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bove':agricoltura,quello che i liberisti non dicono
- Subject: bove':agricoltura,quello che i liberisti non dicono
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sat, 16 Jun 2001 12:12:18 +0200
dalla stampa di martedi 12 giugno 2001 Una requisitoria del «leader contadino» francese: i fatti smentiscono le tesi del Wto Quello che i liberali non dicono di José Bové L’umanità è alle prese con un temibile modo di pensare, simile a parecchi altri a vocazione totalitaria e mondiale: il libero scambio. I guru e gli zelanti servitori di questa dottrina (i «responsabili») affermano che non c’è altro dio che il Mercato e chi lo vuole combattere è un eretico (gli «irresponsabili»). Siamo dunque di fronte a un oscurantismo moderno, a un nuovo oppio con il quale i sacerdoti-trafficanti rendono dipendenti i popoli.Un articolo del direttore generale del Wto Mike Moore, comparso su Le Monde del 26 maggio, illustra chiaramente i dogmi che si vogliono imporre agli uomini e alle donne del pianeta.Le voci che denunciano il credo liberista di Moore sono sempre più numerose, perché i danni da esso generati sono visibili e le menzogne su cui si fonda grossolane. Prima bugia: le virtù autoregolatrici dei mercati, che sono alla base del dogma. Questa mistificazione ideologica è smentita dai fatti. In agricoltura, dal 1992, i paesi industrializzati si sono ampiamente aperti ai mercati mondiali (gli Usa hanno instaurato il «fair act», politica agricola che sopprime gli aiuti diretti alla produzione e lascia produrre senza costrizioni) senza che questa evoluzione abbia placato i soprassalti dei mercati. Al contrario, hanno conosciuto un’instabilità che non si verificava dai tempi degli accordi di Marrakesh, nel 1995. Il risultato più spettacolare della politica agricola americana è stato il boom degli aiuti diretti e urgenti, per compensare il calo dei prezzi. Essi hanno raggiunto un livello record di 23 miliardi di dollari nel Duemila (quattro volte più di quanto era stato programmato dalla legge agricola del 1996).Contrariamente alle affermazioni dei liberali, i mercati hanno un carattere spontaneamente instabile e caotico. L’intervento pubblico è necessario per regolare i mercati e l’evoluzione dei prezzi, per assicurare la remunerazione dei produttori e permettere il mantenimento dell’attività agricola. Seconda grossolana bugia: la concorrenza produce ricchezza per tutti. Ma la concorrenza ha senso solo se è compatibile con la sopravvivenza dei concorrenti. Questa realtà riguarda soprattutto l’agricoltura, nella quale le differenze nella produzione vanno da uno a mille tra l’agricoltore delle pianure cerealicole del Middle West e il contadino che lavora con la vanga nel cuore del Sahel. E’ ipocrita pretendere che la concorrenza sia sana e leale, e che tenda all’equilibrio se le politiche agricole non interferiscono nel libero gioco del mercato. Come si può porre sullo stesso piano una maggioranza di produttori (1,3 miliardi di persone attive nell’agricoltura) che coltivano solo manualmente o con l’aratro, con un’infima minoranza (28 milioni di agricoltori meccanizzati) temibilmente armati per l’esportazione? Come parlare di concorrenza leale quando gli agricoltori più produttivi dei paesi ricchi beneficiano di incentivi diretti e indiretti all’esportazione, di aiuti urgenti e assicurazioni multiple contro il calo dei prezzi? Terza menzogna: i prezzi mondiali sarebbero un valido criterio per orientare la produzione. Ma i prezzi riguardano solo una frazione molto piccola della produzione e del consumo mondiali. Il mercato del grano rappresenta appena il 12% della produzione mondiale. Gli scambi internazionali si effettuano inoltre con prezzi non determinati dall’insieme degli scambi, ma dai prezzi dei paesi esportatori più competitivi. Il prezzo mondiale del grano è stabilito in base a quello degli Usa, paese in cui la produzione, fra l’85 e il ‘98, è stata solo il 5,84% di quella mondiale. Inoltre va detto che si tratta di prezzi di «dumping», (il paese importatore compra sottocosto dal paese produttore), prezzi non sostenibili, economicamente, da parte degli agricoltori, se non grazie agli importanti aiuti che ricevono come contropartita. Quarta menzogna: il libero scambio sarebbe il motore dello sviluppo