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LA TERRA NELLE MANI DI POCHI
- Subject: LA TERRA NELLE MANI DI POCHI
- From: Andrea Agostini <lonanoda at tin.it>
- Date: Fri, 13 Apr 2001 14:11:44 +0200
DA BOILER DI GIOVEDI 5 APRILE 2001 Nelle mani di pochi di Brian Halweil IL SEMPRE MINORE GUADAGNO dagli agricoltori è accelerato da una forte concentrazione in ogni anello della catena alimentare; dalle sementi e gli erbicidi fino al finanziamento e alla distribuzione delle aziende agricole. In Canada, ad esempio, solo tre aziende controllano più del 70 per cento delle vendite di fertilizzanti, cinque istituti di credito forniscono la stragrande maggioranza del credito agricolo, due aziende controllano più del 70 per cento dell’imballaggio delle carni e cinque ditte controllano la distribuzione di prodotti alimentari. L’unione di Philip Morris e Nabisco crea un impero destinato a raccogliere circa 10 centesimi di ogni dollaro che un consumatore americano spenderà in cibo, secondo un portavoce di queste imprese. Una situazione del genere può essere fatale per gli agricoltori, permettendo ai grandi marchi dell’agrobusiness di imporre prezzi più alti sui prodotti venduti agli agricoltori e offrendo d’altra parte prezzi più bassi per la materia prima. Una forma di monopolio particolarmente preoccupante, secondo Bill Heffernan, sociologo rurale della University of Missouri, è l’emergere di gruppi di aziende che attraverso fusioni, subentri e alleanze con altri gruppi alimentari creano «un controllo del sistema alimentare totalmente verticalizzato, senza soluzioni di continuità, che va dal gene al bancone del supermercato». Consideriamo ad esempio la recente partnership fra Monsanto e Cargill, che controlla sementi, fertilizzanti, pesticidi, finanziamenti agricoli, raccolta e lavorazione di cereali, lavorazione di mangimi per il bestiame, allevamento di bestiame, macellazione e alcune famose marche di prodotti alimentari. Dal punto di vista di un’impresa come Cargill, queste alleanze permettono incredibili forme di controllo dei costi e sono quindi estremamente redditizie. Ma immaginiamo invece il punto di vista del coltivatore. Vuole comprare dei semi per coltivare il grano? Se Cargill è l’unico acquirente di grano nel raggio di un centinaio di miglia, e Cargill compra esclusivamente una particolare varietà di grano della Monsanto, non comprare quella varietà di grano significa perdere ogni speranza di vendere il proprio raccolto. Gli serve un prestito per comprare i semi? Si rivolgerà allora a una banca Ellswort di proprietà di Cargill, avendo però l’accortezza di far loro sapere quali sementi ha scelto di acquistare. Meglio ancora se aggiungerà vi voler acquistare anche i fertilizzanti di marca Saskferco, sempre della Cargill. Bene, se una volta che il grano è cresciuto questo agricoltore non vuole essere costretto a vendere il proprio prodotto alla Cargill, evidentemente al prezzo imposto dalla Cargill stessa, potrà utilizzarlo come mangime per i maiali. Ma non si scappa: la Cargill Excel Corporation compra anche i maiali. Allora questo agricoltore va a vivere in città e dice addio alla vita della fattoria. Niente più tortine di polenta fatta in casa per colazione; deve comprare i corn flakes commerciali. Ed ecco l’ultima buona notizia: la Cargill Foods è fra i principali produttori di cereali per la colazione. E anche gli altri cereali per colazione hanno gli stessi prezzi, altissimi, in quanto vengono dall’oligopolio alimentare. «Per i coltivatori indipendenti», spiega Heffernan, «rimane ben poco spazio nel sistema globale: la logica è “accetta le regole del gioco o esci dagli affari”». Negli ultimi venti anni la percentuale dei prodotti agricoli Usa coltivati sotto contratto è più che triplicata, passando dal 10 al 35 per cento, senza considerare i contratti che gli agricoltori firmano per coltivare sementi geneticamente modificate. Il controllo centralizzato del sistema alimentare, in cui i coltivatori sono in effetti ridotti a manovalanza presa a nolo per lavorare sulla loro terra, ricorda a Heffernan le fattorie statali dell’Unione Sovietica, dove il ruolo del Grande fratello è giocato ora dagli amministratori delle società di agrobusiness. Torna anche alla memoria lo “spaccio aziendale” che una volta faceva da centro commerciale delle piccole cittadine minerarie o industriali, con la differenza che oggi, anche spostandosi fuori dalla propria zona, si continuano a trovare gli stessi negozi. Lo spaccio aziendale è diventato globale. Con le associazioni di imprese che possiedono le risorse finanziarie e l’influenza politica, non c’è da stupirsi se le politiche agricole, che comprendono sussidi, sgravi fiscali e normative ambientali sia a livello nazionale che internazionale, generalmente non favoriscono gli agricoltori. Le associazioni di imprese