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capitale e ambiente
- Subject: capitale e ambiente
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Sun, 10 Jun 2001 18:43:11 +0200
da boileri.it di sabato 9 giugno 2001 Capitalismo naturale Tutto è cresciuto, materialmente e fisicamente, per effetto dell’evoluzione dell’uomo e della sua “colonizzazione” del pianeta. Questa crescita ha permesso standard di vita che i nostri antenati non avrebbero nemmeno potuto immaginare, ma ha anche straordinariamente danneggiato i sistemi naturali, che sostengono la vita. Tuttavia, durante l’ultimo decennio, molte tra le aziende più attente hanno iniziato a scoprire opportunità per risparmiare risorse e denaro, applicando tecnologie e pratiche commerciali innovative che riducono l’impatto sull’ecosistema planetario. Di questo si occupa Capitalismo naturale.La prossima rivoluzione industriale, il libro di Paul Hawken, Amory Lovins e L. Hunter Lovins al quale è dedicato il focus di Boiler. Un testo importante, indicativo della capacità di penetrazione nell’economia della razionalità ecologica, che viene tradotto in italiano proprio mentre alcuni capisaldi di questa cultura – dall’ambientalismo scientifico al pensiero globale – sembrano mostrare segnali di crisi. E alla vigilia del grande scontro sul Protocollo di Kyoto. Le tecnologie al servizio del pianeta di Umberto Colombo presentazione del volume Capitalismo naturale di Paul Hawken, Amory Lovins e L. Hunter Lovins (Edizioni Ambiente) HO CONOSCIUTO Amory Lovins nel 1975, quando eravamo entrambi impegnati nello studio Waes (Workshop on Alternative Energy Strategies) condotto da Carroll Wilson del Mit. Amory e io eravamo particolarmente interessati allo studio e sviluppo delle energie rinnovabili e, più in generale, ai problemi di interfaccia energia-ambiente. Per formazione e cultura, Amory e io affrontavamo questi temi con un approccio scientifico e tecnologico, evitando per quanto possibile posizioni ideologiche preconcette. Da allora più volte abbiamo avuto occasione di incontrarci, scriverci, discutere sulle problematiche dell’energia, delle risorse, dell’ambiente e di come affrontare e gestire sia l’emergenza, sia come individuare le soluzioni di lungo termine – lui che finiva per essere più attento alle specifiche soluzioni concrete della casa, della produzione dei servizi, io più coinvolto negli aspetti generali di natura politica, economica, sociale – ma ambedue sempre ancorati alle soluzioni tecniche e alle prospettive dell’innovazione. Questo portava Lovins a privilegiare i sistemi decentrati, senza tuttavia ignorare i contributi di soluzioni centralizzate, come ad esempio il nucleare, che egli respingeva sulla base di discorsi ragionati, senza quell’atteggiamento negativo a priori caratteristico dei movimenti ambientalisti più radicali. Sviluppo sostenibile non è tornare al passato Nel corso dei decenni la problematica di energia, risorse e ambiente si è affinata e approfondita, coinvolgendo i temi del nuovo modello di sviluppo, dello sviluppo sostenibile, del benessere per tutto il pianeta e quindi dei rapporti Nord-Sud, ed è in questo quadro più ampio che si colloca il nuovo libro Capitalismo naturale, che Amory Lovins ha scritto nel settembre 1999 con Paul Hawken e L. Hunter Lovins e che ora viene pubblicato in italiano. Si tratta di un libro di grande interesse, che offre nuove idee e strumenti per affrontare il difficile problema dello sviluppo, e nel quale traspare, fin dalla prima pagina e dal titolo del primo capitolo (“La prossima rivoluzione industriale”), l’imprinting culturale di Lovins e il privilegio che ne consegue per un approccio tecno-scientifico piuttosto che strettamente ideologico. Non che Lovins e i suoi partner rinuncino a una scelta di campo; tale indubbiamente è, ad esempio, il privilegio accordato al “piccolo e decentrato” (l’esplosione delle imprese a gestione familiare, le piccole comunità) e tale è pure l’assunto del ruolo giocato dal “capitale naturale” riguardo al quale la critica al modo di procedere del capitalismo convenzionale della società industriale, non è acida ma piuttosto di taglio che potremmo chiamare educativo: anche per questo capitale – che si sta progressivamente depauperando, ma che Lovins dimostra, con dati e analisi precise, essere enorme e