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ricerca:non di sola ragione vive l'uomo
- Subject: ricerca:non di sola ragione vive l'uomo
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Mon, 30 Jul 2001 18:28:35 +0200
da boiler.it di mercoledi 25 luglio 2001 Non di sola ragione vive il mondo di Michael Dertouzos direttore del Laboratory for Computer Science del MIT Nella sua storia l’uomo non è quasi mai riuscito a prevedere le conseguenze delle sue scelte tecnologiche e ha anche difficoltà a valutare se qualcosa inventato cinquant’anni prima ha avuto ricadute positive o negative sulla società. Questa costante incapacità significa forse che dobbiamo limitare lo sviluppo di alcuni tipi di conoscenze, come proposto da Bill Joy su Wired in un famoso articolo del 2000? Dertouzos non è di questo avviso. IN UN FAMOSO ARTICOLO sulla rivista Wired, Bill Joy sostiene che le conseguenze della ricerca in robotica, ingegneria genetica e nanotecnologia potrebbero condurre a «una distruzione di massa incoraggiata dalla conoscenza... enormemente amplificata dal potere dell’autoriproduzione». Il rimedio che propone: «l’abbandono... limitando lo sviluppo di alcuni tipi di conoscenze». Non mi convince. Ciò che mi dà fastidio della sua tesi è l’ arrogante idea che la logica umana possa anticipare gli effetti di azioni intenzionali e non preordinate, e l’ancora più arrogante idea che il ragionamento umano possa determinare il corso dell’universo. Cercherò di spiegare il perchè e di offrire alcune alternative. La difficoltà di prevedere gli effetti delle nostre invenzioni Di rado riusciamo a stabilire la direzione in cui ci muoviamo. Nel 1963, quando costruimmo i computer a partizione di tempo, lo facemmo per distribuire il costo di un processore da 2 milioni di dollari tra tutti gli utenti. Nel 1970, quando il Darpa sviluppò Arpanet (una rete con circa 60 mila calcolatori), lo fece per evitare di comprare costosi computer per i suoi fornitori, a cui venne detto di condividere le macchine in rete. Entrambe le iniziative ebbero successo, non per questi obiettivi, ma perchè hanno consentito alle persone di condividere l’informazione. Internet venne lanciata per interconnettere reti di computer; nessuno aveva previsto che la sua maggiore applicazione sarebbe stato il Web. Il radar fu progettato a scopi militari, ma diventò la pietra miliare del trasporto aereo. La ricerca sulle armi nucleari rese importante la medicina nucleare. Migliaia di innovazioni hanno in comune lo stesso schema: le valutazioni iniziali non sono correlate al prodotto finale. La nostra capacità di prevedere le conseguenze è così limitata da non essere neanche aiutata dal senno del poi. Dunque, le macchine sono state un bene o un male per la società? E l’energia nucleare, o la medicina nucleare? Siamo incapaci di giudicare se qualcosa che abbiamo inventato oltre cinquant’anni fa è oggi un bene o un male. Tuttavia Joy vuole che noi formuliamo questi giudizi in prospettiva, per determinare quale tecnologie dobbiamo abbandonare! Sviluppi futuri che oggi sembrano spaventosi potrebbero rivelarsi un miraggio. Si prendano ad esempio le macchine spirituali di Ray Kurzweil che preoccupano Bill Joy. Ho una grande stima di Ray e accolgo con favore le sue idee, come quelle di Bill, per quanto discutibili mi possano apparire. Ma bisogna tracciare una chiara linea tra ciò che è solo immaginato e ciò che è probabile. A rendere confusa questa linea è la ciarlataneria. Il semplice fatto che i chip e le macchine stanno diventando più veloci non significa che saranno più intelligenti o che addirittura si autoriprodurranno. Se si muovono le braccia più rapidamente, non si diventa più brillanti. Al di là del gran parlare che si fa intorno agli agenti intelligenti, i sistemi computerizzati attuali non sono intelligenti nell’accezione normale della parola. Né sembra di vedere nell’orizzonte della ricerca le tecnologie critiche che dovrebbero condurli a questo punto. Dobbiamo bloccare lo sviluppo dell’informatica e la ricerca sull’Intelligenza Artificiale per il timore che un giorno le macchine intelligenti possano riprodursi e sorpassarci? La mia risposta è no. Credo che avrebbe più senso aspettare e vedere se i rischi potenziali sono supportati da qualcosa di diverso della nostra immaginazione. Non tutto dipende da noi Dato che non possiamo capire dove stiamo andando, dovremmo fermare del tutto la ricerca? Ciò mi fa venire in mente un anziano e saggio impiegato delle linee aeree con cui mi vantavo di aver smesso di volare con la sua compagnia aerea per la scarsa documentazione che fornivano sulla sicurezza. «Ascolti signore», mi disse. «Se sul vostro visto d’uscita da questa vita è stampato «incidente aereo», anche se state nel vostro letto, l’aeroplano vi scoverà e vi cadrà sopra». In tal senso, all’alba del secolo tecnologico, non è alla moda prestare attenzione a forze esterne alla ragione. È il momento di riconsiderare tutto ciò, soprattutto se ci si illude di capire abbastanza dell’ universo per controllare con successo il suo corso futuro, come propugna Joy. Non dovremmo dimenticare che quanto facciamo come esseri umani è parte della natura. Non sto sostenendo di fare quello che vogliamo, proprio in quanto naturale, ma di tenere la natura – incluse le nostre azioni – in soggezione. Nell’elaborare complesse strategie per «regolare il problema dell’ozono», o qualunque altro grave problema del nostro mondo, dobbiamo essere rispettosi dei modi imprevedibili in cui la natura potrebbe reagire. E dovremmo avvicinarci con uguale rispetto all’idea che la naturale spinta umana a indagare il nostro universo possa subire una limitazione. La mia proposta è di allargare la nostra prospettiva alla pienezza della nostra umanità, che oltre alla ragione include i sentimenti e le credenze. Talvolta, quando siamo alla guida della macchina del progresso scientifico e tecnologico, cambiamo direzione perchè la nostra ragione dice così. Altre volte seguiamo i nostri sentimenti o ci lasciamo guidare dalla fede. La maggior parte delle volte ci affidiamo contemporaneamente a tutte e tre queste forze umane, che hanno già guidato le azioni umane per migliaia di anni. In questa prospettiva dobbiamo essere attenti, pronti a fermarci, se il pericolo è imminente, usando tutta la nostra umanità per prendere una simile decisione. In tal modo il nostro punto di riferimento sarà molto differente da quello attuale, basato su valutazioni iniziali di ordine razionale che ci hanno spesso portato al fallimento. Dobbiamo credere in noi stessi, nelle altre persone e nel nostro universo. E ricordarci che non tutto dipende da noi.
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