esercitano forti pressioni sulle priorità di ricerca in campo agricolo sia a livello privato che pubblico. Questo può spiegare come mai il ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), istituzione che dovrebbe agire a tutela degli agricoltori, contribuisce alla ricerca per lo sviluppo della tecnologia “terminator” per la sterilizzazione dei semi; una biotecnologia il cui unico scopo è quello di aumentare la dipendenza degli agricoltori dalle ditte che vendono sementi. In alcuni casi l’ingerenza è indiretta, come nelle decisioni di finanziamento dei governi, mentre in altri è più sfacciatamente manifesta. Quando Novartis ha fornito 25 milioni di dollari per finanziare una partnership di ricerca in collaborazione con il dipartimento di biologia agricola della University of California di Berkeley, una delle condizioni era che Novartis avesse il preventivo diritto di veto per ogni invenzione brevettabile. In queste circostanze, ovviamente, i rappresentanti della University of California, ben consapevoli dell’origine dei finanziamenti ricevuti, sono fortemente spinti a concentrarsi su tecnologie come quella del gene Terminator, che allontana il profitto dal coltivatore, piuttosto che su tecnologie che beneficiano direttamente il coltivatore o il più ampio pubblico dei consumatori. Anche le politiche che vengono generalmente considerate a tutela degli agricoltori, come la liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli, sono pesantemente influenzate dalle multinazionali. I principali artefici delle recenti revisioni dell’Accordo generale su prezzi e tariffe (il Gatt, predecessore della World Trade Organization) sono state le ditte di lavorazione o commercializzazione dei prodotti alimentari, che hanno preparato la strada per un maggiore flusso commerciale delle derrate agricole. Prima di queste revisioni molti Paesi utilizzavano politiche nazionali per assicurare che i loro coltivatori non fossero spodestati dai grandi mercanti internazionali. Ora questi mercanti sono in grado di aggirare qualunque forma di protezione. La rapidità con cui il principio dell’agrobusiness – quello di comprare al minor prezzo possibile e di vendere al maggiore – si è diffuso in tutto il pianeta ha accentuato le pressioni sugli agricoltori già esercitate dalla marginalizzazione economica. Una recente nota dell’Organizzazione su cibo e agricoltura delle Nazioni Unite (la Fao) riguardo l’esperienza di sedici Paesi in via di sviluppo nell’implementare l’ultima fase del Gatt ha concluso che «una preoccupazione riportata comunemente riguarda la generale tendenza verso la concentrazione delle fattorie», un processo che tende a marginalizzare ulteriormente i piccoli produttori e ad esacerbare la povertà rurale e la disoccupazione. La triste conseguenza, secondo Thomas Reardon della Michigan State University, è che mentre i piccoli coltivatori in tutto il mondo non riescono a vendere i propri prodotti sul mercato interno a causa delle importazioni a prezzi sempre minori, sono d’altra parte spesso esclusi dalla possibilità di partecipare a loro volta alle esportazioni. Per mantenere bassi i costi delle transazioni e delle lavorazioni standardizzate, gli esportatori e altri operatori del settore tendono ad acquistare le merci da pochi gruppi di grandi produttori, piuttosto che da una moltitudine dei piccoli agricoltori. Gli esperti di economia agricola hanno notato che il divario fra i prezzi di acquisto al dettaglio dei cibi e quelli di acquisto all’ingrosso che ha continuato a crescere nel corso degli anni Novanta era dovuto quasi esclusivamente a meccanismi di politica commerciale piuttosto che a un’effettiva riduzione dei costi. Il mercato globale dei prodotti alimentari, dominato da un ristretto gruppo di corporazioni internazionali integrate verticalmente, sta dunque sempre più allontanando i consumatori dagli agricoltori, e gli agricoltori dalla loro terra. Non si capisce perché quando andiamo a comprare un filone di pane dobbiamo spendere tanto per il suo imballaggio quanto per i suoi elementi nutritivi. Ma il problema più grave è un altro. Gli agricoltori sono raffinati professionisti, con notevoli conoscenze del terreno che lavorano, della meteorologia, delle piante autoctone, dei fertilizzanti e degli impollinatori naturali, dell’ecologia e della comunità agricola. Quando arriveremo a un mondo in cui la terra coltivata non è più gestita da questi professionisti ma da assenti burocrazie commerciali interessate solo a trarre il massimo profitto al costo minimo, che cibo avremo, e a che prezzo? I paragrafi dell’articolo di Brian Halweil: Che fine hanno fatto i contadini? Una specie a rischio Lavorare la terra Nelle mani di pochi Aziende, piccolo è meglio.1 Aziende, piccolo è meglio.2 Ricostruire le riserve alimentari
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