soprattutto essenziale per la società umana diventata industriale – occorre che le soluzioni tecnologiche operino come per i tradizionali capitali: quello immobilizzato negli investimenti, quello rappresentato dalle risorse finanziarie, e quello – ancora più importante – rappresentato dal capitale umano, che non solo vengono sfruttati ma anche continuamente arricchiti. Tutto il libro vuol dimostrare che sono concepibili soluzioni tecniche valide – e che anzi molte esistono già e, più in generale, che il sistema socio-economico-tecnico sta già operando in questa direzione – per difendere e valorizzare il capitale naturale mediante uno straordinario aumento della produttività delle risorse naturali (e non della loro distruzione), la bio-imitazione, l’economia di flusso e di servizio (che sostituisce quella di merce e acquisto), e gli investimenti in capitale naturale così che la biosfera possa fornire maggiori quantità, qualità e tipi differenziati di servizi e risorse. Si tratta di riprendere, in modo più completo e, soprattutto, di offrire una metodologia che superi la semplice petizione, il concetto di “Fattore Dieci” (cioè la riduzione del novanta per cento dell’intensità energetica e di materiali) che è stato accolto come obiettivo strategico dal World Business Council for Sustainable Development e dallo United Nations Environment Program (Unep), ma anche da imprese industriali come Dow Europe e Mitsubishi Electric, e il più realistico concetto di “Fattore Quattro” (cioè la riduzione del 75 per cento dell’intensità di energia e materiali) fatto proprio dai governi di diversi paesi e scelto dall’Unione Europea come paradigma dello sviluppo sostenibile. Per Lovins la soluzione per uno sviluppo sostenibile non è il ritorno al passato, ma l’avanzamento con il ricorso a più e nuova tecnologia che porti a concezioni, strutture, organizzazioni più efficaci, una soluzione che rappresenti piuttosto un passo avanti nella rivoluzione industriale che non il suo rinnegamento. Lo sviluppo deve allora essere inteso come un effettivo progresso rispetto a quanto l’uomo ha fatto in passato e sta facendo, non come una rottura verso un futuro ancora del tutto ignoto e pertanto rischioso. Così, parlando dell’automobile, che è per certi versi il simbolo più “duro” della società industriale, Lovins afferma che «…la maggiore industria del mondo, quella del trasporto su ruote, è già avviata verso un miglioramento di produttività delle risorse pari a un Fattore Quattro o superiore. Sta anche iniziando a trovare soluzioni per il ciclo dei materiali, grazie all’impiego di materiali durevoli che possono essere riutilizzati senza limiti nella produzione di nuovi veicoli e per ridurre sensibilmente l’impatto sull’atmosfera, sul clima e su altri elementi chiave del patrimonio naturale, grazie a un completo ripensamento del modo in cui funzionano le auto». Risparmiare e produrre meglio Il libro affronta anche altre industrie, altre risorse, altri bisogni mostrando come in ciascun caso esista un enorme spazio – perché sono concepibili le tecnologie e le nuove forme d’organizzazione – per risparmiare, produrre meglio, soddisfare appieno bisogni ed esigenze della gente. Il sistema industriale va concepito come un sistema biologico con il suo metabolismo, anche se oggi siamo assai lontani da questa situazione; infatti «i sistemi viventi sono regolati da fattori limitanti quali le stagioni, il clima, l’irraggiamento solare, le caratteristiche del suolo, la temperatura, tutti fenomeni governati da processi di feedback, che in natura operano in modo continuo. Quelli industriali ricevono, invece, i loro feedback ignorando largamente le retroazioni ambientali». Mentre esiste la conoscenza per operare bene e non sprecare, l’economia non potrà essere una guida davvero affidabile fino a quando il capitale naturale non verrà incluso nei bilanci delle aziende. Se non si spreca, se si organizza il sistema produttivo in modo che metabolizzi nel modo migliore il flusso delle risorse, se si contiene al massimo questo flusso (e il libro esamina ovviamente i casi dell’energia e dei materiali, i processi di riparazione e riciclo) allora c’è spazio per “costruire il mondo” e per “costruire i quartieri”. Gli autori esaminano la problematica del costruire rifacendosi non solo ai concetti generali, ma