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legambiente: documento verso il g8 a genova
- Subject: legambiente: documento verso il g8 a genova
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Tue, 12 Jun 2001 21:03:58 +0200
metto in rete il documento nazionale di legambiente in vista del g8 a genova andrea agostini VERSO IL G8 DI GENOVA UN MONDO DIVERSO E' POSSIBILE IL FUTURO DEL PIANETA E DELL'UMANITA' NON PUO' ESSERE AFFIDATO ALLE DECISIONI DI POCHI PRIVILEGIATI Un mondo diverso è possibile. Questo il messaggio che Legambiente, insieme ai gruppi e alle associazioni del "Genoa Social Forum" che manifesteranno il 21 luglio a Genova in occasione del G8, lancerà ai capi di stato e di governo dei Paesi ricchi. Un mondo diverso è possibile, ma per costruirlo serve l'impegno e la partecipazione dei cittadini, serve un governo democratico dei processi globali che superi l'attuale gestione oligarchica di organismi del tutto privi di investitura democratica, come il Wto, o comunque rappresentativi solo di una piccola minoranza dell'umanità, come appunto il G8. Santificata da alcuni e demonizzata da altri, la cosiddetta globalizzazione è stata oggetto in questi anni di discussioni e contrapposizioni appassionate. Per noi i processi di globalizzazione sono fenomeni complessi e tutt'altro che univoci, che comportano il rischio evidente di legittimare il mercato e le logiche del profitto come categorie ideologiche e di ridurre le relazioni umane ad una dimensione esclusivamente monetaria, ma permettono pure una più facile e ricca circolazione delle informazioni e delle idee. Se da una parte infatti il mercato non è di per sé portatore di benessere, e un sistema nel quale la ricerca del profitto non è sottoposta ad alcuna regola produce effetti sociali e ambientali devastanti - dallo sfruttamento selvaggio del lavoro che riduce in schiavitù milioni di bambini nel mondo alla distruzione di immense superfici di foreste -, dall'altra è grazie ad un mondo sempre più comunicante e interdipendente se oggi questi problemi sono dovunque all'ordine del giorno e se anche nei Paesi poveri emergono con forza i temi della dignità del lavoro e della qualità dell'ambiente. Così, se non governati il mercato e la logica del profitto tendono a riprodurre dappertutto modelli di sviluppo che depauperano e degradano il Pianeta, ma è in virtù di quella che più volte abbiamo chiamato "buona globalizzazione" se a partire dalla Conferenza di Kyoto si è cominciato ad affrontare con decisioni operative, sebbene insufficienti, i rischi ambientali planetari. In ogni caso, un concetto per noi è chiaro: la globalizzazione nella sua dimensione economico-finanziaria non è in grado di affrontare i grandi problemi sociali, ambientali, di democrazia e di diritti, anzi minaccia di aggravarli. Riteniamo, quindi, necessario che le trattative commerciali che regolano il mercato globale si pongano in una posizione subordinata rispetto ai trattati multilaterali per la salvaguardia dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile. Il sottosviluppo nel quale vivono miliardi di persone è una realtà tragica e sempre più consolidata: se nel 1960 il 20% più ricco della popolazione mondiale possedeva un reddito trenta volte superiore a quello del 20% più povero, oggi la proporzione è di 82 a 1, mentre tre quinti dei 4,4 miliardi di abitanti dei Paesi poveri vive in comunità prive di infrastrutture igieniche di base, circa un terzo non dispone di acqua potabile e un terzo dei bambini è sottonutrito e non raggiunge la quinta classe della scuola. Di tutta evidenza è anche un'altra verità, troppo spesso trascurata: sono proprio i Paesi poveri a pagare i prezzi umani più alti per il degrado ambientale. Basti dire che in Asia l'inquinamento fecale dei fiumi supera di cinquanta volte quello dei Paesi industrializzati, o che nelle città del Sud del mondo tra il 20% e il 50% dei rifiuti domestici non viene raccolto. L'aumento dell'effetto serra, l'allargamento del buco dell'ozono, la deforestazione, la desertificazione, la perdita di biodiversità, la