economico. I liberali vedono nel sistema di protezione doganale il responsabile di tutti i mali: farebbe regredire gli scambi, la prosperità economica, frenerebbe gli scambi culturali e il dialogo fra i popoli. Ma chi oserà dire che l’esportazione massiccia di caffè, cacao, riso, banane, che da decenni avviene verso i paesi del Nord, ha arricchito e migliorato la vita dei contadini del Sud? Chi oserà dirlo guardando negli occhi questi contadini? E chi oserà andare a dire agli allevatori africani, rovinati dalla concorrenza della carne europea sovvenzionata, che la caduta delle barriere doganali fa la loro felicità? Per ottenere fino in fondo i suoi obiettivi, il libero scambio strumentalizza la scienza in nome del «modernismo» e afferma che lo sfruttamento di ogni scoperta scientifica è un progresso... quando è economicamente sfruttabile. Non tollera che un essere vivente possa riprodursi da solo, gratuitamente, e corre ai brevetti, alle licenze, ai profitti, all’esproprio forzato. In campo agricolo non possiamo non citare la buffonata degli Ogm. Nessuno li chiede ma devono rendere tutti felici! Mike Moore ci invita a piegarci all’evidenza: il riso geneticamente modificato (detto cinicamente «dorato») nutre chi muore di fame e lo preserva dalle malattie perché è ricco di vitamina A. Ma Moore non dice che bisognerebbe mangiare 3 chili di riso al giorno (secco) mentre la razione normale non supera i 100 grammi! La malnutrizione, che colpisce circa un terzo dell’umanità, sarà combattuta con la diversificazione dell’alimentazione. L’obiettivo si ottiene rimettendo in discussione un ordine sociale spaventoso, sostenuto dal sistema economico liberale, che cerca di mantenere i livelli salariali nei paesi del Sud più bassi possibile per massimizzare i profitti. Da questo punto di vista è giudizioso aggiungere vitamine nel riso dei poveri, affinché non muoiano troppo velocemente e continuino a lavorare a basso costo, piuttosto che sostenerli costruendo una società più equa e più libera. Jacques Diouf, direttore generale della Fao, ha recentemente riconosciuto che «per nutrire i miliardi di persone che hanno fame non c’è bisogno degli Ogm». Ora capisce, signor Moore, perché i contadini indiani della «Via Campesina», movimento internazionale dei piccoli agricoltori, distruggono i campi di riso transgenico? La Fao non è la sola istituzione internazionale a rimettere in discussione alcune certezze radicali del Wto sulle benemerenze del liberismo. La liberale Ocse riconosce, in un recente rapporto intitolato Il benessere delle nazioni, che il mantenimento e il miglioramento dei servizi pubblici (sanità, insegnamento) è un fattore chiave per capire il successo economico delle nazioni. Tutto, dunque, ci porta a combattere il mito pericoloso del libero scambio. Visti i suoi considerevoli danni sociali e ambientali, bisogna in modo prioritario imporgli, tutti insieme, contadini e non contadini, tre principi fondamentali: la sovranità alimentare (il diritto dei popoli e dei paesi di produrre liberamente i loro alimenti e di proteggere gli agricoltori dalla rovinosa «concorrenza» mondiale); la sicurezza alimentare (il diritto di proteggerci da ogni rischio per la salute); la conservazione della biodiversità. Al rispetto di questi principi dev’essere associato l’obiettivo dello sviluppo solidale, ponendo in atto aree di partenariato economico tra paesi vicini, basate sulla protezione dei gruppi di paesi con strutture e livelli di sviluppo omogenei. Il Wto sogna di spingere ancora più lontano la sua logica liberale. Il prossimo novembre, nell’isolamento di un paese che proibisce i partiti e le manifestazioni politiche - il Qatar - cercherà di raggiungere i suoi scopi. Ma se importanti organizzazioni internazionali si mostrano sempre più critiche, e fanno vacillare le certezze, i cittadini che si mobilitano possono sottomettere il commercio ai loro diritti. Tra la sovranità dei nazionalisti e il libero scambio esistono vie alternative. Per riprendere il tema del Forum mondiale sociale tenutosi in gennaio a Porto Alegre, «sono possibili altri mondi!», che rispettino le culture e le particolarità di ciascuno, in uno sforzo di apertura e di comprensione. Noi siamo felici e fieri di partecipare alla loro nascita.
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