il collasso degli ecosistemi marini



da boiler.it di domenica 29 luglio 2001

 
Il collasso degli ecosistemi marini

di Michela Bertolani
  


 GLI ECOSISTEMI MARINI lungo le coste del pianeta vanno deteriorandosi
sempre più, i fragili equilibri che li governano soffrono ovunque di
dannosi sconvolgimenti, ma gli imputati numero uno – l’inquinamento e il
riscaldamento globale della Terra – non sarebbero i veri colpevoli. Secondo
una ricerca condotta da un gruppo di sedici scienziati di tutto il mondo -
e pubblicata questa settimana su Science - barriere coralline agonizzanti,
popolazioni di crostacei decimate e vegetazione marina sempre più esigua
sarebbero il risultato di un malcostume umano antico: un eccesso di pesca.

La colpa è della pesca eccessiva

Molti mammiferi marini, crostacei e grandi pesci sopravviverebbero oggi
solo in una piccola frazione rispetto alle popolazioni abbondanti
dell’epoca preistorica. La pesca eccessiva, si legge su Science, sarebbe
iniziata molto prima del tempo di Colombo, e avrebbe poi subito una forte
accelerazione, soprattutto dai tempi coloniali fino ai giorni nostri.
«Molti casi di crisi che i nostri ecosistemi marini affrontano oggi possono
essere fatti risalire a migliaia di anni fa in certi casi, a centinaia di
anni fa in altri, a quando cioé gli esseri umani cominciarono per la prima
volta a intaccare gli ecosistemi», afferma per esempio Karen Bjorndal, una
delle autrici dello studio, zoologa e direttrice dell’Archie Carr Center
for Sea Turtle Research, all’Università della Florida.

Tutte le popolazioni umane avrebbero avuto uguale mancanza. Secondo i
ricercatori, infatti, l’idea romantica per cui le società pre-coloniali
americane possedevano una saggezza ecologica superiore a quella degli
europei è sbagliata: la pesca eccessiva sarebbe stata un problema nelle
Americhe molto prima dell’arrivo degli europei. Ma gli effetti deleteri
della riduzione radicale degli animali marini sarebbero rimasti nascosti
fino a pochi decenni fa, quando l’aggravarsi di altre condizioni ambientali
ha messo in luce la profonda sofferenza in cui versavano le coste
dell’intero globo.

Tartarughe & ostriche

I ricercatori, su Science, forniscono esempi di ecosistemi marini ridotti
drasticamente in anni recenti a causa di pratiche passate di pesca
eccessiva. Uno di questi riguarda una baia dei Caraibi, Florida Bay, dove
oggi restano solo dal 5 al 10 per cento delle tartarughe che nuotavano
nelle stesse acque ai tempi di Colombo. E questo a causa di un circolo
vizioso che inizia con la caccia alle tartarughe e finisce con la malattia
e la morte degli esemplari scampati. La vegetazione marina che cresce sul
fondo della baia, infatti, diminuito il numero delle tartarughe, è libera
di crescere in lunghezza fino a raggiungere la superficie, dove viene
falciata dalle correnti. La successiva decomposizione, che ha luogo
nuovamente sul fondo del mare, crea un ambiente malsano che causa malattie
alla popolazione delle tartarughe.

Anche la pesca eccessiva delle ostriche, nella Carolina del Nord, ha
prodotto una degradazione della qualità dell’acqua che ha impedito alla
popolazione di ostriche di rigenerarsi. Questo perché, insieme alle
ostriche, è venuta a mancare gran parte dell’opera di filtraggio dell’acqua
che questi animaletti operano continuamente, con il conseguente aumento
dell’inquinamento delle coste marine. 

Ma c’è ancora speranza…

Alcuni numerici citati su Science appaiono desolanti: nell’ultimo secolo la
popolazione australiana dei dugonghi, un mammifero marino simile
all’ippopotamo, è scesa da 104 mila elementi ad appena 500, mentre la
lunghezza media delle conchiglie del Maine è diminuita di un terzo, da
circa 90 centimetri a 30 centimentri. Gli scienziati sono giunti a queste
conclusioni non solo analizzando gli aspetti ecologici del problema, ma
prendendo anche in esame un’ampia fetta di letteratura scientifica,
compresi i resoconti storici e le prove archeologiche delle pratiche di
pesca antiche, e studiando diversi ecosistemi marini in tutto il globo.

Nonostante le cifre preoccupanti, i ricercatori si dicono abbastanza
ottimisti: gli ecosistemi delle coste sarebbero oggi ancora recuperabili, e
le specie marine vittime di pesca eccessiva sarebbero in quantità ancora
sufficiente a permettere una loro ripopolazione. Ma bisogna cominciare a
regolare la pesca su vasta scala. E il recente, ennesimo fallimento del
tentativo di proteggere le balene dagli arpioni, nel Sud del Pacifico, non
sembra un segnale incoraggiante.