crescita dei livelli di inquinamento atmosferico, marino, terrestre, colpiscono ovunque senza badare alle frontiere o alle dimensioni del Pil, alimentati da interessi e da modelli economici e stili di vita e di consumo che hanno il loro centro nel mondo industrializzato ma sono squisitamente globali. Infine, nel mondo globalizzato di oggi vi sono valori universali come il rispetto dei diritti umani, la lotta contro la discriminazione e l'esclusione, l'esistenza di regole anche minime di democrazia, che faticano ancora molto a diventare patrimonio comune. Si tratta di questioni che riguardano anche Paesi ricchi, basti pensare alle 500 condanne a morte eseguite negli Stati Uniti dal 1977, ma che indiscutibilmente si concentrano nel Sud del mondo dove a miliardi di donne e uomini vengono sistematicamente negati i più elementari diritti civili, politici e sociali. L'idea, nocciolo duro del pensiero unico, che le economie e le culture di ogni Paese, di ogni territorio siano condannate per sopravvivere alla omologazione, è contraria agli interessi dell'umanità, perché l'omologazione ai modelli socio-economici occidentali comporta prezzi sociali e ambientali insopportabili, e contraria anche all'interesse specifico dei Paesi ricchi, perché gli squilibri e i periodici "collassi" provocati da questo modello di sviluppo "omologato" si ripercuotono pesantemente anche su di essi, esponendoli ad una continua intensificazione dei flussi migratori e al rischio di ricadute negative sul terreno economico-finanziario. Infine, l'interesse a contrastare la falsa identità tra globalizzazione e omologazione e a valorizzare gli elementi più originali di ogni singola identità sociale, economica e culturale, è tanto più forte per l'Europa e in particolare per l'Italia, che per competere nell'arena globale devono "esaltare", non certo deprimere, la differenza e il valore aggiunto rappresentati dalla grande varietà e ricchezza di economie radicate nel territorio e da una spiccata vocazione per la coesione sociale e la qualità ambientale. Per affermare una prospettiva di sviluppo sostenibile che coinvolga l'intera umanità, occorre - come già scrivemmo negli "appunti" per il congresso del 1999 - che il futuro sia "non solo merci" ma anche migliore qualità della vita, più diritti, più coesione sociale, più partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano, impegno per costruire un modello di relazioni tra i popoli fondato sulla comune appartenenza al genere umano, coscienza che chiudersi davanti ai bisogni e alle difficoltà dell'altro è non solo moralmente sbagliato ma illusorio visto che nell'attuale arena globale nessuno può sentirsi al riparo da tensioni e squilibri anche quando si manifestano a migliaia di chilometri di distanza. Questo è lo scenario in cui si tiene a Genova il vertice dei G8. Uno scenario segnato da profonde ingiustizie, con il 20% della popolazione mondiale, quella dei Paesi a capitalismo avanzato, che consuma l'83% delle risorse planetarie, con 11 milioni di bambini che muoiono ogni anno per denutrizione e 1 miliardo e 300 milioni di persone costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno. I temi di cui il G8 discuterà a Genova sono gli stessi che vedono impegnate nel mondo centinaia di organizzazioni non governative, che con priorità diverse ma seguendo tutte metodi pacifici, non-violenti e democratici, operano nei campi della cooperazione internazionale, della tutela ambientale, della valorizzazione dei diritti di cittadinanza, del pieno riconoscimento della dignità del lavoro, della promozione di modelli economici etici e solidali, dello sviluppo di forme di convivenza multietniche e di scambio interculturale, dell'impegno pacifista, della lotta alle ingiustizie. A Genova porteremo questa grande ricchezza di esperienze e di sensibilità, e sarebbe grave se la risposta degli organizzatori del vertice fosse di trasformare la città in una fortezza inaccessibile vietando qualsiasi manifestazione pubblica. Sarebbe grave e sarebbe, bisogna aggiungere, il modo più sicuro per lasciare campo libero