illustrandoli con numerosi esempi specifici relativi a strutture, oggetti, soluzioni. Tutto questo discorso su come costruire bene, ossia col minimo di sprechi e di uso delle risorse, e con l’intelligente recupero di tutto quanto viene alla fine scartato, non avrebbe senso se non ci fosse anche un’analisi dei costi che, anch’essi, debbono essere minimi, naturalmente tenendo conto anche di quelli relativi al capitale naturale. Oggi, con valutazioni sistemiche, si può tener conto dell’integrale di tutti i costi e dei benefici attesi quando si costruisce qualcosa, e questo già a partire dalla fase di progettazione. Amory Lovins e i suoi colleghi non si preoccupano soltanto delle tecnologie per costruire bene, ma anche delle organizzazioni efficienti che riducono o eliminano i “muda” ossia, con un termine giapponese, le azioni inutili. Se si esaminano i processi industriali, quelli per costruire edifici, quelli per commerciare e così via, è facile constatare che si perde una parte assai consistente del tempo nell’attendere che capiti qualcosa, oppure che si debbano correggere errori su quanto si è già fatto, oppure che si debba ritirare merce invenduta o ripetere un servizio che è stato mal concepito, oppure ancora che un servizio che dovrebbe essere integrato di fatto non lo sia – come prendere un aereo per andare dal centro di una città a quello di un’altra – per cui il tempo di volo risulta una modesta frazione di un tempo lungo ed estenuante. Anche in tutti questi casi sono concepibili – e in parte già esistono – interventi organizzativi che minimizzano gli sprechi, alcuni dei quali sono ben descritti in questa opera. Una strategia coerente per il futuro Il libro considera tutte queste soluzioni, atte a realizzare un’economia sostenibile mediante quella che gli autori chiamano “la prossima rivoluzione industriale”, non solo fattibili e necessarie, ma capaci di avvenire senza interventi dirigisti, perché sono intrinsecamente convenienti, se si tien conto del “capitale naturale”. Ritornando al caso dell’auto e di come la sua industria si stia trasformando, gli autori affermano che «la ristrutturazione di un sistema così forte e consolidato sta decollando non certo ad opera di regolamenti, aggravi fiscali o incentivi, ma piuttosto grazie alle forze combinate dei progressi tecnologici, delle richieste dei consumatori, della concorrenza e dell’imprenditorialità». Credo che questo dovrebbe insegnare qualcosa anche ai responsabili europei e italiani e a tutte le persone cui sta a cuore uno sviluppo più attento ai problemi ambientali. L’obiettivo di trasformare il sistema socio-economico-produttivo in un sistema concettualmente – ma in parte anche fisicamente – biologico, se è fattibile è però difficile, e il libro mette in rilievo le carenze che ci sono state in passato, e che continuano in parte a persistere, dei responsabili politici ed economici, del sistema educativo, di quello dei media e dell’informazione e quindi anche dell’opinione pubblica: il messaggio che si può desumere da questa opera è innanzitutto che, per ottenere il risultato desiderato, sia fondamentale lavorare, sviluppare conoscenze e tecnologie, usarle con intelligenza mediante organizzazioni efficaci, ricorrere ad approcci sistemici in ogni attività, a partire da quelle economiche che debbono tener conto di tutti i fattori che intervengono, a monte, durante e a valle di ogni attività, e non limitarsi a slogan o a interventi fiscali, comportamentali, regolamentativi, di natura dimostrativa. Si tratta di una via seria, sulla quale, per talune indicazioni specifiche, si può anche non concordare, ma che ha il pregio di prestarsi a essere migliorata in corso d’opera. La società umana non può tornare indietro, è destinata ad essere sempre più complessa, ma anche più efficace, e per questo ha bisogno di scienza, sapere, tecnologia, organizzazione per progredire e risolvere i problemi che via via le si affacciano: oggi quello di convivere coi nostri simili e con l’ambiente, rispettando valori e principi etici fondamentali. Ancora una volta, come in tutte le sue opere a partire da Soft Energy Paths degli anni Settanta, quest’ultima fatica di Amory Lovins ha centrato l’obiettivo di indicarci una strategia coerente per il futuro.
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