplici e, talvolta, solo parzialmente soddisfacenti. Il quadro si complica quando la soluzione cercata viene ulteriormente vincolata sulla base delle preferenze che sono espresse dai diversi gruppi di pensiero. L’insieme delle preferenze costituisce l’indispensabile “visione” del futuro del pianeta, il desiderato “guard rail” del cammino dell’umanità. In un contesto di visioni soggettive non è tutto condiviso, molte questioni restano controverse. Questa è la ragione per la quale il concetto di sviluppo sostenibile è stato dotato di principi sui quali è stato possibile trovare un accordo: il principio di equità, di responsabilità condivisa, di sussidiarietà. Altri principi restano oggetto di discussione e di veri e propri conflitti, come il principio di precauzione. Alcuni di essi sono stati raccolti nella lista dei ventisette principi dello sviluppo sostenibile, concordati a Rio de Janeiro al Summit della Terra del 1992; altri, come l’obbligo dell’eliminazione della miseria dal mondo, solennemente ribadito dai governanti nei Principi del Millennio di fine secolo, restano lettera morta. Ancora più controverso appare il significato operazionale dello sviluppo sostenibile. L’Agenda 21, documento principe sulle modalità attuative dello sviluppo sostenibile, nel quale si richiamano i compiti e le responsabilità dei governi e dei soggetti sociali, conserva la propria validità ed il fondamentale valore di guida globale. Rilanciata per la prima volta a New York dall’Ungass, Assemblea speciale dell’Onu a cinque anni da Rio, verrà riconfermata nel secondo Vertice della Terra, la Conferenza Mondiale di Johannesburg, prevista per il settembre del 2002, il cui fine è lo sviluppo sostenibile: una soluzione, cioè, con i suoi problemi, non un problema con le sue possibili soluzioni come accadde dieci anni prima a Rio de Janeiro. L’Agenda 21 evidenzia la necessità di dotare i principi dello sviluppo sostenibile di un solido retroterra di ragioni scientifiche documentate da misurazioni, indicatori e modelli matematici. Nella realtà delle cose, soltanto dopo dieci anni vengono a maturazione nelle strategie per lo sviluppo sostenibile sviluppate dai governi e dalle Agenzie internazionali le esigenze di associare a esse i necessari indicatori dotati di target e di tempi di attuazione. L’ Unione Europea solo di recente, al Consiglio di Barcellona 2002, ha messo a punto gli indicatori e le modalità di reporting annuale per la verifica della sostenibilità. Purtroppo, l’Italia non è ancora capace di dotarsi di un’Agenda 21 e di un processo credibile di attuazione. Molto spesso sono state le Ong ambientaliste a sviluppare progetti adeguati di indicatori globali di sostenibilità, spesso di grande respiro, come Ecological Footprint, Environmental Space, Total Material Requirement, Genuine Saving etc. Nonostante scetticismi e ritardi, molti sono gli obiettivi positivi espressi nel decennio all’interno dei quadri negoziali dei Multilateral Environmental Agreement (Mea). Particolare attenzione merita il target dello 0,7 per cento per gli aiuti allo sviluppo (Oda) da parte dei paesi ricchi, affermato a Rio, e via via disatteso e dimenticato, fino alla recente liquidazione nel Vertice di Monterey (2002) sugli aiuti allo sviluppo, in nome delle trionfanti teorie neoliberiste patrocinate dagli Usa. La riduzione delle emissioni mondiali di CO2 su base 1990, convenuto nella misura del 5,2 per cento nel corso della Cop di Kyoto della Convenzione Globale sul Clima, essa pure varata a Rio, ha monopolizzato il dibattito dal 1997 in poi. Se pur si tratta di un obiettivo insufficiente a fermare l’effetto serra, ha il merito di aver fissato per la prima volta in modo chiaro che la global governance dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile passa obbligatoriamente attraverso la fissazione di obiettivi chiari e quantitativi, di tempi di conseguimento e di indicatori per la verifica. È proprio dalla precisazione degli obiettivi che lo sviluppo sostenibile ricava forza e concretezza. Rappresentare fenomeni complessi attraverso equivalenti numerici e indicatori non è una tradizione consolidata e non è ancora una pratica corrente. Vi sono, tuttavia, alcune eccezioni. In economia è invalso l’uso, peraltro criticabile, di associare il concetto di ricchezza e di benessere al prodotto interno lordo (Pil), un indice di fine Ottocento, divenuto popolare nel dopoguerra. Il Pil appare inadeguato a rappresentare la ricchezza reale di un paese, poiché incapace di descrivere le reali componenti del benessere e la ricchezza costituita dalle risorse naturali, dalla cultura, dalla tecnologia, dai saperi, dall’ambiente e dalla qualità della vita. Probabilmente è inadeguato anche come indice della pura e semplice crescita economica. Alcuni indici di crisi, quali il tasso di inflazione ed il tasso di disoccupazione, sono ormai divenuti familiari ai più. Il bombardamento mediatico ci impone indici borsistici e finanziari. La maggioranza dei cittadini li avverte essenzialmente in funzione delle variazioni giornaliere, connesse a concetti di utilità immediata come vendere o comprare titoli, mentre il reale significato dei valori assoluti è ignoto. La società dell’informazione e della comunicazione, ormai fondamentalmente globalizzata, necessita invece di certezze, di numeri e di indicatori al di là ed al di sopra delle distanze e delle lingue. La questione ambientale, nell’ambito della quale finalmente molti fenomeni rilevanti cominciano a essere valutati e misurati in maniera adeguata, non può fare a meno di numeri e cifre. Gran parte delle Autorità e delle Agenzie ambientali nel mondo sono nate negli ultimi quindici anni anche con l’obiettivo della disseminazione di informazioni corrette e puntuali sullo stato dell’ambiente. L’ambizione dei progetti degli indicatori di sviluppo sostenibile è di dissipare l’aleatorietà e la soggettività intorno ai fenomeni ambientali, di superare definitivamente la visione emergenziale dei problemi che ha talvolta contaminato l’opinione pubblica e di vincolare le scelte e le decisioni a incontrovertibili riscontri obiettivi. Indicatori e target debbono articolarsi in un mosaico leggibile e ragionevole, efficiente per le amministrazioni, chiaro e comprensibile per la pubblica opinione. La questione scientifica, intesa in senso stretto, non può però passare in seconda linea rispetto alle necessarie semplificazioni informativo-comunicazionali. Esistono regole precise, sistemiche, che definiscono la capacità degli indici di sviluppo sostenibile di rappresentare, in tutti gli aspetti, lo stato e l’evoluzione del macro sistema società-economia-ambiente. Non si tratta di addomesticare la complessità, ma di articolare i fenomeni in gerarchie di aggregati osservabili per sintesi e integrazioni, sia verticali sia orizzontali, rappresentati da espressioni quantitative appropriate al livello di aggregazione. Indici e indicatori, dall’alto verso il basso, devono accrescersi di numero e di dettaglio in modo da rappresentare con rigore i fenomeni e i processi, anche nel loro evolversi.
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