a quanti da una parte e dell'altra preferiscono al dialogo e al confronto anche duro, lo scontro e la contrapposizione violenta. Noi comunque non ci rassegneremo alla militarizzazione di Genova, e faremo di tutto per ottenere risposte impegnative dai leader del G8 alle nostre richieste già sottoscritte da migliaia di cittadini che hanno partecipato al referendum autogestito promosso da otto grandi associazioni (Legambiente, Arci, Mani Tese, Uisp, Acli, Ics, Rete di Lilliput, Tavola della Pace). Chiediamo che sia mantenuto l'impegno a cancellare tutti i crediti verso i paesi più poveri e indebitati, e che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario siano vincolate a cancellare il 100% dei loro crediti. Chiediamo l'introduzione della "Tobin Tax", imposta sulle transazioni finanziarie di natura speculativa che consentirebbe di redistribuire in modo più equo il gettito fiscale tra le diverse componenti sociali, di monitorare i flussi di capitale al fine di combattere l'evasione fiscale ed il riciclaggio dei proventi dei traffici illeciti, di finanziare le politiche nazionali e globali di lotta alla povertà e alla disoccupazione e di salvaguardia dell'ambiente. Chiediamo la messa al bando delle armi all'uranio impoverito e la riduzione del 20% entro il 2001 delle spese militari, con l'impegno ad investire le somme risparmiate in programmi di cooperazione alo sviluppo nei Paesi del Sud del mondo. Chiediamo che il potere di fissare le regole che governano l'economia mondiale, oggi nelle mani di un organismo privo di ogni investitura democratica qual è il Wto, ritorni all'Onu. Chiediamo un impegno formale per ratificare entro il 2002, prima della Conferenza di Johannesburg che si terrà a dieci anni esatti dall'Earth Summit di Rio de Janeiro, del Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Chiediamo che siano poste le basi per una regolamentazione rigorosa dell'immissione nell'ambiente e in commercio degli organismi geneticamente modificati, riguardo in particolare ai rischi ambientali e sanitari e ai rischi di una perdita progressiva di biodiversità legati alla produzione e alla commercializzazione dei cibi transgenici, nonché al tema dei brevetti. Su quest'ultimo punto, va sottolineata la straordinaria importanza della vittoria ottenuta dal governo sudafricano nella causa contro le industrie farmaceutiche che chiedevano il pagamento di royalties elevatissime sui farmaci anti-aids: un passaggio di grande significato morale e pratico, che fa giustizia della pretesa delle multinazionali biotecnologiche di privatizzare la materia vivente. Noi sappiamo che su molti di questi temi non vi è unità all'interno del G8. Con sempre maggiore chiarezza vanno anzi emergendo due visioni tendenzialmente opposte della globalizzazione e dello stesso ruolo dei grandi Paesi industrializzati: una visione ultra-liberista, che ha trovato negli ultimi mesi un autorevolissimo alfiere nel neopresidente americano Bush e che ora sembra attrarre anche il governo italiano di centrodestra, in base alla quale i criteri della qualità ambientale e sociale non devono entrare nelle politiche per lo sviluppo, ed una visione più vicina alla sensibilità dei Paesi europei, che pur tra incertezze e contraddizioni guarda all'ambiente, alla coesione sociale, alla valorizzazione delle identità economiche e culturali locali, come ad ingredienti indispensabili di uno sviluppo sostenibile e desiderabile. In alcuni casi la contrapposizione è già diventata esplicita, come per la scelta di Bush di ritirare l'adesione degli Stati Uniti al Protocollo di Kyoto o per la posizione di cautela dell'Europa in materia di Ogm, in altri è prevalsa finora la logica dell'alleanza geopolitica tra i Paesi più ricchi: compito nostro, a Genova come in tutte le occasioni che seguiranno, sarà di batterci con forza e intelligenza perché le contraddizioni, se vi sono, vengano alla scoperto e perché i grandi della terra siano costretti a tenere conto delle ragioni dei cittadini. VOTA IL REFERENDUM AUTOGESTITO
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