la ricerca in liberta' condizionata



 dalla stampa di domenica 3 giugno 2001
    
 Finanziamenti delle multinazionali all’università: i benefici e i rischi   
 La ricerca in libertà condizionata  
    
 di Giorgio Celli 

Qualche tempo fa sono stato invitato a cena da un gruppo di colleghi,
professori universitari di «prima fascia», come si dice in gergo
accademico, e con un Rettore, di cui mi piace omettere il nome, che sedeva
a capotavola. Al caffè, dopo barzellette e facezie di rito, il Magnifico si
è messo a parlare del futuro, sostenendo che l'Università deve collaborare
con l'industria, e ricevere dalle multinazionali una parte importante, e
forse essenziale, di finanziamenti per la ricerca.
Da un certo punto di vista, la cosa sembrerebbe auspicabile, ma, secondo
me, i rischi sono largamente superiori ai benefici. In che senso è presto
detto. Per rispolverare la distinzione, un po' di comodo, tra la scienza
pura, che tende ad accrescere il sapere, e la scienza applicata che auspica
il sapere per il fare, è quest'ultima, si sa, che l'industria è propensa a
sostenere finanziariamente. Agli azionisti importa ben poco se esistono
nuove galassie a spirale o di quale percentuale differisca il Dna dell'uomo
da quello dello scimpanzé.
L'industria paga chi la ripaga: il sapere per il sapere è al di là dei suoi
interessi, se non come alibi, ma gli alibi, in questo caso, resteranno
sempre sottopagati. Insomma, lo scienziato, se le cose andranno nel senso
auspicato dal Magnifico, finirà così col venire spiazzato dal tecnologo, ma
non è neppure questo il pericolo maggiore. 
Difatti, se il ricercatore ha per mandato sociale di dire la verità,
lavorare con i soldi dell'industria può renderlo reticente, e quindi
implicitamente complice. Omettere, in certi casi, equivale a mentire, e
decidere se un bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno può dipendere da tante
cose, che non sono propriamente scientifiche. 
Numerosi miei colleghi, che lavorano a progetti finanziati dalle
multinazionali, affermano sdegnosamente di essere restati liberi di
divulgare i risultati conseguiti, facendone tutti partecipi. Ma sono
davvero sinceri? Vi racconto: un bel giorno è venuto nel mio laboratorio un
messaggero di una importante firma chimica, latore della proposta di
affidarmi il compito di saggiare sperimentalmente se una molecola di
sintesi, destinata a uso agricolo, risultasse dannosa per le api. Risposi
che si poteva fare, e che avrei affidato la ricerca a un mio assistente
precario - ce ne sono tanti all'università! - che avrebbe potuto così
beneficiare di un piccolo compenso. 
Io avrei - a titolo gratuito: ero a full-time! - vigilato sulla conduzione
dell'esperienza, facendomene garante. Stavo già per firmare la convenzione,
quando il mio interlocutore mi ha suggerito sommessamente di leggere un
codicillo a piè pagina, scritto in piccolo, come succede per certe clausole
nei papiri delle assicurazioni. Appresi così che i dati conseguiti non
erano mica miei, ma di chi finanziava, e da lui dipendeva, sia bene inteso,
se avrei potuto o no renderli di pubblica ragione.
Non firmai, perché ritenni, e sono ancora oggi della stessa opinione, che
le scoperte della scienza, minime o massime che siano, soprattutto se
conseguite in un ambito pubblico come l'Università, siano patrimonio di
tutti. Per evitare che se un ricercatore scopre, per esempio, che una certa
molecola immessa nell'ambiente è cancerogena, non gli sia impedito di farlo
sapere in giro, perché chi paga ha posto il veto.
Un evento teorico, si potrebbe opinare, perché tutti, industria compresa,
si pensa debbano aver cura della salute pubblica. Ma è proprio vero? Negli
Stati Uniti una importante multinazionale, promotrice delle biotecnologie e
dei semi terminator, aveva sintetizzato una molecola, la somatotropina, che
provoca nelle vacche un aumento della produzione del latte, senza che
nessun residuo resti a contaminarlo.
Per lo meno, così sostenevano i tecnici dell'industria, dati alla mano, e
gli scienziati che lavoravano al seguito. Però un certo professor Epstein,
dell'Università dell'Illinois, ricevette, sotto banco, i veri protocolli
delle sperimentazioni e li diede in pasto all'opinione pubblica, suscitando
un grande scandalo. 
Perché si era potuto così accertare che i dati conseguiti nei laboratori
della multinazionale erano ben diversi da quelli resi pubblici: le molecole
di somatotropina risultavano presenti nel latte a livelli di 1200 volte
superiori al normale! Per cui ho interloquito alla fine del discorso del
Magnifico Rettore, dicendo che ogni governo, se non vuole una scienza
addomesticata e reticente, deve preoccuparsi di non far cessare, anzi di
far crescere, i finanziamenti.
Molti di quegli scienziati che oggi sbraitano per la libertà della ricerca
non fanno, secondo me, una ricerca libera, e disinteressata come vorrebbero
far credere. Non è vero, forse, che il congresso dei premi Nobel a
Heidelberg, culminato con la stesura di un Manifesto per la libertà della
pratica scientifica, era stato finanziato da una importante firma
farmaceutica? Chi ha orecchi per intendere...